Eccezione di prescrizione e domanda di condanna in forma generica

Mattia Polizzi
03 Dicembre 2019

L'ordinanza in commento prende posizione sulla questione concernente il momento preclusivo della possibilità di eccepire l'avvenuta prescrizione di un diritto in caso di sentenza di condanna generica: questo deve essere identificato, in forza del principio di autoresponsabilità e di affidamento processuale, in quello proprio di ogni processo, con la conseguenza che in appello la mancata riproposizione dell'eccezione in discorso (se non accolta in primo grado) implica la decadenza dalla possibilità di farla valere.
Massima

Anche a fronte di una domanda di condanna in forma generica è onere della parte interessata riproporre o sollevare l'eccezione di prescrizione nei termini di legge, integrando tale profilo una questione preliminare di merito: in forza del principio di autoresponsabilità e affidamento processuale le parti sono difatti tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia, a riproporre ai sensi dell'art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado.

Il caso

Due lavoratori citavano in giudizio il proprio datore di lavoro al fine di ottenere l'inquadramento nel livello del contratto collettivo nazionale ritenuto corretto e la conseguente condanna della società al pagamento delle differenze retributive con decorso dalla data di maturazione dei requisiti sino a quella della domanda giudiziaria. Il Tribunale accoglieva le pretese attoree.

La pronuncia veniva confermata dalla Corte d'appello di Venezia, che riformava la pronuncia di prime cure solo in punto di spese di lite.

La società propone ricorso per cassazione denunciando, per ciò che più da vicino interessa, la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.: reputa la ricorrente che la Corte distrettuale abbia errato nel ritenere che fosse onere della convenuta quello di sollevare l'eccezione di prescrizione nel corso del giudizio incardinato per ottenere la condanna generica e non (come invece considerato corretto) nel corso del successivo giudizio relativo al quantum debeatur.

La questione

La Cassazione torna sul tema del momento ultimo entro il quale poter far valere l'eccezione di prescrizione nel caso in cui sia richiesta in giudizio una condanna generica: questa prima fase processuale oppure il successivo giudizio relativo alla quantificazione della pretesa?

Le soluzioni giuridiche

Riprendendo una pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., sent., 11 gennaio 2008, n. 581; ma cfr. anche Cass. civ., sez. lav., sent., 23 aprile 2004, n. 7734), la decisione in commento respinge la censura mossa avverso la sentenza della Corte d'appello, reputando che quest'ultima bene abbia operato nel ritenere che la società ricorrente avrebbe dovuto riproporre o sollevare l'eccezione di prescrizione nel giudizio di gravame «anche a fronte di una domanda di condanna in forma generica, integrando, tale profilo, una questione preliminare di merito, in quanto l'eventuale sussistenza della prescrizione fa venire meno ogni interesse della parte all'accertamento dell'esistenza del diritto azionato»: ulteriormente specificando questo aspetto, la Suprema Corte afferma che la ricorrente è «decaduta dall'accezione, considerato che, nel rispetto dell'autoresponsabilità e dell'affidamento processuale, le parti sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia [...] a riproporre ai sensi dell'art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado» (pag. 2 della decisione).

Osservazioni

Com'è noto, ai sensi dell'art. 2934 c.c. ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo eserciti per il tempo determinato dalla legge, salvo che si tratti di diritti indisponibili ovvero degli altri diritti che la normativa qualifichi come imprescrittibili.

Sebbene in letteratura appaia maggioritaria, in considerazione del tenore letterale della norma, l'opinione per cui la prescrizione estingua il diritto, un'autorevole dottrina reputa che l'effetto della prescrizione sia quello (non di estinguere, ma) di precludere l'esercizio del diritto medesimo: in tal senso deporrebbe il disposto dell'art. 2940 c.c., in forza del quale non è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto; nello stesso senso deporrebbe anche quanto previsto dall'art. 2937 c.c., ossia che la prescrizione maturata è rinunciabile ad opera della parte che potrebbe avvalersene; nonché il disposto dell'art. 2938 c.c., a norma del quale il giudice non può rilevare d'ufficio la prescrizione non opposta dalla parte (Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2015, 110-111).

Quest'ultima osservazione, quale che sia la soluzione da reputarsi maggiormente convincente nel dibattito di cui supra, consente di ricordare un altro comune insegnamento della dottrina, ossia che l'eccezione di prescrizione rappresenta uno degli esempi più tipici della categoria delle eccezioni in senso stretto (o, con altra terminologia, delle eccezioni in senso proprio): si tratta di eccezioni che non possono essere rilevate ex officio, ma solamente da una delle parti del giudizio (o, nel caso di specie, anche da terzi creditori o da chiunque vi abbia interesse, ex art. 2939 c.c., ma mai dal giudicante).

La pronuncia in esame, come si è visto, declina il momento ultimo entro il quale far valere l'eccezione di prescrizione, nel caso di azione avente per oggetto una condanna generica, espressamente affermando che la parte interessata deve, al fine di sottrarsi dalla presunzione di rinuncia (che non riguarda, invece, l'ipotesi di domande od eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, da parte del giudice), riproporre ai sensi dell'art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni (anche di prescrizione) non accolte in primo grado.

L'art. 278, comma 1, c.p.c., a norma del quale «quando è già accertata la sussistenza di un diritto, ma è ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, il collegio, su istanza di parte, può limitarsi a pronunciare con sentenza la condanna generica alla prestazione, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione» fonda la nozione di condanna generica, ascritta dalla dottrina al genus delle condanne speciali (o azioni speciali di condanna: cfr. Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, I, Torino, 2016, 75).

Si tratta, dunque, della possibilità di scindere il momento della pronuncia sull'an di una prestazione da quello della pronuncia sul quantum delle medesima: in particolare, si tratta del caso in cui durante lo svolgimento del processo si delinei già un sufficiente grado di certezza sul “se” della pretesa, ma non ancora sulla sua misura. In tale evenienza la norma citata dispone che l'organo deputato alla decisione della controversia (il “collegio” di cui all'art. 278 c.p.c., ma anche, chiaramente, il giudice monocratico, alla luce della riforma operata dalla l. 26 novembre 1990, n. 353) possa pronunciare, con sentenza non definitiva, una pronuncia di condanna generica, salva la prosecuzione del giudizio in merito al quantum (su istanza della parte interessata, senza che sia necessaria l'adesione della controparte, ma salvo il suo dissenso, ovvero anche d'ufficio: cfr. Cass. civ., sez. II, sent., 4 ottobre 2012, n. 16899); l'art. 278, comma 2, c.p.c. consente peraltro al giudice la possibilità di riconoscere una provvisionale o un acconto, che consiste in una vera e propria condanna sul quantum per la parte per la quale si ritenga già raggiunta la prova. Tale pronuncia, pertanto, è modificabile solo tramite l'impugnazione (Cass. civ., sez. I, sent., 15 aprile 1998, n. 3800) e gode della generale provvisoria esecutività propria di ogni sentenza di condanna, a norma dell'art. 282 c.p.c.

La sentenza di condanna generica in sé considerata, invece, non gode di questo beneficio; ciò appare legato alla peculiare struttura e natura di questa pronuncia in quanto, se essa da un lato è pur sempre una condanna, in quanto consegue all'esigenza di tutelare un bene della vita dalla violazione, dall'altro è una condanna che non potrà fondare l'esecuzione forzata fin quando non sarà integrata da un'altra condanna, concernente per l'appunto il quantum (già Carnelutti, Condanna generica di risarcimento dei danni, in Riv. dir. proc., 1952, I, 325, parlava di “mezza condanna”; parla di “accertamento parziale del diritto al risarcimento” Carratta, voce Condanna generica, in Enc. giur., VII, Roma, 1997, 10).

Nonostante tale differenza rispetto ad una sentenza di condanna per così dire tradizionale, la Cassazione reputa che non vi siano differenze tra questa e quella sul piano delle scansioni preclusive sotto il profilo del momento di possibile rilievo della prescrizione: una conclusione, quella raggiunta dalla pronuncia in nota, conseguenza e precipitato dei principi di autoresponsabilità e di affidamento processuale, tesa ad evitare che il processo di condanna generica si sottragga, in ragione delle sue innegabili peculiarità, dall'applicazione dei canoni fondanti del processo civile.

Guida all'approfondimento
  • Carratta, Condanna generica, in Enc. giur., VII, Roma, 1997, 1 ss.;
  • Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2015, 110 ss.;
  • Gualandi, Dondanda di condanna generica e richiesta del convenuto di accertamento contestuale dell'«an» e del «quantum», in Riv. trim dir. proc. civ., 1959, 1141 ss.;
  • Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano, 2013, 198 ss.;
  • Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, I, Torino, 2016, 75 ss.;
  • Montesano, Condanna senza liquidazione e condanna generica, in Giur. it., 1986, I, 1, 771 ss.;
  • Rognoni, Condanna generica e provvisionale ai danni, Milano, 1961;
  • Tomei, La sommarietà delle condanne parziali, in Riv. dir. proc., 1996, I, 350 ss.

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