Un utile (?) vademecum della Cassazione su litispendenza, opposizioni esecutive e sospensione dell'esecuzione
09 Dicembre 2019
Massima
Qualora il giudice dell'esecuzione, ravvisando identità di petitum e di causa petendi fra l'opposizione a precetto e l'opposizione all'esecuzione innanzi a lui pendente, dopo aver provveduto sulla richiesta di sospensiva, non assegni alle parti il termine di cui all'art. 616 c.p.c. per l'introduzione nel merito della seconda causa, la parte interessata a sostenere che le domande svolte nelle due opposizioni non siano del tutto coincidenti, dovrà introdurre egualmente il giudizio di merito, nel termine di cui art. 289 c.p.c., chiedendo che in quella sede sia accertata l'insussistenza della litispendenza o, comunque, un rapporto di mera continenza. Infatti, avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione, avente natura meramente ordinatoria, non possono essere esperiti né l'opposizione agli atti esecutivi, né il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., né il regolamento di competenza. Qualora siano contemporaneamente pendenti l'opposizione a precetto (art. 615, comma 1, c.p.c.) e l'opposizione all'esecuzione già iniziata (art. 615, comma 2, c.p.c.) sulla base di quello stesso precetto, i due giudici hanno una competenza mutuamente esclusiva quanto all'adozione dei provvedimenti sospensivi di rispettiva competenza, nel senso che, sebbene l'opponente possa in astratto rivolgersi all'uno o all'altro giudice, una volta presentata l'istanza innanzi a quello con il potere “maggiore” (il giudice dell'opposizione a precetto), egli consuma interamente il suo potere processuale e, pertanto, non potrà più adire al medesimo fine il giudice dell'esecuzione, neppure se l'altro non sia ancora pronunciato. Qualora, pendendo una causa di opposizione a precetto, il giudice dell'esecuzione – o il collegio adito in sede di reclamo ex artt. 624, comma 2, e 669-terdecies c.p.c. – sospenda l'esecuzione per i medesimi motivi prospettati nell'opposizione pre-esecutiva, le parti non sono tenute ad introdurre il giudizio di merito nel termine di cui all'art. 616 c.p.c. che sia stato loro eventualmente assegnato, senza che tale omissione determini il prodursi degli effetti estintivi del processo esecutivo previsti dall'art. 624, comma 3, c.p.c., in quanto Il caso
Una società notificava titolo esecutivo e contestuale precetto per l'adempimento di un credito vantato nei confronti di un condominio; quest'ultimo provvedeva immediatamente a pagare quasi l'intero debito, così residuandosi un credito di poche centinaia di euro. Per il residuo la società agiva in via esecutiva notificando atto di pignoramento presso terzi. Successivamente a tale atto, il condominio proponeva opposizione a precetto, deducendo di avere già provveduto all'integrale pagamento di quanto dovuto. Avverso tale opposizione la società creditrice eccepiva la carenza di potere del giudice dell'opposizione a precetto, giacché, essendo stato già notificato il primo atto esecutivo, l'azione avrebbe dovuto rivestire la forma del ricorso al giudice dell'esecuzione. Tale assunto veniva contestato dal condominio, il quale rilevava che la notificazione dell'atto di pignoramento si era perfezionata nei suoi confronti dopo che l'atto di citazione in opposizione era stato già notificato. Il giudice adito, rigettata l'eccezione di inammissibilità dell'azione proposta dalla convenuta, disponeva la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo. Proposto avverso detta ordinanza reclamo, questo veniva rigettato. Nel frattempo, il condominio esecutato proponeva opposizione all'esecuzione innanzi al medesimo ufficio giudiziario; preso atto della sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo disposta ai sensi del primo comma dell'art. 615 c.p.c., il giudice dell'esecuzione sospendeva il procedimento di espropriazione presso terzi ai sensi dell'art. 624 c.p.c., fissando un termine per l'introduzione del giudizio di merito. Quest'ultimo veniva avviato dalla società creditrice innanzi al giudice di pace (competente per valore); in particolare, la società creditrice, sul presupposto del mancato intero adempimento del debito, chiedeva che venisse dichiarata l'inesistenza o quantomeno la nullità del provvedimento di sospensione dell'efficacia del titolo esecutivo reso ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c. nonché di revocare il provvedimento di sospensione emesso dal g.e. Entrambe le domande venivano respinte. La creditrice proponeva appello avverso la sentenza del giudice di pace; all'esito del giudizio veniva riformata la sentenza e dichiarata la litispendenza tra il processo di opposizione all'esecuzione e quello di opposizione al precetto. Avverso quest'ultima decisione veniva proposto ricorso per cassazione; esso, tuttavia, veniva convertito in regolamento di competenza, in considerazione della circostanza che la sentenza dichiarativa della litispendenza può essere impugnata solo con il regolamento necessario di cui all'art. 42 c.p.c. La questione
La Corte di cassazione dichiara inammissibile perché tardivo il ricorso proposto, osservando come al momento della sua proposizione fosse già spirato il termine di cui all'art. 47 c.p.c., fissato in trenta giorni (anziché negli ordinari sessanta) dalla comunicazione (anziché dalla notificazione) del provvedimento impugnato. Nonostante la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la Cassazione ritiene tuttavia che la questione dedotta in giudizio, relativa ai rapporti tra l'opposizione a precetto e quella all'esecuzione, sia da considerarsi di particolare importanza; per tale motivo, avvalendosi della facoltà ad essa riconosciuta dall'art. 363 c.p.c., ritiene necessaria, in quanto nell'interesse della legge, la pronuncia del principio di diritto che avrebbe dovuto orientare il giudice di merito.
Le soluzioni giuridiche
Da sempre la giurisprudenza di legittimità afferma che sussiste litispendenza tra il giudizio di opposizione al precetto e quello di opposizione all'esecuzione successivamente proposta avverso il medesimo titolo; per la Cassazione, tale principio può essere tenuto fermo anche dopo le riforme del 2005-2006 pur essendo cambiato il volto delle opposizioni esecutive e ampliato il raggio di operatività della sospensione resa in pendenza di opposizione. In primo luogo, la nuova struttura dei giudizi di opposizione proposti dopo l'inizio dell'esecuzione permette di superare un ostacolo che in passato si frapponeva alla declaratoria di litispendenza. Prima delle riforme del 2005-2006, la definizione con la pronuncia di litispendenza dell'opposizione all'esecuzione finiva con sottrarre la causa alla competenza che l'art. 616 c.p.c., nella sua precedente formulazione, assegnava funzionalmente al giudice dell'esecuzione. Oggi, infatti, l'art. 616 c.p.c. stabilisce che il giudice dell'esecuzione, una volta chiusa la fase sommaria, fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, i.e. nelle stesse forme con le quali è proposta l'opposizione di cui al primo comma dell'articolo 615 c.p.c. La tesi che ravvisa litispendenza tra l'opposizione a precetto e l'opposizione esecutiva va ribadita anche alla luce dell'identità di petitum dei due giudizi. Come affermato di recente dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, l'opposizione proposta ai sensi dell'art. 615, comma 1 c.p.c. «non integra, in senso tecnico, un'impugnazione del titolo posto a base del precetto. Essa, piuttosto, è volta a contestare - al pari dell'opposizione all'esecuzione già iniziata - il diritto del creditore ad agire in executivis». Pertanto, il petitum dell'opposizione a precetto coincide con quello dell'opposizione all'esecuzione già iniziata: in entrambi i casi l'oggetto della domanda principale consiste nell'accertamento dell'insussistenza, in tutto in parte, del diritto del creditore ad agire in via esecutiva. Tale identità di petitum si riverbera anche sul piano della tutela cautelare. «Il presupposto per l'adozione di un provvedimento sospensivo – sia esso adottato ai sensi dell'art. 615, comma 1 c.p.c., oppure dal giudice dell'esecuzione ex art. 624 c.p.c. – è costituito dalla parvente fondatezza dell'opposizione del merito. Sicché una volta accertata l'identità di petitum della domanda di merito, tale identità non può non trasfondersi anche alle domande cautelari e ai relativi provvedimenti». Anche la causa petendi è identica nelle due cause: osserva il Supremo Collegio come le ragioni poste a fondamento dell'opposizione a precetto dell'opposizione all'esecuzione già iniziata siano “potenzialmente coincidenti”. In altre parole, con le due opposizioni si possono dedurre i fatti estintivi modificativi o impeditivi del credito che si sono verificati dopo il passaggio in giudicato del titolo esecutivo, se questo è di formazione giudiziale; laddove invece oggetto dell'opposizione siano titoli esecutivi stragiudiziali, i motivi dell'opposizione potranno investire l'intero rapporto sottostante. Ciò nonostante, la Cassazione ammette che le ipotesi in cui è possibile dichiarare la litispendenza sono concretamente molto circoscritte. La litispendenza, infatti, opera soltanto quando le cause sono pendenti davanti a uffici giudiziari diversi. Normalmente, invece, l'opposizione a precetto viene instaurata davanti allo stesso giudice che sarà competente per l'opposizione successiva all'esecuzione, giacché l'articolo 480 c.p.c. individua quale giudice competente per l'opposizione a precetto il giudice del luogo in cui il creditore ha dichiarato la residenza o eletto domicilio e tale luogo coincide con quello in cui si trovano i beni che verranno pignorati. In tutte queste ipotesi, opererà il meccanismo della riunione ai sensi dell'art. 273 c.p.c. Non è possibile però escludere che l'opposizione pre-esecutiva e quella successiva pendano innanzi ad uffici giudiziari diversi. Ciò tuttavia può accadere soltanto in ipotesi ristrette: 1) quando il creditore dichiari la propria residenza o elegga il domicilio in un circondario in cui si trovano beni del debitore diversi da quelli che saranno poi effettivamente pignorati; 2) quando l'atto di precetto non contenga la dichiarazione di residenza nell'elezione di domicilio e sia notificato in un luogo diverso da quello in cui verrà intrapresa l'azione esecutiva; 3) quando il creditore abbia effettuato la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio in un luogo in cui non vi sono beni del debitore utilmente pignorabili e il debitore, nel proporre l'opposizione, aderisca a tale indicazione e l'incompetenza territoriale non venga rilevata d'ufficio. Anche con riguardo alla competenza verticale, l'istituto della litispendenza risulta di rara applicazione: può accadere che l'opposizione a precetto e l'opposizione all'esecuzione pendano dinanzi a due uffici giudiziari diversi solo nell'ipotesi in cui nelle more tra l'introduzione del primo giudizio e del secondo intervenga un pagamento parziale. Potrebbe cioè accadere che, proposta opposizione a precetto innanzi al tribunale, venga successivamente effettuato un pagamento parziale e la successiva opposizione all'esecuzione venga introdotta nel merito ai sensi dell'articolo 616 c.p.c. innanzi al giudice di pace. Per la Cassazione inoltre la litispendenza può essere dichiarata anche quando le due cause pendono dinanzi a giudici diversi: ciò ad avviso del Supremo Collegio può accadere quando la causa di opposizione a precetto sia definita con sentenza e la causa di opposizione all'esecuzione penda ancora in primo grado. Precisa tuttavia la sentenza in commento che se non è possibile “per ragioni di ordine processuale” disporre la riunione o dichiarare la litispendenza, la seconda andrà sospesa ai sensi dell'art. 295 c.p.c. Le conclusioni appena rassegnate spingono la Corte di cassazione ad un'ulteriore riflessione: l'identità di petitum, di parti e di causa petendi tra i due giudizi rendono evidente che, una volta proposta opposizione a precetto, la successiva introduzione dell'opposizione all'esecuzione successiva si traduce in uno spreco di attività processuale, come peraltro confermato dalla circostanza che in tali deve essere dichiarata la litispendenza o, come accade più di frequente, la riunione. Se ciò è vero, allora, deve escludersi che l'opponente debba introdurre nel merito l'opposizione all'esecuzione, potendosi limitare semplicemente a proporre ricorso al giudice dell'esecuzione per l'instaurazione della fase sommaria, laddove non abbia già chiesto al giudice dell'opposizione a precetto la sospensione della efficacia esecutiva del titolo. In altre parole, il debitore sarà tenuto ad introdurre solo la fase sommaria dell'opposizione esecutiva, in quanto fase necessaria del giudizio di opposizione all'esecuzione (come di recente affermato dalla stessa Corte con la sentenza n. 25170/2018), solo qualora non abbia chiesto previamente la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo e, subito il pignoramento, intenda ottenere la sospensione degli ulteriori atti esecutivi. Se il giudice dell'esecuzione erroneamente assegna il termine per l'introduzione del giudizio di merito le parti potranno disattenderlo, evitando così di introdurre un nuovo giudizio. A tale conclusione la Cassazione giunge partendo dall'obiter contenuto nella decisione a Sezioni Unite del 23 luglio del 2019, n. 19889, secondo cui deve escludersi la facoltà per il debitore di poter ottenere il provvedimento di sospensione sia dal giudice dell'opposizione a precetto sia dal giudice dell'esecuzione, essendo le richieste di sospensiva basate sugli identici motivi non concorrenti, ma mutualmente esclusivi; in sostanza, sussiste una sorta di continenza cautelare «fra la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo prevista dall'articolo 615, comma 1, c.p.c. e la sospensione della procedura esecutiva di cui all'articolo 624 c.p.c., giacché la prima inibisce al creditore di agire in executivis sull'intero patrimonio dell'opponente e determina, al contempo, la stasi dell'eventuale espropriazione nel frattempo già avviata, mentre la seconda produce i propri effetti solo sull'azione esecutiva cui si riferisce». Pertanto, ad avviso della decisione che qui si commenta, il debitore opponente può chiedere l'adozione dei provvedimenti sospensivi sia al giudice dell'opposizione a precetto sia al giudice dell'esecuzione, ma nel momento in cui ha adito il primo non potrà rivolgersi anche al secondo, avendo già che ha consumato il suo potere processuale. In conclusione, dunque, intanto il giudice dell'esecuzione può provvedere sull'istanza di sospensione, in quanto la richiesta di sospensiva non sia stata già proposta al giudice dell'opposizione a precetto. Osservazioni
La sentenza in commento si inserisce nell'opera recentemente avviata dalla Corte di cassazione di “sistematizzazione” della disciplina relativa alle opposizioni esecutive e alla sospensione dell'esecuzione (v. la recentissima Cass. civ., Sez. Un., n. 19889/2019). A ben vedere, però, in questa occasione, il Supremo Collegio non si è limitato a esercitare la propria funzione nomofilattica, giacché, più che in presenza di una sentenza, ci troviamo davanti ad un vero e proprio trattato (con tanto di paragrafi e sotto paragrafi) nel quale si rinvengono numerose indicazioni operative su come intendere ed applicare la disciplina contenuta negli artt. 615, 623 e 624 c.p.c. Ora, se da un lato è da giudicare favorevolmente le conseguenze di una tale opera ricostruttiva, giacché in tal modo vengono repressi i possibili (ed invero assai frequenti) disorientamenti della giurisprudenza di merito, così fornendo agli operatori del sistema giustizia la corretta interpretazione delle norme sostanziali e processuali, dall'altro lato, sorge il legittimo dubbio che tale compito possa essere sistematicamente esercitato dalla Corte, giacché così facendo si rischia di snaturare la funzione spettante alla Cassazione, che non è solo quella di assicurare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, ma anche quella di realizzare lo ius litigatoris. Svolta questa premessa, siano consentite alcune brevi primissime osservazioni. In primo luogo, suscita perplessità la ricostruzione dell'opposizione a precetto quale giudizio tendente all'accertamento dell'inesistenza del diritto del creditore di procedere in executivis come identificato nell'atto di precetto. Quest'indirizzo, già fatto proprio dalla recentissima decisione delle Sezioni Unite n. 19899/2019, si basa sulla premessa – necessaria, sebbene non dichiarata dalla sentenza in commento – di considerare il precetto come l'atto che individua la pretesa esecutiva di cui si chiede il soddisfacimento; solo in tal modo, infatti, è possibile affermare che oggetto dell'opposizione di cui all'art. 615, comma 1, c.p.c. al pari dell'opposizione successiva, è «l'azione esecutiva: con l'evidente conseguenza che il precetto individua, sul piano soggettivo ed oggettivo, la pretesa esecutiva di cui si chiede il soddisfacimento» (Saletti, Processo esecutivo e prescrizione. Contributo alla teoria della domanda esecutiva, Milano, 1992, 50). A mio parere, va però escluso che la domanda esecutiva possa ritenersi integrata dall'atto di precetto. Se tale conclusione era predicabile vigente l'abrogato codice (v. per tutti Allorio, Perenzione, in Enc. giuridica italiana, XIII, II, Milano, 1938, 327), oggi, il dato inequivoco degli artt. 491, 608 e 612 c.p.c. non lascia più dubbi: il precetto è atto preliminare dell'esecuzione forzata, che inizia solo con il compimento del pignoramento (o con la notifica dell'avviso di rilascio o con il ricorso al giudice dell'esecuzione per la determinazione delle modalità esecutive). Non si dubita che nella stragrande maggioranza dei casi il precetto predetermini il contenuto della futura pretesa esecutiva e che il destinatario dell'atto di pignoramento sia normalmente il soggetto indicato nel precetto; ciò tuttavia non significa che quest'ultimo atto costituisca un coelemento di una fattispecie complessa che si completerà con la richiesta esecutiva. Ne sia prova la circostanza che può verificarsi l'eventualità del pignoramento, da parte dell'ufficiale giudiziario, di beni del debitore che non abbia previamente ricevuto la notifica del titolo esecutivo e del precetto. Inoltre, l'equiparazione tra opposizione a precetto e opposizione all'esecuzione lascia dubbiosi anche sotto il correlato profilo della latitudine dei provvedimenti di sospensione esterna ed interna dell'esecuzione: afferma la Cassazione che, nonostante l'identità di petitum e di causa petendi tra le due opposizioni, la sospensione disposta dal giudice dell'opposizione a precetto presenta un'ampiezza maggiore, consistendo nell'inibizione di qualsiasi futura azione esecutiva. Ora, se è vero che la sospensione “esterna”, ha un ambito ed un'efficacia maggiore di quella “interna” disposta dal giudice dell'esecuzione, ciò è conseguenza di due circostanze che la Cassazione sembra non voler considerare: 1) a differenza del giudizio di opposizione all'esecuzione, molto più ampio è l'oggetto dell'opposizione di cui al primo comma dell'art. 615 c.p.c., in quanto giudizio avente ad oggetto l'accertamento negativo del diritto di procedere ad esecuzione consacrato nel titolo esecutivo e non solo della singola azione esecutiva instaurata dal creditore; 2) stando al precedente rappresentato Sez. Un., 19899/2019, peraltro più volte richiamato dalla sentenza in commento, i presupposti della sospensione pre-esecutiva sono sui generis, non confondibili con quelli dell'art. 624 c.p.c., perché l'interesse che si intende tutelare è quello a non subire atti esecutivi ingiusti in conseguenza della notifica di un determinato atto di precetto: «il potere del giudice dell'opposizione pre-esecutiva si riferisce all'idoneità del titolo ad essere posto a base di ogni esecuzione astrattamente fondata sul medesimo come in concreto azionato con quello specifico precetto, mentre il potere del giudice dell'esecuzione iniziata può incidere solo sullo specifico singolo processo esecutivo» (sent. n. 19889/2019, § 49). Invero, la stessa Cassazione è consapevole della difficoltà di ammettere una maggiore latitudine del provvedimento di sospensione esterna rispetto a quella interna nonostante l'identità di petita nelle due azioni, tanto che si limita a ricondurla, senza un'adeguata giustificazione, alla «maggiore tempestività dell'opposizione proposta a precetto rispetto all'opposizione all'esecuzione» (§ 5.3). Ancora, come è stato giustamente osservato in dottrina (Zingales, Opposizioni esecutive ex art. 615 cod. proc. civ. e litispendenza: osservazioni, a primissima lettura, a Corte Cass., Sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26285, in www.inexecutivis.it), la soluzione di ammettere la sospensione di cui all'art. 295 c.p.c., laddove l'identità di causa non sia in grado di portare - per ragioni di natura processuale - alla riunione o alla litispendenza (si v. § 6.5) sembra contrastare con la nozione stessa di sospensione del processo, ammessa ai sensi dell'art. 295 solo in caso di pregiudizialità c.d. tecnica. Come è noto, per la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. civ., Sez. Un., 12 dicembre 2013, n. 27846; Cass. civ., 18 giugno 2018, n. 15981) la sospensione necessaria implica un rapporto di pregiudizialità - dipendenza tra "cause distinte", per cui l'identità delle cause preclude la sospensione del processo più recente ai sensi dell'art. 295, o dell'art. 337 c.p.c. (Cass. civ., 31 luglio 2017, n. 19056). Di ciò peraltro sembra essere consapevole anche la stessa decisione in commento, tanto che in un passaggio della stessa si legge testualmente che «non è possibile la sospensione del processo instaurato per secondo, ai sensi dell'art. 295 c.p.c. o dell'art. 337, comma 2, c.p.c. a ciò ostando l'identità delle domande formulate nei due diversi giudizi» (§ 6.4).
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