Il caso. L'attrice, nel 2011, conveniva in giudizio un'azienda ospedaliera esponendo che la propria madre era stata ricoverata in quell'ospedale, che a seguito di due interventi chirurgici morì, che i due interventi non erano stati preceduti da un'adeguata informazione della paziente e che i sanitari non avevano eseguito correttamente la propria prestazione, causando il decesso della paziente. In primo grado la domanda attorea veniva rigettata. La Corte d'Appello, adita successivamente, rinnovava la consulenza tecnica d'ufficio (CTU) eseguita in primo grado, ma rigettava il gravame dell'appellante. Intervengono così i Giudici di legittimità.
I poteri di indagine del CTU. In particolar modo con il motivo di gravame la ricorrente censura che: il CTU nominato in grado di appello per rispondere alle domande acquisì direttamente dall'ospedale convenuto documenti (nello specifico le cartelle cliniche della paziente) mai da questo allegati agli atti di causa e l'acquisizione di tali documenti non fu mai autorizzata dal giudice.
Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione afferma che il CTU non può indagare d'ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti, non può acquisire «di sua iniziativa la prova dei fatti costituitivi della domanda o dell'eccezione, né acquisire dalle parti o da terzi documenti che forniscano quella prova; a tale principio può derogarsi soltanto quando la prova del fatto costituivo della domanda o dell'eccezione non possa oggettivamente essere fornita coi mezzi di prova tradizionali». Il CTU può acquisire da terzi solo la prova di fatti tecnici accessori e secondari, «oppure elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti». Tali principi affermati dal Collegio non sono derogabili per ordine del giudice e neanche per acquiescenza delle parti ed inoltre «la nullità della consulenza, derivante dall'avere il CTU violato il principio dispositivo o le regole sulle acquisizioni documentali, non è sanata dall'acquiescenza delle parti ed è rilevabile d'ufficio».
Nel caso in esame, la Corte distrettuale doveva accertare se i documenti acquisiti direttamente dal CTU rientrassero nel novero di quelli pe cui l'acquisizione diretta è consentita: e ciò non è avvenuto. Inoltre, anche a voler credere che il CTU abbia voluto acquisire il documento, in particolar modo la cartella clinica solo per verificare la genuinità della copia di essa prodotta dalla ricorrente, tale acquisizione sarebbe dovuta avvenire nel processo.
Sulla base di tali principi, la sentenza impugnata va dunque, su questo punto, cassata con rinvio alla Corte d'Appello, in diversa composizione, per nuovo esame.
(Fonte: dirittoegiustizia.it)