Opposizione ai provvedimenti in materia di riabilitazione del debitore protestato

02 Gennaio 2020

Ai sensi dell'art. 17, comma 3, della l. n. 108/1996, avverso il provvedimento con cui il Presidente del Tribunale abbia negato la riabilitazione al debitore e avverso il decreto di riabilitazione, pubblicato nel Bollettino dei protesti cambiari, chiunque vi abbia interesse può proporre opposizione ai sensi del medesimo comma 3.
Inquadramento

La legge 12 febbraio 1955, n. 77, come modificata dalle leggi 18 agosto 2000, n. 235 e 12 dicembre 2002, n. 273 e dal decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 consente, al ricorrere di determinate condizioni, che il debitore il quale abbia subito la levata del protesto (per mancato pagamento di titoli cambiari) di ottenere su propria richiesta, la cancellazione del proprio nome dal registro informatico di cui all'articolo 3 bis del decreto legge 18 settembre 1995, n. 381, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 novembre 1995, n. 480.

In particolare, perché possa ottenere la suddetta cancellazione, il debitore deve provvedere al pagamento della cambiale o del vaglia cambiario protestati, unitamente agli interessi maturati come dovuti e alle spese per il protesto, per il precetto e per il processo esecutivo eventualmente promosso, entro 12 mesi dalla levata del protesto.

L'istanza, redatta secondo il modulo allegato alla legge, va presentata al presidente della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per territorio.

La domanda di cancellazione deve essere corredata del titolo quietanzato e dell'atto di protesto o della dichiarazione di rifiuto del pagamento, nonché della quietanza relativa al versamento del diritto di cui al comma 5, dell'art. 4 della legge n. 77 del 1955.

Trattasi, quindi, di un procedimento che, nella prima fase, è degiurisdizionalizzato e quindi di natura amministrativa.

La stessa procedura trova applicazione allorquando l'istanza provenga da colui il quale lamenti di aver subito, illegittimamente o erroneamente, la levata di protesto a proprio nome. Ed ancora, la procedura illustrata è prevista quale forma di “revoca” in autotutela esperibile dagli stessi pubblici ufficiali incaricati della levata del protesto o dalle aziende di credito, quando hanno proceduto illegittimamente od erroneamente alla levata del protesto.

Pervenuta l'istanza di cancellazione, il responsabile dirigente dell'ufficio protesti provvede sulla stessa non oltre il termine di venti giorni dalla data di presentazione.

Sulla base dell'accertamento della regolarità dell'adempimento o della sussistenza della illegittimità o dell'errore del protesto, il responsabile dirigente dell'ufficio protesti accoglie l'istanza e, conseguentemente, dispone la cancellazione richiesta, curando sotto la sua personale responsabilità l'esecuzione del provvedimento, da effettuare non oltre cinque giorni dalla pronuncia dello stesso, mediante la cancellazione definitiva dal registro dei dati relativi al protesto, che si considera, a tutti gli effetti, come mai avvenuto.

In caso contrario, decreta la reiezione dell'istanza.

Ove invece il pagamento sia avvenuto dopo 12 mesi o il protesto sia stato levato per assegni e titoli bancari non pagati, trova applicazione il procedimento per la riabilitazione previsto dall'art. 17 della legge n. 108/1996.

In particolare, a mente della citata disposizione, il debitore protestato che abbia adempiuto all'obbligazione per la quale il protesto è stato levato e non abbia subito ulteriore protesto ha diritto ad ottenere, trascorso un anno dal levato protesto, la riabilitazione.

La competenza a concedere il decreto di riabilitazione spetta al Presidente del Tribunale su istanza dell'interessato corredata dai documenti giustificativi.

La procedura, trattata nell'ambito della volontaria giurisdizione, non prevede particolari formalità e neppure l'instaurazione del contraddittorio con il creditore risultante dal titolo per cui è stato levato il protesto.

Il Presidente del Tribunale, infatti, verificata la regolarità della documentazione ed eventualmente richiesta opportuna integrazione provvede con decreto alla concessione o meno della riabilitazione.

Per effetto della riabilitazione il protesto si considera, a tutti gli effetti, come mai avvenuto.

Il debitore protestato e riabilitato ha infine diritto di ottenere la cancellazione definitiva dei dati relativi al protesto anche dal registro informatico di cui all'articolo 3-bis del decreto-legge 18 settembre 1995, n. 381, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 novembre 1995, n. 480.

La cancellazione dei dati del protesto è disposta dal responsabile dirigente dell'ufficio protesti competente per territorio non oltre il termine di venti giorni dalla data di presentazione della relativa istanza, corredata del provvedimento di riabilitazione.

Come si vedrà, il procedimento per la cancellazione dal registro dei protesti per la levata cambiaria, una volta esaurita la prima fase degiurisdizionalizzata, confluisce – ove vi siano interessi contrapposti e confliggenti – in due diverse forme di opposizione, a seconda che la prima fase si sia conclusa con l'accoglimento dell'istanza o con il suo rigetto ovvero ancora non sia intervenuta la decisione da parte dell'autorità competente.

In evidenza

In caso di più protesti (di assegni o cambiali) levati nel triennio a carico del medesimo soggetto, l'istanza di riabilitazione può essere accolta, purché sia provato l'adempimento delle obbligazioni sottostanti ed ancorché non intercorra il periodo minimo di un anno tra ciascuno dei protesti pregressi, reputandosi realizzata la condizione di legge per la sola assenza di ulteriore protesto nell'anno successivo all'ultimo protesto levato.

La competenza è del Presidente del Tribunale del luogo di residenza dell'interessato.

L'impugnazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze previste dall'articolo 4 della legge 12 febbraio 1955, n. 77

Si è già anticipato come, a seconda della fase in cui viene richiesta la riabilitazione (ovvero la cancellazione dal registro dei protesti, ove il debitore abbia adempiuto entro 12 mesi dalla levata), l'ordinamento appresti diversi mezzi di reazione, sia a tutela del debitore interessato sia, eventualmente, a tutela dei terzi, come ad esempio, il titolare del credito incorporato nel titolo per cui era stato levato il protesto.

La normativa di riferimento appare piuttosto frastagliata e per certi versi sovrapposta, sicché appare opportuno procedere con ordine distinguendo le varie ipotesi.

Un primo caso viene in rilievo allorquando il responsabile dell'ufficio protesti rigetti l'istanza di cancellazione oppure non si pronunci nel termine previsto.

In tale ipotesi, l'interessato può ricorrere all'autorità giudiziaria ordinaria.

Tali controversie sono disciplinate dall'articolo 12 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150.

In particolare, l'art. 4, quarto comma, della legge 12 febbraio 1955, n. 77 (come modificata dalla legge 18 agosto 2000, n. 235, e dalla legge 12 dicembre 2002, n. 273), attribuisce al giudice di pace una specifica competenza in tema di tutela del debitore che chieda di essere cancellato dagli elenchi dei protesti cambiari per aver onorato il proprio debito o perché l'iscrizione nel relativo registro risulti illegittima.

Possiamo dunque affermare che, in tale ipotesi, l'unico soggetto legittimato ad adire l'autorità giudiziaria è il debitore interessato e che, ancora in tale fase, l'ordinamento non riconosce la legittimazione a contraddire del creditore di cui al titolo (in tal caso, pare verosimile affermare che il contraddittore sia l'ufficio che ha negato la cancellazione o non abbia esitato l'istanza nel termine di venti giorni previsto dalla legge).

Processualmente, secondo il disposto di cui all'art. 12 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze previste dall'articolo 4 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, e quelle avverso la mancata decisione sulle medesime istanze sono regolate dal rito del lavoro e il giudice di pace territorialmente competente viene individuato con esclusivo riferimento alla residenza del debitore protestato.

Le novità introdotte dal decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 non concernono il rito applicabile e il giudice competente, e si riscontrano invece nella indicazione autoritativa delle disposizioni, tra quelle codicistiche, la cui applicazione è esclusa nei procedimenti da tale decreto regolati (in proposito dispone l'art.2 del decreto legislativo n. 150/2011); nella difforme previsione delle modalità con le quali attuare l'eventuale mutamento del rito (si applica l'art. 4 dello stesso decreto legislativo) e nella parificazione delle parti quanto a facoltà loro riconosciute nel processo.

Nello specifico, a mente dell'art. 2 del d.lgs. 1° settembre 2011, n.150, risultano escluse nei procedimenti ricondotti dal decreto allo schema del rito del lavoro, e tra essi quello in tema di protesti cambiari, tra le altre, le norme relative:

-alla determinazione della competenza territoriale del giudice (art. 413 c.p.c.);

-alla notificazione all'amministrazione convenuta nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (art. 415, comma 7, c.p.c.);

-alla costituzione e difesa in giudizio delle parti costituite (art. 417 c.p.c.);

-alla Difesa in giudizio della Pubblica amministrazione (art. 417-bis c.p.c.);

-al mutamento del rito (artt. 426 e 427 c.p.c.);

-alla individuazione del giudice di appello (art. 433 c.p.c.).

Per esclusione, dunque, deve ritenersi che siano astrattamente compatibili, tra le altre, le norme relative alla forma della domanda (art. 414 c.p.c.), agli adempimenti preliminari successivi al deposito del ricorso (art. 415 c.p.c.), alla domanda riconvenzionale (art. 418 c.p.c.), alla discussione (art. 420 c.p.c.), oltre a quelle relative ai poteri istruttori del giudice, alle ordinanze di pagamento somme; al rilievo e pronuncia dell'incompetenza; alla lettura del dispositivo in udienza e al deposito della sentenza.

Processualmente, quindi, l'impugnazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze previste dall'articolo 4 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, e quella avverso la mancata decisione sulle medesime istanze, si propongono con ricorso da depositarsi presso la cancelleria del giudice di pace nel cui circondario ha la residenza il ricorrente.

Al deposito del ricorso segue la fissazione dell'udienza da parte del Giudice e l'ordine di notifica all'amministrazione resistente.

Una volta instaurato il contraddittorio, si procederà all'istruttoria ove vi sia richiesta negli atti introduttivi delle parti e il Giudice ritenga di ammettere i mezzi di prova articolati.

Pare difficilmente applicabile, in materia, la sospensione provvisoria del provvedimento impugnato con l'opposizione (art. 5 d.lgs. n. 150/2011), atteso che, come visto, con tale procedimento si impugna il diniego o il silenzio serbato dall'amministrazione competente in ordine all'istanza di cancellazione dell'iscrizione del protesto nel relativo registro.

Come anticipato, trova applicazione la norma di cui all'art. 421, comma 2, c.p.c. relativa ai poteri istruttori del giudice i quali devono essere esercitati nell'osservanza delle limitazioni disposte dal codice civile (ad esempio i limiti di ammissibilità della prova per testimoni).

Quanto all'eventuale mutamento di rito, non si applicano le norme di cui agli artt. 426 e 427 c.p.c., ma trova applicazione la specifica diposizione di cui all'art. l'art. 4 d.lgs. n. 150/2011, a mente della quale la non conformità del rito al contenuto della causa è rilevata anche d'ufficio dal giudice, ma non oltre la prima udienza di comparizione delle parti.

Ove, quindi, l'opposizione in tema di protesto cambiario non è proposta con il rito lavoro, il giudice di pace, entro e non oltre la prima udienza, dispone con ordinanza il mutamento del rito e fissa l'udienza di discussione di cui all'art. 420 c.p.c. e fissa il termine perentorio entro il quale le parti devono provvedere all'eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria.

L'opposizione viene decisa con sentenza, mediante lettura del dispositivo in pubblica udienza o mediante lettura del dispositivo unitamente alla motivazione.

Quanto al regime dell'impugnazione, il d.lgs. n. 150/2011 ha espressamente dichiarato non applicabile l'art. 433 c.p.c. che individua il Giudice dell'impugnazione nella Corte d'Appello territorialmente competente in funzione di Giudice del Lavoro.

Ciò indubbiamente porta l'interprete a ritenere che l'impugnazione è proposta conformemente alle regole generali dettate per il giudizio di cognizione ordinario, con la conseguenza che il giudice dell'appello competente è il Tribunale individuato secondo i criteri di attribuzione della competenza per territorio, ovvero il Tribunale nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.

Quanto alle caratteristiche del procedimento, esso, come chiarito dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza 25 febbraio 2009, n. 4464, introduce un ordinario giudizio di cognizione, pienamente autonomo rispetto alla pregressa fase amministrativa di diniego o silenzio, nel quale il giudice di merito deve procedere al concreto accertamento del diritto fatto valere dall'interessato.

In evidenza

In caso di mutamento del rito, gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento; restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento.

Mette conto rilevare che, come espressamente statuito dalla Suprema Corte, l'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011, che disciplina il mutamento del rito in caso di controversia promossa in forme diverse da quelle previste nel medesimo decreto, concerne esclusivamente il ben determinato ambito di applicazione del testo normativo in cui è inserito, il quale non attiene a quanto era già disciplinato dal codice di rito all'epoca della sua emanazione, bensì a varie norme speciali che attribuivano alla fattispecie sostanziale delle peculiarità processuali, e ciò al fine di raggrupparle in tre modalità (il rito ordinario, il rito del lavoro ed il rito sommario), in un'ottica semplificativa-efficientistica, ovvero accelaratoria; ne deriva che il citato art. 4 non costituisce una norma generale abrogativa e sostitutiva delle norme specifiche di cui agli artt. 426 e 427 c.p.c., rispetto alle quali si pone come eccezione nei soli casi, compresi appunto nel decreto, in cui non sia stato fatto riferimento espresso a quelle che rimangono le due norme generali di coordinamento tra rito ordinario e rito lavoristico/locatizio (Cass. civ., 25 maggio 2018, n. 13072)

Opposizione avverso il provvedimento del presidente del tribunale ai sensi dell'art. 17 della legge 7 marzo 1996, n. 108

Ai sensi dell'art.17,comma 3, della l.n. 108/1996, avverso il provvedimento con cui il Presidente del Tribunale abbia negato la riabilitazione al debitore e avverso il decreto di riabilitazione, pubblicato nel Bollettino dei protesti cambiari, chiunque vi abbia interesse può proporre opposizione ai sensi del medesimo comma 3.

Anche tale opposizione è disciplinata dal decreto legislativo 1°settembre 2011, n. 150 e, in particolare, dall'art. 13, come espressamente previsto dall'art. 17 della legge n. 108/1996.

Sotto il profilo specificamente processuale, l'opposizione si introduce con ricorso e il rito applicabile è quello del lavoro.

Competente a decidere l'opposizione è la Corte d'appello nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio Giudiziario a cui appartiene il Presidente abbia concesso o negato la riabilitazione.

Il ricorso deve essere presentato, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento di diniego di riabilitazione o dalla pubblicazione del decreto di riabilitazione effettuata ai sensi dell'articolo 17, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all'estero.

Posta la legittimazione a proporre opposizione anche dei terzi interessati, deve ritenersi che, in tal caso, anche il creditore risultante dal titolo possa avvalersi dell'impugnazione.

Per quest'ultimo il termine decorre dalla pubblicazione del decreto nel registro informatico ei protesti cambiari.

Mentre per il debitore protestato il termine decorre dalla comunicazione del provvedimento.

Anche per il provvedimento che accoglie il ricorso è prevista la pubblicità notizia di natura dichiarativa mediante pubblicazione nel registro informatico dei protesti cambiari.

Essendo prevista l'applicazione del rito del lavoro, deve ritenersi che, nonostante la peculiarità del provvedimento impugnato (decreto del Presidente del Tribunale emesso ex art. 17 l. n. 108/1996), la forma dell'atto introduttivo dell'impugnazione è il ricorso e l'ammissibilità dello stesso, con riferimento al rispetto del termine di 30/60 giorni, va computato alla data di deposito dello stesso.

Ne consegue che, ove l'appello sia stato erroneamente introdotto con citazione, assume rilievo solo la data di deposito di quest'ultima, giacché non può trovare applicazione, onde superare la decadenza maturata a carico dell'appellante, l'art. 4, comma 5, del citato decreto legislativo, riferendosi tale norma esclusivamente al mutamento del rito disposto in primo grado e non già in appello. (cfr. Cass. civ., 2 agosto 2017, n. 19298, in materia di opposizione a verbale di accertamento di violazione del codice della strada.)

Particolare rilievo meritano le questioni di competenza nel procedimento camerale innanzi al Presidente del Tribunale.

Come accennato, trattasi di procedimento da annoverarsi nell'ambito della volontaria giurisdizione e di natura camerale.

Per tale natura si è posto il problema della compatibilità con il regolamento di competenza ove il Presidente del Tribunale adito neghi la propria competenza.

La Suprema Corte, muovendo dall'assunto per cui il regolamento di competenza richiesto d'ufficio non costituisce un mezzo d'impugnazione, ma è uno strumento volto a sollecitare alla Corte regolatrice l'individuazione del giudice naturale, precostituito per legge, al quale compete la trattazione, interinale o provvisoria, ma comunque esclusiva, dell'affare, lo ha ritenuto compatibile con i procedimenti di volontaria giurisdizione, nei conflitti positivi o negativi di competenza. (Cass. civ., 22 settembre 2005, n. 18639).

Conseguentemente, il regolamento di competenza d'ufficio deve ritenersi ammissibile anche nel procedimento di riabilitazione di cui all'art. 17 della legge 7 marzo 1996, n. 108, nonostante lo stesso, in caso di reclamo alla corte d'appello avverso il decreto emesso dal presidente del tribunale, si concluda con un provvedimento privo dei caratteri di decisorietà e definitività, e quindi non impugnabile né con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., né con il regolamento di competenza ad istanza di parte.

In evidenza

Il decreto della Corte d'appello che, pronunciandosi in camera di consiglio ai sensi della legge 7 marzo 1996, n. 108, art. 17, comma 3, rigetti il reclamo proposto dal debitore
protestato avverso il provvedimento del presidente del tribunale di diniego dell'istanza di riabilitazione, avanzata dallo stesso debitore, non è impugnabile per Cassazione con il mezzo straordinario previsto dall'art. 111 Cost. Seppure preordinato all'attuazione di un interesse dalla norma stessa (il comma 1) definito come diritto, quel decreto non richiede altro che la verifica giudiziale delle condizioni cui la legge condiziona la riabilitazione, e – a differenza del provvedimento emesso in esito al reclamo proposto, ai sensi del comma 4, da un diverso interessato avverso il decreto che la riabilitazione abbia disposto – non è destinato a risolvere alcun conflitto tra diritti contrapposti. Esso non ha, conseguentemente, alcuna attitudine al giudicato, e si sottrae perciò al regime del ricorso per cassazione (Cass. civ., sentenza 28 marzo 2006, n. 7020).

La tutela cautelare del debitore illegittimamente protestato

Come visto, per la cancellazione del protesto illegittimo è prevista una prima fase amministrativa ai sensi dell'art. 4, comma 2, legge n. 77/1955.

Per tale ragione, i tribunali di merito, ai fini della ammissibilità dell'eventuale ricorso in via d'urgenza ex art. 700 c.p.c., distinguono le ipotesi di richiesta di sospensione di un protesto asseritamene illegittimo o erroneo da quelle aventi ad oggetto la cancellazione in via d'urgenza. Per la prima ipotesi, non pare possa dubitarsi dell'astratta ammissibilità del ricorso al rimedio cautelare atipico d'urgenza ex art. 700 c.p.c.

Quanto alle richieste di cancellazione articolate col suddetto strumento cautelare, particolare interesse merita quell'orientamento, che riconosce la facoltà del soggetto protestato di adire direttamente il giudice, anche in via cautelare, in tutti i casi di protesto illegittimo della cambiale o del vaglia cambiario per ragioni diverse da quelle immediatamente risultanti dal titolo, e rispetto alle quali non può ritenersi sussistente la competenza del presidente della camera di commercio, come nel caso tipico di sottoscrizione apocrifa del titolo protestato, ovvero in tutti gli altri casi per i quali si rendano necessari accertamenti non demandabili in via amministrativa (Tribunale Nola, 23 luglio 2008).

Infine, anche nel caso in cui il protesto illegittimo di cui si chiede la cancellazione riguardi un assegno, deve ritenersi esperibile il ricorso immediato al Giudice ordinario ex art. 700 c.p.c.

Ed infatti, come visto, la tutela accordatadalla legge 12 febbraio 1955, n. 77 riguarda esclusivamente il debitore cambiario (illegittimamente/erroneamente) protestato (potendo richiedere la cancellazione del proprio nome dall'elenco dei protesti, ai sensi dell'art. 4 della legge come modificata dalla legge 18.8.2000 n. 235, soltanto il debitore «che esegue il pagamento di una cambiale o di un vaglia cambiario (…) o che dimostri di aver subito levata di protesto al proprio nome illegittimamente od erroneamente».

Conseguentemente, parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto ammissibile, in tali casi, il ricorso immediato alla tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. (Tribunale Roma, 19 dicembre 2006, Tribunale Torre Annunziata, 20 febbraio 2007).

Riferimenti
  • AA.VV., Commentario breve al codice di procedura civile, Ed. 2016, Padova;
  • Fabio Fiorucci, Il protesto. Cancellazione, forme di responsabilità e tutela d'urgenza ex art. 700 c.p.c., paragrafo 4.4., 2 Ed. Giuffrè, 2009.
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