Ammissione al passivo fallimentare: la prescrizione del credito tributario non va al giudice tributario
22 Gennaio 2020
Premessa
Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 34447, depopsitata il 24 dicembre 2019, ha deliberato un'importante decisione sul tema della ripartizione della giurisdizione fra giudice ordinario (nella specie, fallimentare) e giudice tributario, con dichiarato ripensamento rispetto a precedente orientamento. La fattispecie è non inusuale: il Tribunale Fallimentare di Palermo in un giudizio ex art. 98 L. Fall. (fra poco non si chiamerà più così, ma per comodità espositiva ricorriamo alla vecchia denominazione, trattandosi peraltro di fattispecie regolata processualmente dalla vecchia legge) ha solo parzialmente ammesso il credito dell'Agente della riscossione, dichiarandone in parte la prescrizione, motivata dal decorso del tempo dopo la intervenuta notifica delle cartelle esattoriali. Questione deferita alle Sezioni Unite: giurisdizione
La questione è stata deferita alle Sezioni Unite proprio in quanto attinente alla giurisdizione.
Infatti, il primo motivo del ricorso espressamente si doleva dell'esistenza di una pronuncia, quella del Tribunale quale giudice fallimentare (e prima del Giudice delegato, in sede di ammissione del credito al passivo) asseritamente lesiva del principio sancito dall'art. 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere il Tribunale dichiarato la parziale estinzione dei crediti erariali fatti valere dal concessionario per l'avvenuto decorso del termine prescrizionale, pur essendo privo di giurisdizione in materia. La Corte ha preliminarmente - e questa operazione di sussunzione è poi quella che sostanzialmente motiva la decisione in commento - qualificato la controversia come decisione sulla prescrizione di una obbligazione tributaria dopo la intervenuta notifica della cartella esattoriale. Infatti, pur dopo aver ricordato che l'orientamento espresso dalla stessa Corte (sentenze Sezioni Unite n. 14648/2017, sez. I n. 15717/2019, sez. VI-I n. 21483/2015), secondo cui qualora, in sede di ammissione al passivo fallimentare, il curatore eccepisca la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notifica della cartella, viene in considerazione un fatto estintivo dell'obbligazione che involge l'an ed il quantum del tributo, sicché́ la giurisdizione sulla relativa controversia spetta al giudice tributario, con la conseguenza che il giudice delegato deve ammettere il credito in oggetto con riserva, anche in assenza di una richiesta di parte in tal senso, la Corte a Sezioni unite ha finito per aderire all'orientamento espresso in sede di rimessione dalla prima Sezione, che aveva osservato che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 114/2018, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 57, comma 1, lett. a), del d.P.R. 29 settembre 1973 n.602, come sostituito dall'art. 16 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n.46 - nella parte in cui prevede che, nelle controversie riguardanti gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di cui all'art. 50 del d.P.R. n. 602/1973, non sono ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c. - non vi sarebbe più quel vuoto di tutela che aveva indotto la giurisprudenza ad indirizzare verso la giurisdizione tributaria le controversie aventi ad oggetto questioni e fatti successivi alla notifica della cartella (come la prescrizione), quindi a valle della notifica della cartella, che segna il limite della giurisdizione del giudice tributario, a norma dell'art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992.
La Corte rammenta prima che la tesi a cui si ispira l'orientamento finora seguito è che “il giudice tributario, la cui giurisdizione si estende a «tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere o specie» (art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992), sia l'unico giudice competente a decidere ogni controversia relativa all'an e al quantum del tributo dovuto, ivi compresa la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla formazione del titolo esecutivo racchiuso nella cartella esattoriale (Cass. SS.UU. n. 23832/2007, richiamata da SS.UU. n. 14648/2017 e n. 8770/2016).” Al suddetto giudice si assume riservata, quale giudice esclusivo del rapporto tributario, ogni controversia sulla interpretazione e applicazione delle leggi tributarie, tra le quali implicitamente dovrebbero rientrare quelle concernenti la ricognizione dei termini legali di prescrizione dei diversi tributi e la verifica in concreto del loro decorso ai fini dell'estinzione di ogni pretesa fiscale, così come in via consequenziale la verifica della eventuale e successiva soddisfazione del credito tributario (Cass. n. 10668/2019), sul presupposto che ad essere in discussione sia, in definitiva, pur sempre la debenza del tributo. In logica coerenza con questa impostazione è il principio secondo cui la giurisdizione del giudice tributario include anche la controversia relativa all'opposizione all'esecuzione attuata con il pignoramento presso terzi, quando oggetto del giudizio sia la perdurante fondatezza del titolo esecutivo, non rilevando la formale qualificazione del pignoramento come atto dell'esecuzione (Cass. SS.UU. n. 14667/2011, in tema di tasse automobilistiche). Secondo la Cassazione, questa tesi potrebbe condividersi se l'art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, come sostituito dall'art. 12, comma 2, della Legge 28 dicembre 2001, n. 448, non prevedesse che «Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso di cui all' art. 50 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 [...]», in disparte la questione della vigenza dell'art. 9 c.p.c.
La notifica della cartella di pagamento non impugnata (o vanamente impugnata) dal contribuente nel giudizio tributario determina il consolidamento della pretesa fiscale e l'apertura di una fase che, per chiara disposizione normativa, sfugge alla giurisdizione del giudice tributario, non essendo più in discussione l'esistenza dell'obbligazione tributaria né il potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione che è proprio del rapporto tributario (non tutte le controversie nelle quali abbia incidenza una norma fiscale si trasformano in controversie tributarie di competenza delle relative commissioni, come rilevato da Cass. SS.UU. n. 7526/2013). La Corte richiama il principio che il processo tributario è annoverabile tra i processi di «impugnazione-merito», in quanto, pur essendo diretto alla pronuncia di una decisione sul merito della pretesa tributaria, postula pur sempre l'esistenza di un atto da impugnare in un termine perentorio e da eliminare dal mondo giuridico (art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992), che sarebbe arduo ricercare quando il debitore intenda far valere fatti estintivi della pretesa erariale maturati successivamente alla notifica della cartella di pagamento, come la prescrizione, al solo fine di paralizzare la pretesa esecutiva dell'ente creditore.
Neppure si potrebbe individuare l'atto da impugnare, sempre secondo la Corte, nell'estratto di ruolo rilasciato dal concessionario della riscossione su richiesta del contribuente, la cui impugnazione è stata ammessa per consentire a quest'ultimo di impugnare la cartella di pagamento di cui non abbia avuto conoscenza a causa della invalidità o mancanza della relativa notifica (Cass. S.U. n. 19704 del 2015, sez. V n. 22507 del 2019). Quando, invece, la cartella sia stata notificata e la relativa pretesa tributaria sia divenuta definitiva, dei successivi fatti estintivi della pretesa tributaria competente a giudicare è il giudice ordinario, quale giudice dell'esecuzione, cui spetta l'ordinaria verifica dell'attualità del diritto dell'ente creditore di procedere all'esecuzione forzata. La Corte trae argomenti a conferma dell'impostazione cui aderisce dalla sentenza della Corte costituzionale n. 114 del 2018, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 57, comma 1, lettera a), DPR n.602 del 1973, come sostituito dall'art. 16 del d.lgs. n. 46 del 1999, nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di cui all'art. 50 del D.P.R. n. 602 del 1973, siano ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c. La Corte Costituzionale infatti, riferisce la Cassazione, premette che «la linea di demarcazione della giurisdizione [è] posta dalla cartella di pagamento e dall'eventuale successivo avviso recante l'intimazione ad adempiere: fino a questo limite la cognizione degli atti dell'amministrazione, espressione del potere di imposizione fiscale, è devoluta alla giurisdizione del giudice tributario; a valle, la giurisdizione spetta al giudice ordinario e segnatamente al giudice dell'esecuzione»; quindi osserva che «È questo un criterio di riparto della giurisdizione; ma la sommatoria della tutela innanzi al giudice tributario e di quella innanzi al giudice (ordinario) dell'esecuzione deve realizzare per il contribuente una garanzia giurisdizionale a tutto tondo: in ogni caso deve esserci una risposta di giustizia perché siano rispettati gli artt. 24 e113 Cost. ».La Corte Costituzionale, prosegue la sentenza della Cassazione, si interroga dunque sul tema se il divieto del rimedio di cui all'art. 615 c.p.c. (ferma l'ammissibilità dell'opposizione riguardante la pignorabilità dei beni) sia compatibile con la Costituzione ed offre al quesito una duplice risposta, una in termini affermativi, un'altra in termini negativi:
Prosegue la Cassazione “la giurisdizione del giudice ordinario sussiste dunque in tutte le controversie che si collocano «a valle della notifica della cartella di pagamento», dove non v'è spazio per la giurisdizione del giudice tributario ex art. 2 del d.lgs. n. 546/1992 e l'azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossione, che non riguardi la mera regolarità formale del titolo esecutivo o di atti della procedura, «deve qualificarsi come opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., essendo contestato il diritto di procedere a riscossione coattiva» (sentenza n. 114 del 2018). E' questo il modo per colmare la carenza di tutela giurisdizionale che è all'origine della incostituzionalità dell'art. 57 del d.P.R. n. 602/1973, che si spiega in ragione del fatto che non «era» ammessa siffatta opposizione innanzi al giudice dell'esecuzione, pur non essendo ammissibile il ricorso al giudice tributario, in quanto privo di giurisdizione.
Tra le «altre evenienze che si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento, in cui la doglianza del contribuente sia diretta a contestare il diritto di procedere a riscossione coattiva» mediante l'opposizione ex art. 615 c.p.c., la Corte costituzionale menziona le «ipotesi dell'intervenuto adempimento del debito tributario o di una sopravvenuta causa di estinzione dello stesso per essersi il contribuente avvalso di misure di favore per l'eliminazione del contenzioso tributario, quale, ad esempio, la cosiddetta "rottamazione" [...]» e non v'è ragione di non ricomprendervi l'estinzione del credito tributario per intervenuta prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella.
L'ammissibilità delle opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c. (tra le quali è compresa anche l'opposizione a precetto) dinanzi al giudice dell'esecuzione per contestare il diritto di procedere alla riscossione coattiva, sulla base di fatti estintivi sopravvenuti alla formazione del titolo e, quindi, a valle della notifica della cartella di pagamento, è coerente con la natura di quest'ultima che, a norma dell'art. 25 del d.P.R. n. 602/1973, assolve in un solo atto le funzioni svolte dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto nella espropriazione forzata codicistica (tra le tante, Cass., sez. III, n. 3021/2018).
Prosegue nell'ampia sentenza la Corte di Cassazione “…se è vero che la cartella è configurabile come atto di riscossione e non di esecuzione forzata (Cass. SU n. 5994 del 2012) e che la giurisdizione tributaria si arresta solo di fronte agli atti di esecuzione forzata tra i quali non rientrano né le cartelle esattoriali né gli avvisi di mora (Cass. SS.UU. n. 17943/ 2009), è anche vero che per espressa disposizione normativa (art. 2 D. Lgs. n. 546 del 1992) la notifica della cartella è un dato rilevante ai fini della giurisdizione, determinando il sorgere della giurisdizione del giudice ordinario, l'unico competente a giudicare dei fatti, successivamente intervenuti, estintivi e modificativi del credito tributario cristallizzato nella cartella.” Secondo la Cassazione infatti, che cita anche l'ordinanza di rimessione «È dunque in sede fallimentare, nel procedimento di verifica del passivo, che vengono definite le questioni inerenti i fatti sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo (nel caso di specie cartella esattoriale) posto a fondamento del credito insinuato, le quali nell'esecuzione individuale vengono fatte valere con lo strumento dell'opposizione all'esecuzione, ai sensi dell' art. 615 c.p.c. ».
Il principio di diritto enunciato è che “Ove, in sede di ammissione al passivo fallimentare, sia eccepita dal curatore la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento, che segna il consolidamento della pretesa fiscale e l'esaurimento del potere impositivo, viene in considerazione un fatto estintivo dell'obbligazione tributaria di cui deve conoscere il giudice delegato in sede di verifica dei crediti e il tribunale in sede di opposizione allo stato passivo e di insinuazione tardiva, e non il giudice tributario”. Non interessa qui la questione, pure proposta, del termine quinquennale o decennale di prescrizione di siffatte obbligazioni.
In conclusione
Trattandosi di sentenza non solo a Sezioni Unite, ma che enuncia con precisione un principio di diritto e che trova riferimenti (in verità indiretti) nella pronuncia della Corte Costituzionale e nella stessa ordinanza di rimessione della sezione originariamente assegnataria del caso non resta che prestarvi ossequio anche de futuro, non senza rilevare - oltre alla contraddizione con il precedente orientamento - che resta come conseguenza oggettiva della statuizione che una questione che attiene al diritto di esigere o meno un credito tributario sia deferita a giudice diverso da quello tributario che è certamente il giudice naturale della controversia avente ad oggetto la debenza fiscale che agendo in questa direzione ritorna anche nelle Sezioni Unite della Corte di Cassazione una tendenza alla scomposizione della giurisdizione tributaria “sostanziale” che in passato era stata indirizzata in senso opposto, come la stessa Corte ammette.
Peraltro, se è vero che lo spartiacque fra giurisdizioni è determinato ancora dall'art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992 è altrettanto vero che la tipicità degli atti impugnabili in quello che la sentenza continua a definire giudizio di impugnazione-merito è in realtà assai meno dogmatica del passato e vi è una tendenza generale, anche legislativa all'allargamento degli spazi della potestà giurisdizionale tributaria anche nella fase esecutiva (si pensi qui al diverso assetto della “nuova” ottemperanza derivante dalla novella del 2015). Forse un altro dei motivi, e non dei meno rilevanti, per invocare non solo un più proficuo e stringente dibattito dottrinale, ma anche e soprattutto un intervento legislativo di manutenzione straordinaria del giudizio tributario che ne preveda l'utilizzazione piena ed esclusiva come regolazione di tutte, nessuna esclusa, le controversie che insorgono fra contribuente ed erario, anche di quelle che derivano da questioni che sorgono in executivis e successivamente alla notifica della cartella e del ruolo. |