Il danno biologico permanente, differenziale-incrementativo, in r.c.: dalle origini medico legali a Cass. civ. n. 28986/2019
24 Gennaio 2020
Premessa
Con la progressiva introduzione del danno biologico a far tempo dagli anni '70, sempre più si è avvertita la necessità di consegnare a chi sia preposto alla “monetizzazione”, valutazioni medico legali condivise, elaborate al di fuori dei contrapposti interessi delle parti. Hanno così visto la luce i noti barèmes medico legali che (irrinunciabili e imprescindibili, basati su condivise convenzioni) restano comunque solo un prezioso strumento valutativo/orientativo nelle mani del tecnico, atteso che sarebbe illusorio ritenere che possano risolvere ogni problema. E la valutazione tecnica del danno biologico causato da menomazione prodottasi in un distretto anatomo-funzionale già colpito da invalidità permanente nello stato anteriore (cosiddette menomazioni concorrenti), certamente crea difficoltà allo specialista in Medicina Legale, fra le maggiori che possa incontrare nel cercare di tradurre in un'unica, convenzionale espressione numerico/percentuale, la misura di riduzione della “capacità a fare” di una persona rispetto al suo stato anteriore.
Soluzioni vecchie e nuove in medicina legale
È evidente che quando il medico legale sia chiamato a valutare una menomazione non possa non tener conto anche dello stato anteriore della persona. E questo può essere interessato da pregresse invalidità che, a loro volta, possono essere coesistenti o concorrenti rispetto alla nuova menomazione in attuale valutazione. Coesistenti quelle che interessano due diversi sistemi anatomo-funzionali che tra loro non interagiscono apprezzabilmente; concorrenti le invalidità che insistono sullo stesso sistema organo-funzionale aggravandone sensibilmente il pregiudizio, con maggiori ricadute negative quanto a “capacità a fare” rispetto alla persona con la stessa lesione ma “sana” nello stato anteriore. Da sempre tutte le Scuole medico legali concordano sulla irrilevanza delle menomazioni coesistenti, nel senso che in tali fattispecie non se ne deve tener conto e si debba procedere a valutare la menomazione di cui trattasi come se avesse colpito una persona integra, sana nello stato anteriore. Ma, ben diversamente, è sempre stato terreno di scontri il caso delle menomazioni concorrenti e qui giova proporre una del tutto sintetica aneddotica cui si può attribuire valore di storia passata che meglio fa comprendere il presente. In epoca anteriore al D.M. 03.07.2003 istitutivo delle tabelle medico legali sulle c.d. micro-permanenti (di seguito si comprenderà il significato di tale richiamo), ferma la necessità di maggiorare la valutazione di una certa menomazione concorrente (e fin qui d'accordo tutti i medici legali), pressoché regolarmente si verificavano sgradevoli situazioni di conflitto fra CTP in ordine al quantum di tale maggiorazione. Un esempio potrebbe meglio chiarire quanto si va a dire. Si ponga il caso di un soggetto con esiti di poliomielite all'arto inferiore destro contratta in epoca infantile che, dopo adeguati trattamenti ortopedici per una frattura alla caviglia sinistra (la nuova lesione), si trovi nella condizione di anchilosi dell'articolazione medesima. Concordemente e convenzionalmente, per tale menomazione permanente, secondo barème, si riconosceva (e si riconosce) un valore pari al dodici%. La nuova menomazione, peraltro, insiste sullo stesso distretto anatomo-funzionale deambulatorio; e certamente, con essa, la persona presenta nell'attualità più importanti, negative ricadute nella “capacità a fare” rispetto a quanto potrebbe averne chi fosse stato integro nello stato anteriore. Ma di quanto maggiorare quel dodici%? E qui si assisteva alle proposte “elemosiniere” del consulente di parte convenuta, del genere “ti posso dare due punti in più”. In questo contesto, la Scuola medico legale milanese sviluppava una sorta di “reazione di rigetto” che portava ad elaborare un “metodo innovativo”, appunto quello del danno biologico permanente differenziale incrementativo (M. Grandi, A. Farneti, F. Mangili, W. Brondolo, Spunti in tema di danno biologico e danno patrimoniale, in Giornate di studio sul danno alla salute, Ed. Padova, 1990; E. Ronchi, O. Morini, Riflessioni in tema di stato anteriore nella valutazione del danno biologico, in Riv. It. Med. Leg., 14, 1992; M. Grandi, Le preesistenze nel danno biologico, Arch. Med. Leg. Ass., 18, 1996). Tale per cui, tornando all'esempio più sopra proposto, stimata la complessiva invalidità permanente derivante da entrambe le menomazioni e ricostruita secondo criteri di ragionevolezza ed esperienza la pregressa, si deve ricavare il danno incrementale prodotto. E, perciò, stabilito che nello stato anteriore la persona avesse una invalidità del 25% per gli esiti di poliomielite all'arto inferiore destro e valutata l'attuale, complessiva invalidità nella misura del 35% anche in ragione degli esiti di frattura alla caviglia sinistra, alla vittima delle lesioni de quo si riconosce un danno incrementale dal 25 al 35%. Come detto, nell'ambito di tali confronti dialettici, mai si sono trovate convergenze nelle Scuole medico legali. E nemmeno risultavano risolutive le indicazioni di quei Criteri Applicativi della tabella delle menomazioni alle integrità psico-fisica compresa fra 1 e 9 punti di invalidità di cui al Decreto 03.07.03. Criteri che, in vero, dedicano una specifica voce proprio alle menomazioni preesistenti, e così recitano: «Nel caso in cui la menomazione interessi organi od apparati già sede di patologie od esiti di patologie, le indicazioni date dalla tabella andranno modificate a seconda della effettiva incidenza delle preesistenze rispetto ai valori medi». Di fatto, peraltro, i Criteri stessi nulla chiariscano, in quanto da essi non si può evincere se in tali casi si debba ricorrere al metodo tradizionale o a quello innovativo; e hanno lasciato il mondo medico-legale abbandonato al solito aspro confronto fra rappresentanti tecnici delle parti contrapposte. La divergenza di opinioni in materia è riprodotta anche in E. Ronchi, L. Mastroroberto, U, Genovese (Guida alla valutazione medico-legale dell'invalidità permanente, in responsabilità civile e nell'assicurazione privata contro gli infortuni e le malattie, con contributo medico-legale per la quantificazione della sofferenza morale e del danno da perdita di chances, Giuffrè editore, pag. 27 e ss, 2015) dove, chi predilige il metodo tradizionale, in ultima analisi va a sottolineare come l'innovazione porterebbe «ad una cifra del tutto sproporzionata (il valore monetario dal 25% al 35% nell'esempio proposto) che, di fatto, porrebbe a carico del civilmente responsabile anche parte della condizione menomativa che già esisteva prima del sinistro». Nella quotidianità i due schieramenti hanno continuato a rimanere convintamente contrapposti. Per parte sua, lo scrivente resta fermo nel convincimento che «le menomazioni della fascia basa della scala (a partire dall'uno%) sotto il profilo medicolegale hanno un significato disfunzionale (e, per conseguenza, pregiudizievole nelle attività della vita quotidiana) sempre inferiore a quelle delle fasce più alte; è evidente, infatti, che più ci si sposta verso i valori massimi della scala da 1 a 100, progressivamente più compromettenti per il danneggiato saranno le menomazioni». In linea con tale principio, dal 1992 il sottoscritto (volutamente e, sia consentito, un po' anche provocatoriamente) ha continuato ad esprimere pareri medico legali (di parte o per l'Ufficio) con adozione del metodo innovativo; e, insistendo, confidava in interventi chiarificatori anche della Suprema Corte, con decisioni nella specifica materia, ricche di argomentazioni atte a far luce nella questione ormai divenuta annosa: delle sentenze di merito (numerose, talune richiamate anche nella Guida succitata), volutamente qui non si vuole dire. Le decisioni della Suprema Corte
Si giungeva così a Cass. civ., sez. III, 26 marzo 2014 n. 6341, peraltro non ampiamente motivata sullo specifico punto («… Il danno evento così verificatosi, tuttavia, fino a concorrenza del 5%, non è imputabile alla resistente e all'intimato perché ciò che essi hanno determinato è solo la perdita di integrità dal 5 al 10%. Ora nel liquidare il danno secondo il sistema tabellare, considerare l'equivalente di una invalidità del 5% significa considerare un danno-evento diverso da quello cagionato dai responsabili perché la loro condotta ha cagionato il danno-evento rappresentato non dalla perdita dell'integrità fisica da zero al cinque%, bensì in quella dal cinque al dieci%» ); e soprattutto a Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019 n. 28986 (Rel. Cons. Dott. Marco Rossetti), su cui ora ci soffermiamo. Emergerà subito in tutta evidenza che la pronuncia affronta la problematica portando ampie motivazioni dedicate anche e soprattutto al medico legale, richiamato ad attenersi alle sole sue competenze, applicando regole di giudizio-tecnico conformi a quelle del Diritto, senza ricorrere a categorie estranee allo stesso. Tutto ciò premesso in estrema sintesi, si riprendono ora le motivazioni addotte dalla Suprema Corte, per quanto qui di interesse tecnico. La sentenza introduce la disamina della problematica cominciando ad evidenziare che l'accoglimento di una domanda di risarcimento del danno richiede l'accertamento di due nessi di causalità: «a) il nesso fra la condotta e l'evento di danno – inteso come lesione di un interesse giuridicamente tutelato -, o nesso di causalità materiale; b) il nesso tra l'evento di danno e le conseguenze dannose risarcibili, o nesso di causalità giuridica. L'accertamento del primo dei due nessi suddetti è necessario a stabilire se vi sia responsabilità ed a chi vada imputata; l'accertamento del secondo nesso serve a stabilire la misura del risarcimento». Nell'accertamento della causalità materiale (che compete al CTU) se la causa naturale ha rivestito «efficacia eziologica non esclusiva, ma soltanto concorrente rispetto all'evento, la responsabilità dell'evento sarà per intero ascritta all'autore della condotta illecita…. L'accertamento del nesso di causalità giuridica (che compete al Giudice) ha una funzione ben diversa: delimitare l'area del danno risarcibile». Secondo quanto stabilito dalla legge (artt. 40 e 41 c.p. da un lato e art. 1223 c.c. dall'altro), accertata la causalità materiale e la colpa dell'offensore, spetta al Giudice di «stabilire quali, fra le teoricamente infinite conseguenze dannose provocate dall'evento di danno (la lesione del diritto) costituiscono conseguenza immediata e diretta di quello, e quali no, comparando le condizioni del danneggiato precedenti all'illecito, quelle successive all'evento imputabile, e quelle che si sarebbero determinate a prescindere da questo … Le preesistenze, dunque, sono una circostanza che pone all'interprete un problema di causalità: materiale se dovessero rappresentare una concausa di lesione; e giuridica, se dovessero rappresentare una concausa di menomazione … Ne consegue che quella prospettata dalla società ricorrente è una questione di diritto, e non di mero fatto, giacché chiede a questa Corte di stabilire con quale criterio giuridico debbano sceverarsi, dal novero delle conseguenze dannose provocate dalla lesione d'una salute, quelle che, sole, possano dirsi risarcibili ai sensi dell'art. 1223 c.c.». Il Giudice passa poi a trattare delle menomazioni policrone coesistenti e concorrenti; ed a proposito delle seconde (quelle che qui interessano particolarmente) così argomenta. Egli si domanda, anzitutto, se delle preesistenze si debba tener conto nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente attraverso calcoli o formule ad hoc («il cui unico limite è stato la fantasia degli autori»), oppure se si tratti di tenerneconto nella aestimatio del risarcimento. E, al riguardo, la Corte trova le seguenti soluzioni: «(a) di eventuali preesistenze si deve tener conto nella liquidazione del risarcimento, non nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente, il quale va determinato sempre e comunque in base alla invalidità concreta e complessiva riscontrata in corpore, senza innalzamenti o riduzioni, i quali si tradurrebbero in una attività liquidativa esulante dai compiti dell'ausiliario medico-legale; (b) di eventuali preesistenze si deve tener conto, al momento della liquidazione, monetizzando l'invalidità accertata e quale ipotizzabile in caso di assenza dell'illecito, e sottraendo l'una dall'altra entità». Le regole di cui sopra rappresentano i pilastri del metodo ed è fatto divieto al medico legale di compiere valutazioni caso per caso ricorrendo all'equità correttiva o integrativa la quale spetta solo all'organo giudicante ex artt. 1226 e 2056 c.c.: è evidente il richiamo della Corte al medico legale, a ricordargli che «il grado di invalidità permanente … non è il danno, ma è solo l'unità di misura del danno. È la mensura, non il mensuratum». E ancora (1.8.4): «L'opinione secondo cui le invalidità preesistenti all'infortunio impongano una variazione del grado percentuale di invalidità permanente obiettivamente accertato in corpore, e di esse debba tenere conto il medico legale e non il giudice, oltre che fondata su un presupposto divenuto erroneo, è altresì non coerente col sistema della legge»: e qui va ben sottolineato che la censura della Corte è indirizzata proprio alla soluzione vecchia, adottata in passato dalla Medicina Legale. Nel merito, ancora, la Corte va ad evidenziare come non sia stata rettamente intesa la regola, a proposito delle menomazioni preesistenti, contenuta nell'allegato I (“Istruzioni”) del D.M. 03.07.03 più sopra riprodotta. La quale «null'altro significa se non che, quando si deve stimare il grado percentuale di invalidità permanente sofferto da persona già invalida prima del sinistro, deve tenersi conto delle rinunce complessive di cui questa sarà soggetta, senza pretendere di dividere l'essere umano in porzioni anteriori e posteriori al sinistro» (ovviamente, “complessive” sono quelle alimentate dalla invalidità derivante dalla menomazione preesistente e dalla menomazione attuale, insieme considerate). In conclusione (1.8.5), la Corte richiama il medico legale ad attenersi alle seguenti, precise regole di giudizio tecnico per le fattispecie in discorso: 1) «Valutare innanzitutto il grado di invalidità permanente obiettivo e complessivo presentato dalla vittima, senza alcuna variazione in aumento o in diminuzione della misura standard suggerita dai barèmes medico-legali, e senza applicazione di alcuna formula proporzionale». 2) «Quantificare in punti percentuali il grado di invalidità permanente della vittima prima dell'infortunio e fornire al Giudice queste due indicazioni». E queste, nella sostanza, sono le “unità di misura del danno” che competono al medico legale nell'accertamento della causalità materiale. L'analisi, nel rispetto delle competenze tecniche, potrebbe fermarsi qui; e solo una comprensibile, giustificata curiosità ci spinge a comprendere come, nello studio della causalità giuridica, il Giudice, secondo la Corte di legittimità, deve procedere nella liquidazione. «1.9.5 Una volta stabilito il grado di invalidità permanente effettivo patito dalla vittima, e quello presumibile se il sinistro non si fosse verificato, la liquidazione del danno non può certo avvenire sottraendo brutalmente il secondo dal primo, applicando (erroneamente) il criterio del frazionamento della causalità materiale. Il risarcimento del danno alla salute, infatti, sia quando disciplinato dalla legge, sia quando avvenga coi criteri introdotti dalla giurisprudenza, avviene comunque con modalità tali che il quantum debeatur cresce in modo più che proporzionale rispetto alla gravità dei postumi: ad invalidità doppie corrispondono perciò risarcimenti più che doppi. Ne consegue che tale principio ne resterebbe vulnerato se, nella stima del danno alla salute patito da persona già invalida, si avesse riguardo solo al ‘delta', ovvero all'incremento del grado percentuale dell'invalidità permanente ascrivibile alla condotta del responsabile. Sono infatti, le funzioni vitali perdute dalla vittima e le conseguenti privazioni a costituire il danno risarcibile, non certo il grado di invalidità, che ne è solo la misura convenzionale: e poiché le suddette sofferenze progrediscono con intensità geometricamente crescente rispetto al crescere dell'invalidità, l'adozione del criterio sostenuto dalla società ricorrente condurrebbe ad una sottostima del danno, e dunque ad una violazione dell'art.1223 c.c. D'una persona valida al 60%, che in conseguenza d'un fatto illecito divenga invalida al 70%, non si dirà che ha patito una invalidità del 10%, da liquidare con criteri più o meno modificati rispetto a quelli standard. Si dirà, al contrario, che, sul piano della causalità materiale, ha patito una invalidità del 70%, perché questa è la misura del suo stato di salute, e tale invalidità occorrerà inanzitutto trasformare in denaro. Dopodiché, essendo una parte del suddetto pregiudizio slegata eziologicamente dall'evento illecito, per una stima del danno rispettosa dell'art. 1223 c.c. non dovrà farsi altro che trasformare in denaro il grado preesistente di invalidità, e sottrarlo dal valore monetario dell'invalidità complessivamente accertata in corpore … Né ha pregio il rilievo secondo cui l'applicazione rigida di tale criterio potrebbe condurre ad esiti iniqui e paradossali. Infatti, dal momento che si versa pur sempre in tema di liquidazioni equitative ex art. 1226 c.c., sarà sempre possibile per il Giudice di merito aumentare o ridurre il risultato finale del calcolo liquidatore ove lo impongano le circostanze del caso concreto». Nella disamina qui proposta, merita di essere richiamata anche Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019 n. 28990, Relatore Consigliere, Dott. Stefano Olivieri. In essa (come in 28986/2019) viene validata la nuova metodologia medico legale per la valutazione delle menomazioni concorrenti. Infatti, in 1.8 risulta del tutto chiaramente ribadito il criterio di liquidazione economica: «La fase della aestimatio, di esclusiva pertinenza del Giudice, segue pertanto alla esatta individuazione della modifica peggiorativa del grado di invalidità biologica, che rimane specularmente di esclusiva pertinenza della medicina legale, dovendo il Giudice di merito tradurre il differenziale di tale invalidità nell'equivalente monetario oggetto dell'obbligazione risarcitoria. Operazione che prescinde, quindi, da incrementi o diminuzioni del grado percentuale di invalidità permanente accertato dal consulente di ufficio, dovendo piuttosto essere eseguita confrontando i valori patrimoniali ricavati dalle Tabelle di liquidazione del danno biologico corrispondenti ai differenti stati di incapacità rilevati dal CTU prima e dopo l'evento lesivo – tenendo conto, come si è visto, della incidenza eventualmente svolta dalle menomazioni preesistenti – e dunque determinando in tal modo la entità patrimoniale del danno effettivamente gravante sul responsabile, operando, alla luce della specificità del caso, aumenti o diminuzioni dell'importo risarcitorio su base equitativa .. ». Merita essere evidenziato che la fattispecie di cui a n. 28990/2019 riguarda danno biologico permanente differenziale-incrementativo, in nesso causale con responsabilità civile “sanitaria”. E con quest'ultima annotazione si vuole sottolineare quanto sia erronea e fuorviante certa diffusa interpretazione medico-legale secondo cui il “nuovo sistema” può essere applicato in ambito di responsabilità civile “sanitaria” e non in altri ambiti della responsabilità stessa. Conclusioni
Se, per ragioni di estrazione culturale, Medicina e Diritto difficilmente posso parlare la stessa lingua, deve averne una in comune almeno la Medicina Legale che deve adeguarsi alle categorie di quello, senza crearne arbitrariamente di nuove, prive di aderenza allo stesso. La Suprema Corte ha dato finalmente alla Medicina Legale, regole di giudizio per la valutazione tecnica del danno biologico permanente in presenza di menomazioni concorrenti. La regola va applicata in ogni ambito della responsabilità civile. È fatto divieto al medico legale di compiere valutazioni caso per caso ricorrendo all'equità correttiva o integrativa la quale spetta solo all'organo giudicante. Nelle fattispecie di cui trattasi, i compiti del medico legale sono sostanzialmente i seguenti: 1) Valutare innanzitutto il grado di invalidità permanente obiettivo e complessivo presentato dalla vittima, senza alcuna variazione in aumento o in diminuzione della misura standard suggerita dai barèmes medico-legali e senza applicazione di alcuna formula proporzionale. 2) Quantificare in punti percentuali il grado di invalidità permanente della vittima prima dell'infortunio e fornire al Giudice queste due indicazioni. Queste, nella sostanza, sono le “unità di misura del danno” che competono al medico legale nell'accertamento della causalità materiale. Non si curi il medico legale di possibili esiti liquidativi iniqui e paradossali derivanti dall'applicazione del metodo: dal momento che si versa in tema di liquidazioni equitative ex art. 1226 c.c., sarà sempre possibile per il Giudice di merito aumentare o ridurre il risultato finale del calcolo liquidatore ove lo impongano le circostanze del caso concreto. La “soluzione nuova” che ricorre al sistema del danno biologico differenziale incrementativo, è la strada giusta da seguire per il medico legale. Con le decisioni della Suprema Corte, cresce l'importanza del ruolo del medico legale che sempre meglio deve saper fare la sua parte. |