Compossesso: il comunista che possiede uti dominus non deve compiere atti di interversione

Redazione scientifica
24 Gennaio 2020

In tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso ad usucapionem e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando necessario, a fini della usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell'interessato attraverso un'attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene.

Tizio aveva chiesto di accertarsi la proprietà comune di un cortile che costituiva l'accesso comune al proprio fabbricato ed a quello dell'abitazione di Caio, con conseguente ripristino dello stato dei luoghi, avendo il convenuto realizzato un portico su tale area e demolito la trave del tetto. Caio, tuttavia, eccepiva che il cortile fosse di proprietà esclusiva e, comunque, di esserne proprietario per usucapione. All'esito dei giudizi di merito, la Corte d'appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accertava la proprietà comune del cortile, ai sensi dell'art.1117 c.c., in quanto l'atto d'acquisto di Caio non faceva espresso riferimento all'area cortilizia, che era utilizzata anche da Tizio per accedere alla sua abitazione. Tuttavia, la Corte territoriale aveva anche accolto l'eccezione di usucapione proposta da Caio limitatamente ad una parte di detta area, che era stata ceduta dal Comune perché vi realizzasse un marciapiede con contestuale permesso di ampliare una terrazza e di costruire un portico ad uso pubblico. Avverso tale pronuncia, Tizio ha proposto ricorso in Cassazione per avere la Corte d'appello accertato l'usucapione di una parte del cortile comune, su cui era stato realizzato un portico, in assenza di un atto di interversione del possesso.

Nel giudizio di legittimità, la S.C. conferma il ragionamento espresso nel provvedimento impugnato. Difatti, la cessione di parte dell'area del cortile al Comune, a fronte dell'ampliamento della terrazza preesistente e della costruzione di un portico ad uso pubblico, è tipica espressione del possesso esclusivo dell'area comune, in quanto implica un atto di disposizione e non di mera gestione del bene in comunione, sicché costituisce atto idoneo al possesso ad usucapionem. Inoltre, la decorrenza dell'usucapione era stata individuata con riferimento all'epoca di realizzazione della costruzione, che la Corte territoriale ha presunto fosse avvenuta subito dopo la notifica della concessione, e non alla scadenza del termine per effettuare l'intervento edilizio, in considerazione della sua particolare modestia. Pertanto, in caso di compossesso, il partecipante alla comunione che intenda dimostrare l'intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo (uti dominus), non ha la necessità di compiere atti di interversio possessionis alla stregua dell'art. 1164 c.c., ma svolgere attività incompatibili con il permanere del compossesso altrui, non essendo al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione, consentiti al singolo compartecipante o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l'erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore. Per le suesposte ragioni, il ricorso è stato rigettato.

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