La scelta della controparte nella contrattazione collettiva: i contrasti non sopiti sull'obbligo a trattare del datore

Teresa Zappia
27 Gennaio 2020

Non è rinvenibile nel nostro ordinamento un diritto dell'o.s. all'ammissione alle trattative per la stipulazione del contratto collettivo, operando il generale principio dell'autonomia negoziale e, dunque, il c.d. reciproco riconoscimento nella scelta della controparte contrattuale. Eventuali deroghe devono essere oggetto di una espressa previsione, legale o contrattuale, mediante la quale venga posto a carico delle parti un obbligo a contrarre. La scelta, in ogni caso, rappresenta una conseguenza di un dato fattuale, ossia dell'effettiva rappresentatività del sindacato rispetto ai lavoratori.
Massima

Non è rinvenibile nel nostro ordinamento un diritto dell'o.s. all'ammissione alle trattative per la stipulazione del contratto collettivo, operando il generale principio dell'autonomia negoziale e, dunque, il c.d. reciproco riconoscimento nella scelta della controparte contrattuale. Eventuali deroghe devono essere oggetto di una espressa previsione, legale o contrattuale, mediante la quale venga posto a carico delle parti un obbligo a contrarre. La scelta, in ogni caso, rappresenta una conseguenza di un dato fattuale, ossia dell'effettiva rappresentatività del sindacato rispetto ai lavoratori.

Il caso

La ANDIA (Associazione Nazionale Dirigenti delle Imprese Assicuratrici) proponeva ricorso nei confronti della ANIA (Associazione Nazionale Imprese Assicuratrici) e della FIDIA (Federazione Italiana Dirigenti Imprese Assicuratrici). La ricorrente chiedeva l'accertamento del suo diritto alla partecipazione alle trattative in seguito alle quali era stato sottoscritto il contratto collettivo del 2 luglio 2018 tra ANIA e FIDIA, e dunque la responsabilità contrattuale di queste ultime o, in subordine, ai sensi dell'art. 2043, c.c., per aver estromesso la ANDIA dalla contrattazione.

A sostegno della propria posizione la ricorrente deduceva che:

- fino al contratto collettivo del 7 giugno 2013 la contrattazione per i rapporti di lavoro dei dirigenti delle imprese assicuratrici era elaborata dalle uniche due associazioni sindacali di riferimento: l'ANIA, per le imprese, e la FIDIA, per i dirigenti;

- nel 2016 l'ANDIA aveva comunicato il proprio recesso dalla FIDIA e si era costituita come organizzazione sindacale autonoma, presente su tutto il territorio nazionale con propri uffici, raggiungendo un numero di iscritti in servizio che ne consentiva la qualificazione di sindacato più rappresentativo, procedendo anche alla sottoscrizione di diversi contratti collettivo a livello aziendale;

- in occasione del rinnovo contrattuale del 2018, l'ANIA aveva respinto le richieste di ANDIA di partecipare alla contrattazione, individuando nella FIDIA l'unica controparte contrattuale con la quale dovesse relazionarsi, essendo l'unico sindacato di settore firmatario del contratto da rinnovare.

Tale esclusione si porrebbe, ad avviso della ricorrente, in contrasto con i principi, anche costituzionali, in materia di contrattazione collettiva.

La questione

In sede di contrattazione collettiva, la scelta della controparte è obbligatoria?

La soluzione

Il Tribunale di Roma ha respinto le domande della ricorrente, ritenendo assorbente l'assenza di obblighi in capo alla resistente ANIA di rivolgere la propria attività di negoziazione a determinate controparti. Conseguentemente la ANDIA non avrebbe potuto far valere alcun diritto alla partecipazione alle trattative per la stipulazione del CCNL 2018.

Il giudice ha evidenziato che eventuali deroghe al generale principio dell'autonomia negoziale devono essere oggetto di una espressa previsione, ex lege o ex contractu, mediante la quale venga posto a carico delle parti un obbligo a contrarre. Gli accordi raggiunti al riguardo da altre organizzazioni sindacali, in altri settori, dimostrano la necessità di ricorrere alla fonte contrattuale per creare obblighi e diritti non previsti dal legislatore.

Nel caso in esame è stata rilevata l'assenza di vincoli legali, mancando una disposizione normativa in merito, ovvero contrattuali, non avendo l'ANDIA precedentemente stipulato alcun accordo sul punto, né la domanda della ricorrente avrebbe potuto trovare accoglimento sulla base dei principi di matrice costituzionale in materia di relazioni industriali e di diritti dei lavoratori. In modo particolare il Tribunale sottolinea che l'esistenza di un diritto del sindacato a partecipare alle trattative non potrebbe essere dedotto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013, con la quale, relativamente ad una norma limitante l'accesso alle trattative, è stata dichiarato l'illegittimità costituzionale nella parte in cui la disposizione comportava l'esclusione, ex lege, del sindacato che, pur non essendo firmatario dei contratti collettivi applicati all'unità produttiva, risultava comunque essere dotato dell'effettivo consenso dei lavoratori.

Su tale decisione non potrebbe essere fondata la domanda della ricorrente, non essendo stato introdotto alcun limite alla libertà di scelta della propria controparte, la quale, in ogni caso, rappresenta una conseguenza di un dato fattuale quale quello della effettiva rappresentatività del sindacato rispetto ai lavoratori-destinatari della stipulanda disciplina collettiva.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale di Roma ha dichiarato legittimo il rifiuto opposto dalla resistente ANIA nei confronti della ANDIA, non vantando quest'ultima alcun diritto a partecipare alle trattive. Nessuna responsabilità contrattuale o aquiliana avrebbe potuto, pertanto, essere accertata per i danni eventualmente sopportati dal sindacato escluso.

Osservazioni

La contrattazione collettiva ricomprende l'insieme dei rapporti tra i soggetti del sistema di relazioni industriali volti a regolare le condizioni di lavoro in determinati settori. A tale attività, sostanzialmente diretta alla composizione del conflitto di interessi esistente tre le parti contrattuali, è strettamente legata la libertà sindacale, specialmente nella sua estrinsecazione in seno al contesto aziendale.

Tale libertà viene a combinarsi con la ricostruzione privatistica del contratto collettivo, ossia con la sua riconduzione, sul piano giuridico, alla categoria del contratto di diritto comune, con conseguente assoggettamento al generale principio dell'autonomia negoziale, e dunque al c.d. reciproco riconoscimento tra i paciscenti.

Ne consegue che, quantomeno nel settore privato, diversamente da quello pubblico, il legislatore si astiene tendenzialmente dal disporre una disciplina in ordine alle modalità ed ai contenuti della contrattazione collettiva, rimettendoli all'autonomia dei soggetti operanti nel settore di riferimento.

È evidente che, ancor prima della definizione del contenuto sostanziale dello stipulando contratto, si pone la questione della individuazione della controparte, scelta che, essendo subordinata all'effettivo grado di rappresentatività del sindacato, è sostanzialmente condizionata da un elemento fattuale, non rinvenendosi nell'ordinamento alcun obbligo giuridico in capo al datore (soggetto privato) di avviare le trattative con una determinata o.s. piuttosto che con un'altra.

Sul punto è utile riportare quanto affermato dalla Corte costituzionale n. 231 del 2013. Il giudice delle leggi ha dichiarato l'art. 19, comma 1, lett. b), l. n. 300 del 1970 illegittimo “nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell'ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell'unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell'azienda”. La conseguenza deducibile da tale decisione sembra chiara: al fine della selezione dei soggetti in ragione della loro rappresentatività, è essenziale non tanto la sottoscrizione degli accordi applicati, bensì la partecipazione del sindacato alle trattative per la definizione degli stessi. Seguendo la posizione assunta dalla Corte, la partecipazione non potrebbe essere negata quando la “rappresentatività […] esiste […] nei fatti”, oscillando da una nozione di della stessa fondata sul rapporto tra lavoratori e sindacato a quella derivante dalla “capacità di imporsi al datore come controparte contrattuale” (Corte cost. n. 244 del 1996).

Ci si è domandati allora se il datore sia tenuto a trattare con una determinata o.s., sebbene sul punto la sentenza sia poco chiara.

Tenuto conto dell'inattuazione dell'art. 39, Cost., nonché del principio di reciproco riconoscimento operante nelle relazioni industriali, parte della dottrina ha negato l'esistenza di tale obbligo, costituendo il diniego espressione del generale principio di libertà negoziale. Ulteriore conferma deriverebbe dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass.,sez. lav., n. 14511 del 2013) la quale ha ritenuto applicabile l'art. 28, st. lav., soltanto ove il rifiuto datoriale si traduca in condotte oggettivamente discriminatorie.

Si è osservato, infatti, che mentre la l. n. 300 del 1970 dispone la parità di trattamento nei confronti dei singoli lavoratori (artt. 15 e 16), una analoga previsione non è rinvenibile rispetto alle associazioni sindacali. Ciò consentirebbe di affermare l'irrilevanza di una eventuale disparità di trattamento che il datore ponga in essere nei confronti di un sindacato, fatta salva l'ipotesi in cui tale differenziazione, considerata nei suoi effetti e non ex se, si traduca in una obbiettiva coartazione della libertà sindacale. Tale questione è strettamente collegata a quella inerente la sussistenza o meno di un obbligo a carico del datore di negoziare con una o.s.: il principio generale dell'autonomia privata, unitamente a quanto sopra esposto, porterebbe ad escludere l'illegittimità del rifiuto datoriale di trattare. Il “non giustificato negato accesso” dovrebbe invece ritenersi sussistente in tutti quei casi in cui un sindacato, dotato di effettiva rappresentatività, venga escluso e la condotta datoriale si traduca, “sia per le modalità in cui si esprime che per il comportamento globale assunto”(Cass., sez. lav., n. 212 del 2008), in uso distorto dello strumento negoziale, produttivo di “un'apprezzabile lesione” della libertà sindacale dell'organizzazione esclusa, ovvero si sostanzi in un mezzo diretto al perseguimento delle finalità vietate dall'art. 17, St. lav. (c.d. sindacati di comodo). Viene da chiedersi, in ogni caso, quanto debba incidere sulla attività sindacale il potere datoriale perché una lesione sia “apprezzabile” e come tale sanzionabile.

Non sono mancate certamente voci contrarie, favorevoli al riconoscimento di un diritto di ammissione alle trattative in capo alle oo.ss. dotate di effettiva rappresentatività. Ove infatti l'ammissione alla negoziazione venisse rimessa in via esclusiva alla volontà dell'imprenditorie, questo potrebbe escludere talune sigle sindacali “scomode”, di fatto impedendo alle stesse di poter in seguito esercitare i diritti di cui al Titolo III dello Statuto dei lavoratori.

L'esperienza ha comunque dimostrato che, affinché in una situazione di anomia la parte datoriale sia tenuta all'ammissione alle trattative di una o.s., tale obbligazione debba costituire il contenuto di un accordo collettivo, sebbene vincolante per le sole parti contraenti (art. 1372, c.c.)

In ogni caso, solo l'accertamento dell'effettiva rappresentatività del soggetto sindacale potrebbe, in concreto, consentire di valutare l'illegittimità dell'esclusione dalle trattative, non potendosi ammettere un obbligo del datore generalizzato nei confronti di qualsiasi sindacato. Secondo taluni dovrebbe farsi riferimento alla elaborata nozione di “maggiore rappresentatività” (anche in termini comparativi), con valorizzazione della consistenza numerica, dell'effettività dell'azione sindacale, nonché dello svolgimento di precedenti attività vertenziali e contrattuali. Altri hanno richiamato la disciplina negoziale contenuta nel t.u. Rappresentanza 2014, ovvero hanno sostenuto che avrebbe diritto di partecipare alle trattative (e quindi di esercitare i diritti sindacali) solo quel sindacato nazionale cui organismo locale, ove il datore si rifiuti di discutere la piattaforma presentata dal primo, è legittimato a proporre ricorso ex art. 28, St. lav.

De iure condito, nell'indolenza del legislatore, solo l'attivazione dei protagonisti delle relazioni industriali potrebbe fornire una soluzione, individuandosi nello strumento negoziale l'unica possibile fonte di un obbligo a trattare in capo al datore.

Per approfondire
  • Amoroso G., Di Cerbo V., Maresca A., Diritto del Lavoro, in Le Fonti del Diritto Italiano, Vol. II, Giuffrè Editore, 2014, pp. 1127 ss.;
  • G. Santoro Passarelli (a cura di), Le rappresentanze sindacali in azienda: contrattazione collettiva e giustizia costituzionale, Atti del Convegno Roma 16 settembre 2013, Jovene Editore, 2014;
  • G. Prosperetti, L'autonomia collettiva e i diritti sindacali, Utet Giuridica, 2014.

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