RC Sanitaria: la prova del massimale di polizza incombe(rà) sull'assicuratore

Giuseppe Chiriatti
03 Febbraio 2020

Per quanto sia interesse preminente dell'assicuratore quello di non subire una condanna per un importo superiore al massimale di polizza, il principio di diritto espresso dalla Corte non può essere condiviso, atteso che il massimale non costituisce un fatto sopravvenuto che modifica il diritto azionato dall'assicurato, ma pone ab origine un limite alla prestazione assicurativa e, dunque, non integra un'eccezione in senso stretto; d'altro canto, una volta che la Legge Gelli verrà pienamente attuata ed anche nei giudizi di responsabilità sanitaria (quale appunto quello da cui trae origine la sentenza in commento) il terzo danneggiato potrà esercitare l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore, è su quest'ultimo che incomberà l'onere di allegare e provare tempestivamente il massimale di polizza (così come già statuito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di prova del massimale RCA).
Massima
L'assicuratore che intenda far valere in giudizio i limiti quantitativi contrattualmente fissati alla propria obbligazione, ha l'onere di allegare prima, e provare poi, l'esistenza del patto di massimale e la misura di questo. Allegazione e prova che, ovviamente, riguardando un'eccezione in senso stretto, debbono avvenire nel rispetto delle preclusioni assertive ed istruttorie stabilite dagli artt. 167 e 183 c.p.c.
Il caso

Un'azienda sanitaria, convenuta in giudizio per un caso di malpractice, chiamava in manleva il proprio assicuratore della RC; all'esito del primo grado, il Tribunale accoglieva tanto la domanda principale quanto quella di garanzia.

Successivamente, l'assicuratore proponeva appello, chiedendo che il risarcimento riconosciuto al terzo danneggiato venisse liquidato in misura inferiore e che, in ogni caso, la domanda di garanzia venisse contenuta nei limiti del massimale di polizza; la Corte d'Appello, tuttavia, confermava la decisione di primo grado, ritenendo altresì tardiva la difesa concernente il limite del massimale.

L'assicuratore proponeva, dunque, ricorso per cassazione, rilevando come il limite del massimale costituisca non un'eccezione in senso stretto bensì una mera allegazione difensiva non soggetta alle preclusioni processuali e rilevabile d'ufficio così come statuito da Cass. civ., n. 10811/2011.

La questione

A dispetto di quel precedente, invero, la Corte aveva avuto modo, anche successivamente, di qualificare l'allegazione del massimale come eccezione in senso stretto (ex multis Cass. civ., n. 3173/2016); nondimeno, le premesse da cui muove tale orientamento (cui la sentenza in commento intende dar seguito) meritano di essere attentamente vagliate.

Le soluzioni giuridiche

Vero che nell'assicurazione della responsabilità civile il massimale esprime il limite dell'obbligazione indennitaria ed assolve alla medesima funzione del “valore del bene“ nelle assicurazioni di cose, purtuttavia - sottolinea la Corte – tale pattuizione non assurge ad elemento essenziale del contratto.

Nelle assicurazioni di cose, infatti, vige un divieto, quello di soprassicurazione (art. 1908 c.c.), che è espressione del c.d. principio indennitario, e, cioè, di quel principio secondo cui l'assicurato non può conseguire un indennizzo superiore al danno effettivamente patito; per l'effetto, nelle assicurazioni di cose la mancanza della pattuizione sul valore del bene snaturerebbe la causa stessa del contratto. Al contrario, nelle assicurazioni di responsabilità non sarebbe nemmeno concepibile la nozione di sopra o sottoassicurazione; per l'effetto, la misura del massimale garantito sarebbe rimessa alla libera pattuizione delle parti e, anzi, nulla esclude che la garanzia venga prestata senza alcun limite.

Alla luce di tali considerazioni, dunque, una volta che l'assicurato abbia provato il fatto costitutivo della domanda di garanzia, e, cioè, che il sinistro, per come si è verificato, rientra nell'ambito di copertura della polizza, a quel punto non può che incombere sull'assicuratore, a sensi dell'art. 2697 comma 2 c.c., la prova dei fatti limitativi della pretesa dell'assicurato.

Osservazioni

Ebbene, a parere di chi scrive, le premesse da cui muove la pronuncia in commento non possono essere condivise.

In primo luogo, occorre segnalare come solo la pattuizione di un massimale renda possibile, sotto il profilo strettamente tecnico, l'operazione economica sottesa al contratto assicurativo; ed anzi, il massimale rappresenta, nella fase precontrattuale, uno dei cardini attorno al quale ruota la trattativa tra le parti, atteso che la maggiore o minore entità di tale limite riverbera sull'ammontare del premio di polizza.

Pertanto, a prescindere dagli eccezionali casi (richiamati dalla medesima pronuncia) in cui l'assicuratore si obbliga a garantire l'assicurato senza alcun limite, non può revocarsi in dubbio che il massimale assurga, di norma, ad elemento imprescindibile e, dunque, essenziale del contratto di assicurazione di RC.

Alquanto sorprendente è poi l'affermazione secondo cui «l'esistenza del massimale e la sua misura costituiscono … non già i fatti generatori del credito dell'assicurato, ma piuttosto i fatti limitativi del debito dell'assicuratore. In quanto tali, essi debbono essere allegati e provati da quest'ultimo, secondo la regola di cui all'art. 2697 c.c.».

Ora, nella prassi non è certo infrequente che sia proprio l'assicuratore a “provare” il valore del massimale (si pensi all'ipotesi in cui l'assicurato abbia formulato domanda di garanzia, limitandosi ad allegare il numero identificativo - e, dunque, l'avvenuta stipulazione - della polizza in forza della quale pretende di essere manlevato); d'altro canto, l'evidente interesse dell'assicuratore a non subire una condanna ultra-massimale non consente di per sé di qualificare l'allegazione di tale limite contrattuale come “eccezione in senso stretto”.

Diremmo, anzi, che la Corte, nella parte in cui conia la categoria dei “fatti limitativi del debito” (tra cui viene appunto ricompreso il massimale), si sia imbattuta in un vero e proprio equivoco.

Ed infatti, tale nuova categoria parrebbe sì rievocare, per assonanza, quella dei fatti modificativi o estintivi di cui al secondo comma dell'art. 2697 c.c.: questi ultimi, tuttavia, identificano quei fatti sopravvenuti al momento genetico dell'obbligazione, che devono essere tempestivamente eccepiti dal convenuto al fine di sottrarsi integralmente o parzialmente al proprio obbligo (si pensi, ad esempio, al mancato pagamento di una rata di premio che, ai sensi dell'art. 1901 comma 2 c.c. può comportare la sospensione della garanzia assicurativa); diversamente, la pattuizione del massimale non configura un fatto sopravvenuto, ma individua sin dal momento della costituzione del vincolo obbligatorio un limite quantitativo alla prestazione assicurativa eventualmente dovuta.

A dispetto delle conclusioni rassegnate nella sentenza in commento, dunque, pare a chi scrive che, almeno in termini generali, sussistano valide ragioni per aderire al principio espresso da Cass. civ., n. 10811/2011 (ovvero la pronuncia posta a sostegno del ricorso), secondo cui «l'allegazione di incapienza del massimale è una mera difesa e non è, pertanto, soggetta alle preclusioni istruttorie, né al regime di cui all'art. 346 cod. proc. civ.».

Azione diretta e prova del massimale

Unica eccezione a tale principio è rappresentatadalla prova del massimale dell'assicurazione RCA nel giudizio incardinato dal terzo nei confronti dell'assicuratore del responsabile (oltreché nei confronti di quest'ultimo quale litisconsorte necessario).

Ed infatti, è proprio Cass. civ., n. 10811/2011 ad evidenziare come il danneggiato che formula azione diretta ex art. 144 CAP, essendo estraneo al rapporto contrattuale, potrebbe anche non conoscere l'importo effettivo del massimale; in tale fattispecie, dunque, non può che essere l'assicuratore stesso a «provare, mediante esibizione delle polizze, quale fosse il limite del massimale pattuito tra le parti del contratto di assicurazione all'epoca del sinistro» (Cass. civ., n. 2991/2013) e ciò in ossequio al c.d. principio di vicinanza della prova, che, appunto, costituisce una “deroga” alla regola generale di cui all'art. 2697 c.c. (ex multis, Cass. civ., n. 6511/2016)

D'altro canto, proprio il richiamo a tale fattispecie “eccezionale” suggerisce alcune ulteriori riflessioni con specifico riguardo ai casi di malpractice medica, quale, appunto, quello da cui è originata la pronuncia in commento.

Ed invero, dovremmo considerare come anche la l. 24/2017 (c.d. Legge Gelli), all'art. 12 comma 1, attribuisca al terzo danneggiato l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore, prevedendo altresì, con una formula non dissimile da quanto disposto in materia RCA dall'art. 144 comma 2 CAP, che «non sono opponibili al danneggiato, per l'intero massimale di polizza, eccezioni derivanti dal contratto diverse da quelle stabilite dal decreto di cui all'articolo 10, comma 6, che definisce i requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private e per gli esercenti le professioni sanitarie di cui all'articolo 10, comma 2» (art. 12 comma 2).

Ebbene, fermo quanto previsto da alcune recenti pronunce di merito con riguardo all'esperimento dell'ATP nei confronti dell'assicuratore del responsabile (vedasi Trib. Verona, sez. III, ord., 10 maggio 2018; Trib. Benevento, sez. I, ord., 24 ottobre 2018), è noto che le disposizioni di cui all'art. 12 cit. - e, dunque, anche quella relativa all'esercizio dell'azione diretta nel giudizio di cognizione - troveranno applicazione solo a decorrere dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto attuativo, di cui oggi è disponibile un mero schema; pertanto, se da un lato non può dubitarsi che, al momento in cui si scrive, il contratto di RC Sanitaria resti tuttora governato, vuoi sotto il profilo sostanziale vuoi sotto il profilo processuale, dalle comuni regole di cui agli artt. 1917 e 2697 c.c., dall'altro è ragionevole attendersi che, una volta attuata la Legge Gelli, anche nei giudizi di malpractice medica si farà applicazione della già richiamata e condivisibile giurisprudenza di legittimità in tema di prova del massimale RCA e che, per l'effetto, incomberà sull'assicuratore convenuto dal terzo danneggiato l'onere di allegare e provare tempestivamente il massimale di polizza.

Per quanto sia interesse preminente dell'assicuratore quello di non subire una condanna per un importo superiore al massimale pattuito con l'assicurato, il principio di diritto espresso dalla Corte non può essere condiviso, atteso che il massimale non costituisce un fatto sopravvenuto che modifica il diritto azionato dall'assicurato, ma pone ab origine un limite alla prestazione assicurativa e, dunque, non integra un'eccezione in senso stretto. D'altro canto, una volta che la Legge Gelli verrà attuata ed anche nei giudizi di responsabilità sanitaria (quale appunto quello da cui trae origine la sentenza in commento) il terzo danneggiato potrà esercitare l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore, è su quest'ultimo che incomberà l'onere di allegare e provare tempestivamente il massimale di polizza (così come già statuito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di prova del massimale RCA).

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