Lo ha stabilito la sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 3545/2020, depositata in cancelleria il 13 febbraio.
Il caso. A seguito di un incidente stradale verificatosi nel 1998, in conseguenza del quale uno dei due conducenti perse la vita, la moglie, sia in proprio che quale rappresentante dei figli minori, tutti trasportati e rimasti feriti, convenne in giudizio il responsabile del sinistro, per violazione dell'art. 145 c.d.s., e la sua compagnia di assicurazioni, ai fini di ottenere il risarcimento dei danni patiti.
Con sentenza del 2010, il Tribunale, accoglieva la domanda ma, preso atto dell'intervenuto pagamento di alcuni acconti nel 2002, liquidava il danno residuo, oltre rivalutazione monetaria solo dalla data del pagamento dell'acconto alla data della sentenza e degli interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno.
Il gravame, proposto dai danneggiati, veniva rigettato dalla Corte d'Appello che ha ritenuto corretta la sentenza di primo grado, sia nella parte relativa alla liquidazione del danno e al computo della mora, che nella parte concernente la liquidazione del danno alla capacità lavorativa patito dall'appellante.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione i danneggiati.
L'ordinanza della Cassazione. La Suprema Corte ha bocciato in toto la pronuncia impugnata.
In merito alla taxatio del danno da fatto illecito, la sezione osserva che, in ottemperanza al “principio di indifferenza”, la liquidazione ha lo scopo di reintegrare completamente il patrimonio del danneggiato. A tal fine, essa deve avvenire in moneta attuale, id est rivalutando la perdita verificatasi al momento del sinistro in base a un coefficiente che restituisca il valore dell'importo perduto espresso in moneta dell'epoca della liquidazione. Peraltro, secondo il principio di matematica finanziaria (recepito dall'art. 1223 c.c.), il valore reale di una somma di denaro risulta inversamente proporzionale al tempo che intercorre tra il momento in cui l'obbligazione sorge e quello in cui la si paga: plus dat, qui cito dat. Ne deriva che il credito risarcitorio del danno da perdita della capacità lavorativa, deve essere liquidato stabilendo la parte di reddito perduta dalla vittima a seguito dell'invalidità causata dall'illecito; di talché, se l'ultimo reddito noto risale a un momento anteriore al sinistro, la liquidazione deve avvenire previa rivalutazione dell'importo in base al coefficiente FOI (costo della vita per le famiglie di operai e impiegati) relativo all'epoca del sinistro.
Circa la mora debendi, il Giudice di legittimità ricorda che, ai sensi dell'art. 1219 c.c., il debitore dell'obbligo di risarcire il danno da fatto illecito, quale obbligazione di valore, è in mora ex re dal giorno del fatto. Dunque, in caso di ritardato risarcimento del danno, il debitore deve pagare l'equivalente monetario del bene perduto, espresso in moneta dell'epoca della liquidazione, previa rivalutazione del credito, oltre che il lucro cessante finanziario, consistente nei frutti che il denaro avrebbe prodotto sin dal giorno del dovuto. Ne consegue che, come da jus receptum, laddove l'adempimento sia avvenuto, non uno actu ma, mediante versamento di acconti, il danno da mora deve replicare il lucro che avrebbe garantito al creditore l'investimento dell'intero capitale, se fosse stato tempestivamente pagato.
In conclusione, la Corte, accolto il ricorso, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva finito per sterilizzare il credito risarcitorio dagli effetti della mora.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it