La sospensione feriale opera anche per il termine annuale di cui all'art. 303, comma 2, c.p.c.

19 Febbraio 2020

La questione esaminata dalla pronuncia in commento riguarda la natura del termine di notifica del ricorso in riassunzione del giudizio interrotto qualora tale notifica venga effettuata collettivamente e impersonalmente agli eredi del defunto, presso l'ultimo domicilio di quest'ultimo, nel termine di un anno dalla morte. In particolare, si tratta di stabilire se tale termine abbia natura processuale e sia, quindi, soggetto alla sospensione feriale dei termini.
Massima

Il termine di un anno entro il quale il processo interrotto per morte della parte può essere riassunto, a norma dell'art. 303, comma 2, c.p.c., con atto notificato collettivamente ed impersonalmente agli eredi nell'ultimo domicilio del defunto, ha natura processuale, ed è pertanto soggetto all'ordinaria sospensione feriale dei termini processuali.

Il caso

Nel corso di un giudizio di scioglimento di comunione ereditaria, interrotto per il decesso di uno dei condividenti, si procedeva alla riassunzione con notifica eseguita collettivamente ed impersonalmente agli eredi nell'ultimo domicilio del defunto, ai sensi dell'art. 303, comma 2, c.p.c.

La statuizione della corte d'appello veniva però impugnata con ricorso per cassazione, con il quale si deduceva, tra i vari motivi, la nullità della sentenza per non aver il giudice d'appello rilevato l'inesistenza della notifica della riassunzione effettuata secondo le predette modalità pur dopo l'anno dalla morte e, quindi, per non aver egli dichiarato l'estinzione del processo.

La questione

Una delle questioni esaminate dalla pronuncia in commento riguarda la natura del termine di notifica del ricorso in riassunzione del giudizio interrotto qualora tale notifica venga effettuata collettivamente e impersonalmente agli eredi del defunto, presso l'ultimo domicilio di quest'ultimo, nel termine di un anno dalla morte. In particolare, si tratta di stabilire se tale termine abbia natura processuale e sia, quindi, soggetto alla sospensione feriale dei termini. I ricorrenti in Cassazione, infatti, sostenevano la natura “sostanziale” di tale termine, in quanto correlato alla presunzione di persistenza della relazione degli eredi con l'ultimo domicilio del defunto, sicchè, decorso il termine di un anno dalla morte, non sarebbe stato possibile prorogarlo in ragione del periodo di sospensione feriale, essendo venuta meno la predetta presunzione.

Le soluzioni giuridiche

Partendo dal rilievo per cui il termine annuale di riassunzione fissato dall'art. 303, comma 2, c.p.c. per la notifica collettiva ed impersonale agli eredi nell'ultimo domicilio del defunto poteva ritenersi osservato, nel caso di specie, solo se ritenuto soggetto alla sospensione feriale dei termini processuali, la Suprema Corte rammenta che, costituendo la riassunzione della causa una riattivazione del processo quiescente, è pacifico che i relativi termini abbiano natura processuale e siano, quindi, soggetti all'ordinaria sospensione feriale, come sostenuto in relazione sia al termine stabilito dall'art. 305 c.p.c. per la riassunzione del processo interrotto (Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12245; Cass. civ., 3 marzo 2004, n. 4297), che riguardo al termine di cui all'art. 307 c.p.c. per la riassunzione del processo cancellato (Cass. civ., 5 maggio 1998, n. 4506; Cass. civ., 7 febbraio 1987, n. 1306).

Secondo la tesi sostenuta nel motivo di ricorso per cassazione, invece, il termine annuale in esame dovrebbe essere sempre “netto”, ossia insensibile alla sospensione feriale, in quanto, oltre l'anno dalla morte, cesserebbe la presunzione legale di persistenza della relazione di fatto degli eredi con l'ultimo domicilio del defunto, presunzione che costituisce la ratio della facoltà di notifica, collettiva ed impersonale, in tale luogo.

La doglianza viene, però, ritenuta infondata, e quindi rigettata dalla Cassazione, in quanto la sospensione feriale dei termini, in ragione della sua fonte legale e della durata contenuta, non è in grado di incidere sulla relazione fattuale tra la collettività degli eredi e l'ultimo domicilio del defunto.

Ed infatti si è già ritenuto che la sospensione feriale operi per il termine stabilito dall'art. 330, comma 2, c.p.c. per la notifica collettiva ed impersonale dell'impugnazione agli eredi della parte defunta (Cass. civ., Sez. Un., 18 giugno 2010, n. 14699).

Osservazioni

Particolari modalità di riassunzione sono dettate dall'art. 303 c.p.c. per l'ipotesi in cui il processo si sia interrotto in conseguenza della morte di una parte.

Invero, a parte la previsione secondo cui il ricorso in riassunzione deve contenere “gli estremi della domanda”, ossia rendere noti tutti gli elementi idonei all'identificazione della causa e del suo oggetto (Cass. civ., 29 maggio 2007, n. 12506), il co. 2 della norma in esame - al pari di altre disposizioni analoghe (artt. 286, comma 1, 330, comma 2, 477, comma 2, c.p.c.) - consente che la notificazione del ricorso e del decreto, entro l'anno dalla morte della parte, possa essere effettuata agli eredi collettivamente e impersonalmente presso l'ultimo domicilio del defunto, evitando così che l'onere di individuare il successore ricada in capo alla parte che intende riassumere il processo. Si vuole cioè superare la difficoltà di individuazione degli eredi nell'imminenza della morte della parte (Cass. civ., 14 dicembre 2016, n. 25620; Cass. civ., 12 ottobre 1998, n. 10080), prevedendosi una forma di notificazione agevolata, sulla base della presunzione che per il periodo di un anno dalla morte gli eredi stessi facciano capo all'ultimo domicilio del de cuius per tutte le questioni inerenti alla successione, così dispensandosi il notificante da una ricerca specifica ed individuale degli eredi, che non devono essere designati nominativamente.

Per “domicilio” si intende quello effettivo della parte, e non quello eletto ai fini del giudizio (Cass. civ., 2 aprile 2004, n. 6506).

Ai fini dell'applicazione di tale norma non ha rilievo la distinzione tra il caso in cui gli eredi della parte deceduta sono tutti noti ed identificati e quello in cui essi sono in tutto o in parte sconosciuti, poiché l'art. 303 c.p.c. assume la sua più ampia funzione proprio quando alcuni degli eredi, o tutti, non siano noti a controparte, non tenuta ad una ricerca e ad una indagine specifica ed individuale (Cass. civ., 14 gennaio 1982, n. 238).

Detta forma di notificazione non è peraltro obbligatoria, ma è una mera facoltà della parte (alternativa alla possibilità che l'atto di riassunzione sia notificato ai singoli eredi), che vale ad assegnare la qualità di parte agli eredi medesimi, con la conseguenza che il processo è legittimamente riassunto nei confronti di ognuno di essi, senza, quindi, che possa sostenersi il difetto di integrità del contraddittorio sulla base dell'omessa notificazione a ciascuno, personalmente e individualmente. Ne consegue che la eventuale sentenza di condanna al pagamento di un debito del de cuius in favore della controparte può essere pronunziata nei confronti degli eredi senza procedere all'individuazione nominativa dei destinatari della pronuncia (Cass. civ., 17 maggio 2005, n. 10336). In sostanza, in tale ipotesi, tutti gli eredi, noti o ignoti, sono partecipi del processo, che prosegue, eventualmente, nella loro contumacia (Cass. civ., 12 gennaio 2015, n. 217).

L'art. 303 c.p.c., inoltre, deroga esclusivamente al principio di identificazione del destinatario della notificazione, ferme restando le modalità di notificazione previste dagli artt. 137 e ss. c.p.c., compresa quella di cui agli artt. 140 c.p.c. (Cass. civ., 12 ottobre 1998, n. 10080) e 143 c.p.c. (Satta, in Commentario al codice di procedura civile, II, 1, Milano 1960, 413). In particolare, non comporta l'inesistenza della notificazione la circostanza che l'atto sia consegnato in unica copia ad uno qualsiasi di detti eredi, stanti l'impersonalità del gruppo di soggetti destinatari dell'atto riassuntivo ed il rilievo che la consegna della copia dell'atto resta soggetta ai principi fissati dagli artt. 138 e ss. c.p.c., così che la consegna può essere effettuata ad uno qualsiasi degli eredi, in qualità di destinatario, o, anche, a persona che, indipendentemente da vincoli di parentela, si trovi nell'ultimo domicilio del defunto per una situazione di stabile convivenza o comunanza di vita (Cass. civ., 12 novembre 1997, n. 11155).

Trascorso l'anno dalla morte della parte, anche se in conseguenza di una tardiva dichiarazione dell'evento, l'atto di riassunzione dovrà essere sempre notificato personalmente a tutti i successori, gravando in questo caso sulla parte che riassume l'onere della loro individuazione. Come già rilevato, infatti, la forma di notificazione agevolata agli eredi della parte defunta trova fondamento nella presunzione legale che gli eredi, nel periodo di un anno dalla morte, facciano capo al domicilio del de cuius per tutte le questioni o i rapporti inerenti alla successione, la quale presunzione può avere come punto di riferimento oggettivo esclusivamente l'evento stesso del decesso (Cass. civ., 20 ottobre 2008, n. 25548), sicchè tale forma di notificazione non può essere utilizzata oltre il periodo stabilito dalla legge, decorso il quale la presunzione iuris et de iure viene meno (Cass. civ., 28 giugno 1995, n. 7275).

Ne consegue, ulteriormente, che la notifica del ricorso in riassunzione effettuata dopo l'anno dalla morte del de cuius impersonalmente e collettivamente agli eredi, anziché individualmente a ciascuno di essi, deve considerarsi inesistente per la mancata individuazione delle parti destinatarie dell'atto e, perciò, insanabile nel caso di successiva costituzione degli eredi che abbiano pregiudizialmente eccepito l'avvenuta estinzione del giudizio; né risulta configurabile una rinnovazione della notifica, non essendo tale ultimo istituto applicabile in caso di inesistenza giuridica dell'atto (Cass. civ., 21 settembre 1998, n. 9432; Cass. civ., 18 aprile 1998, n. 3979).

In ordine all'individuazione degli eredi, si è poi precisato che, alla luce di una interpretazione dell'art. 303, comma 2, c.p.c. conforme ai principi di sollecita definizione del processo e di tutela del diritto di difesa, di cui all'art. 111 Cost., per la riassunzione del processo dopo la morte della parte occorre diligentemente accertare che i convenuti in riassunzione come eredi siano formalmente investiti del titolo a succedere e che esso permanga al momento della riassunzione, essendo necessario e sufficiente il riscontro della titolarità anzidetta in forza di quanto risulti legalmente allo stato degli atti, qualora non sia conosciuta - o conoscibile con l'ordinaria diligenza - alcuna circostanza idonea a dimostrare che il titolo a succedere sia venuto a mancare (per rinuncia, indegnità, premorienza o altra causa), gravando sui predetti convenuti l'onere di dimostrare, tempestivamente, il contrario (Cass. civ., 14 ottobre 2011, n. 21287). Pertanto, la verifica della qualità di eredi dei chiamati all'eredità non è necessaria nell'ipotesi in cui l'atto di riassunzione sia ad essi notificato nelle modalità agevolate di cui all'art. 303, comma 2, c.p.c., in quanto tale disposizione affranca il notificante dall'onere di ricercare le prove dell'accettazione dell'eredità, la quale può intervenire nel termine di dieci anni dall'apertura della successione, sicché durante detto periodo la parte non colpita dall'evento interruttivo deve essere tutelata attraverso il riconoscimento della legitimatio ad causam del semplice chiamato. Per converso, il chiamato all'eredità, pur non assumendo la qualità di erede per il solo fatto di avere accettato la notifica dell'atto di riassunzione, ha l'onere di contestare, costituendosi in giudizio, l'effettiva assunzione di tale qualità così da escludere il presupposto di fatto che ha giustificato la riassunzione (Cass. civ., 28 giugno 2019, n. 17445). Dai predetti principi discende che, eseguita la notifica ai sensi della norma in esame, potrà costituirsi in giudizio anche il chiamato all'eredità che non abbia ancora accettato, la cui legittimazione deriva sia dalla norma di carattere generale sui poteri del chiamato all'eredità prima dell'accettazione, di cui all'art 460 c.c., sia, ove si tratti di eredità devoluta a minori, dall'art. 486 c.c., secondo il quale il chiamato può stare in giudizio come convenuto per rappresentare l'eredità durante i termini per fare l'inventario e per deliberare (Cass. civ., 25 marzo 2013, n. 7464).

In ordine, infine, alla natura processuale del termine annuale previsto dal comma 2 dell'art. 303 c.p.c., la conclusione alla quale è pervenuta la Suprema Corte nella pronuncia in commento è condivisibile. Tuttavia, alla soluzione opposta è pervenuta una parte della giurisprudenza di merito e della dottrina.

Invero, secondo Trib. Milano, ord., 17 febbraio 2003 (in Riv. dir. proc. civ. 2003, 1223), può seriamente dubitarsi che al termine annuale di cui all'art. 303, co. 2, c.p.c. si applichi la sospensione feriale prevista dalla legge 7 ottobre 1969 n. 742, la quale si riferisce ai termini (cd. acceleratori) il cui decorso priva la parte della possibilità di esercitare un diritto, laddove la possibilità di notifica impersonale e collettiva è una mera facoltà che trova fondamento nella presunzione che, per il periodo convenzionalmente individuato in un anno, gli eredi facciano in qualche modo capo all'ultimo domicilio del defunto.

Anche in dottrina si è sostenuto che il termine annuale in esame esulerebbe dall'ambito di applicazione della normativa sulla sospensione dei termini nel periodo feriale, trattandosi di termine non “processuale”, ossia non volto a regolare la cadenza del processo e lo svolgimento delle attività ad esso relative, dovendosi invece riconoscere natura processuale al termine perentorio e trimestrale entro cui la riassunzione deve essere effettuata ex art. 305 c.p.c. ed a quello ordinatorio assegnato dal giudice per la notifica dell'atto riassuntivo a coloro che debbono costituirsi per proseguire il giudizio. Il termine annuale in esame, invece, sarebbe finalizzato alla mera delimitazione dello spatium temporis entro cui la notifica può avvenire con una forma semplificata, e non avrebbe per contro alcun rilievo nella regolamentazione della sequenza degli atti processuali. In questo senso, il disposto dell'art. 303, comma 2, c.p.c., in quanto volto a fissare un lasso temporale per la valida esecuzione della notifica, sarebbe assimilabile a quello dell'art. 147 c.p.c., che determina appunto il “tempo delle notificazioni” (A. Villa, in Notificazione ex art. 303, 2° comma, c.p.c. e sospensione feriale dei termini, in Riv. dir. proc. civ. 2003, 1232).

A conforto, invece, della tesi prospettata dalla Suprema Corte nella pronuncia in esame deve rilevarsi che la giurisprudenza di legittimità si era, in realtà, già espressa sulla specifica questione de qua (si veda Cass. civ., 22 dicembre 1998, n. 12783, in motivazione), statuendo che al termine predetto si applica la sospensione di diritto nel periodo feriale, prevista dall'art. 1 legge n. 742/1969 per tutti i termini processuali (fatte salve le esclusioni delle cause e dei procedimenti indicati nel successivo art. 3 della stessa legge). In effetti, l'art. 303 c.p.c. prevede un atto del processo di cognizione (la riassunzione del processo interrotto), onde il termine posto per la sua notificazione assume una incontestabile qualifica processuale. È irrilevante, per l'effetto qui considerato, che il termine processuale sia concesso per un'attività facoltativa (potendo la notifica collettiva ed impersonale agli eredi essere sostituita dalla notifica agli eredi singolarmente individuati) che costituisce una facilitazione concessa alla parte che compie l'atto, anziché per un'attività obbligatoria e priva di alternative (come, per esempio, la proposizione di una impugnazione), poiché la citata legge n. 742/1969 si riferisce a tutti i termini processuali, senza possibilità per l'interprete di operare nel loro ambito distinzioni di sorta.

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