Il danno morale si aggiunge a quello biologico

Martina Tonetti
26 Febbraio 2020

L'attribuzione congiunta del danno esistenziale e del danno biologico (inteso come danno che incide sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico-relazionali) costituisce una duplicazione risarcitoria, poiché tali “voci di danno” appartengono alla stessa area protetta dall'art. 32 Cost.; ciononostante, il giudice può compiere una differente ed autonoma valutazione circa la sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza di una lesione di un suo diritto e ciò, anche, in conformità alla nuova formulazione dell'art. 138, lett. e), cod.ass.

Con la sentenza n. 4099/2020, la Corte di Cassazione reinterpreta le sentenze “San Martino”.

Un danno profondo Una dipendente di una nota compagnia croceristica aveva subito violenza sessuale da parte di due colleghi e si rivolgeva al Giudice del Lavoro per ottenere il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2049 c.c., secondo cui il datore di lavoro è responsabile (indiretto) del fatto illecito commesso da un dipendente nell'esercizio delle sue mansioni.

L'analisi tradizionalista dei giudici di merito Il giudice di primo grado, accertati postumi di carattere permanente, riconosceva alla lavoratrice due poste di danno: uno biologico, pari al 15%, liquidato secondo il sistema del c.d. punto variabile (tabelle del Tribunale di Milano), e l'altro non patrimoniale alla vita di relazione, individuato e liquidato in misura eguale al primo.
Il giudice di secondo grado, rilevando conseguenze dannose del tutto peculiari, anomale ed eccezionali, operava la c.d. personalizzazione del danno, aumentando del 50% la misura del danno biologico e ritenendo, così, di effettuare l'incremento massimo possibile per la lesione subita.
Siffatta liquidazione del risarcimento lasciava però insoddisfatta la lavoratrice che lamentava la mancata liquidazione del danno morale, specificamente individuato dalla CTU come “danno alla vita di relazione”. La Corte d'Appello, infatti, nell'ambito della liquidazione unitaria del danno non patrimoniale aveva omesso di considerare la voce del danno morale, come sofferenza ulteriore e diversa rispetto al danno biologico – relazionale, limitandosi ad incrementare il valore del danno biologico, in ragione del particolare patimento.

Il danno morale soggettivo…ontologicamente diverso da quello esistenziale e biologico Il ragionamento della Corte di Cassazione parte dal principio: il nostro ordinamento riconosce il danno non patrimoniale come categoria unitaria ed omnicomprensiva (così SS.UU. 26972/2008). Ciò significa che il giudice è tenuto a valutare congiuntamente, ma in maniera distinta, la fenomenologia della lesione, indagando l'aspetto dinamico relazionale (atto ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto) e quello interiore (da identificarsi come danno morale, derivato dal dolore, dalla disperazione, dalla vergogna, dalla disistima di sé). In altri termini, il giudice deve valutare tutte le conseguenze peggiorative dell'evento dannoso (omnicomprensività), evitando però di attribuire nomi diversi ad un unico pregiudizio (unitarietà).
Tale principio, però, non preclude una valutazione autonoma e differente della sofferenza interiore del danneggiato, che costituisce il c.d. danno morale soggettivo.
Il danno morale soggettivo, come sofferenza interiore, rappresenta una voce di danno ontologicamente diversa da quella del danno biologico, che si riferisce alla sola incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato. Entrambi i danni quindi meritano di essere risarciti. Pertanto, sebbene il giudice debba provvedere ad una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale, potrà riconoscere al danneggiato una somma di denaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito, sia sotto l'aspetto interiore che relazionale, senza ulteriori “frammentazioni nominalistiche”.

Le istruzioni Rilevata la mancata considerazione dell'aspetto interiore del danno da parte della Corte d'Appello, la Corte di Cassazione cassa con rinvio la sentenza impugnata, invitando i giudici a riconsiderare le componenti del danno: ferma restando la voce di danno biologico, riconosciuto nella misura del 15% e congruamente incrementato del 50%, La Corte d'Appello dovrà provvedere alla liquidazione di un'autonoma voce di danno per il pregiudizio intrinseco, personale, connesso alla sofferenza interiore della danneggiata, valutata in considerazione della sua giovane età e della sua situazione familiare.
Pare quindi che nella categoria del danno non patrimoniale vada ricompreso anche il danno morale, che è diverso dal danno biologico- relazionale e quindi passibile di una valutazione autonoma.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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