Questione di legittimità costituzionale sull'impignorabilità di quattro fondi speciali nella titolarità del Ministero della Salute

02 Marzo 2020

Il Tribunale di Roma solleva questione di legittimità costituzionale in ordine all'articolo 1 comma 800 della l. n. 208/2015 (impignorabilità di quattro fondi speciali nella titolarità del Ministero della Salute) per violazione degli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione.
Massima

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1 comma 800 della legge 208/2015 (legge di stabilità 2016) per la violazione degli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, in quanto l'applicazione della norma di fatto paralizza in maniera assoluta la possibilità, per un soggetto che vanti un credito nei confronti del Ministero della Salute, di agire esecutivamente nei confronti di quest'ultimo, in quanto sprovvisto di conti accesi presso la Tesoreria Centrale e titolare unicamente di quattro fondi di contabilità speciale, impignorabili per espressa previsione normativa.

Il caso

Nell'ambito di una procedura esecutiva presso terzi promossa nei confronti del Ministero della Salute innanzi al Tribunale di Roma, a seguito della dichiarazione negativa resa dalla Banca d'Italia, su istanza dei creditori viene avviato procedimento ex art. 549 c.p.c. volto all'accertamento dell'obbligo del terzo. Nel corso del subprocedimento viene disposta CTU contabile finalizzata a verificare l'esistenza di somme pignorabili di titolarità del Ministero, giacenti sui conti della Banca d'Italia. All'esito della CTU emerge «a. che il Ministero della Salute è titolare di quattro fondi di contabilità speciale (da ritenersi impignorabili per espressa previsione normativa costituita dall'art. 1, comma 800, della l. n. 208/2015); b. - che lo stesso non è titolare di conti di Tesoreria Centrale; c. - che alcuni pagamenti vengono dallo stesso effettuati a carico della Tesoreria ma mediante prelevamento non di somme nella disponibilità del singolo Ministero, ma di somme presenti su conto denominato “Disponibilità del Tesoro per il Servizio di Tesoreria” (somme da ritenersi anch'esse impignorabili per espressa previsione di legge, costituita dall'art. 5, comma 6, del d.P.R. n. 398/2003)».In sostanza, l'espletata CTU porta il Giudice dell'esecuzione a concludere per l'esistenza, di fatto, di una preclusione assoluta di ogni possibilità esecutiva nei confronti del Ministero della Salute e, di conseguenza, a interloquire con le parti circa la costituzionalità del complesso normativo che regola la fattispecie.

La questione

Col provvedimento in commento il Tribunale di Roma ritiene di sollevare questione di legittimità costituzionale con riferimento all'articolo 1 comma 800 della l. n. 208/2015 (legge di stabilità 2016) che prevede testualmente: «I fondi esistenti sulle contabilità aperte ai sensi del comma 795, nonché sulle contabilità presso la tesoreria statale intestate al Ministero dell'economia e delle finanze, destinati in favore degli interventi cofinanziati dall'Unione europea, degli interventi complementari alla programmazione europea, ivi compresi quelli di cui al Piano di azione coesione, degli interventi finanziati con il Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 1, comma 703, della legge n. 190/2014, nonché i fondi depositati sulle contabilità speciali di cui all'articolo 1, comma 671, della predetta legge 23 dicembre 2014, n. 190, a disposizione delle Amministrazioni centrali dello Stato e delle agenzie dalle stesse vigilate, non sono soggetti ad esecuzione forzata. Sui fondi depositati sui conti di tesoreria e sulle contabilità speciali, come individuati dal comma 795, non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento presso le sezioni di tesoreria dello Stato, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio. Gli atti di sequestro o di pignoramento eventualmente notificati non determinano obbligo di accantonamento da parte delle sezioni medesime».

Le soluzioni giuridiche

Sebbene la questione venga sollevata con riferimento alla sopra riportata disposizione, il Tribunale di Roma rileva, in realtà, come l'intero impianto normativo che regola la fattispecie, considerato nel complesso, impedisca ogni possibile azione esecutiva nei confronti del Ministero della Salute. La questione viene considerata rilevante in quanto, all'evidenza, dalla soluzione della stessa dipende l'intero esito della procedura; ove infatti il complesso normativo dovesse ritenersi legittimo, la procedura dovrebbe concludersi con un rigetto delle contestazioni avanzate in seno al subprocedimento ex art. 549 c.p.c. con conseguente dichiarazione di improcedibilità dell'esecuzione. Diversamente, potrebbe ravvisarsi la sussistenza di crediti pignorabili che porterebbero ad un esito positivo dell'accertamento dell'obbligo del terzo e alla conseguente successiva assegnazione delle somme, con soddisfo integrale o parziale delle ragioni creditorie. D'altro canto essa viene considerata dal Giudice non manifestamente infondata stante la riscontrata violazione delle norme oggetto di esame rispetto a diverse disposizioni costituzionali. È noto che le norme che regolano l'esecuzione nei confronti della Pubblica Amministrazione costituiscono un complesso articolato e che, sotto vari profili, si caratterizza per una disciplina differenziata rispetto a quella che regola l'esecuzione nei confronti del debitore “comune”. Oltre ad alcune particolarità dal punto di vista processuale (si pensi all'articolo 14, I comma, del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito in l. 30/97 e successive modifiche), il principale elemento di differenziazione è costituito proprio dalle ipotesi di impignorabilità dei beni assoggettabili ad esecuzione. Occorre osservare, tuttavia, che già dal 1979 le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato il principio secondo cui il pagamento del debito è un atto dovuto, rispetto al quale la Pubblica Amministrazione manca di potere discrezionale, con la conseguenza che, in caso di inerzia, la situazione del creditore integra un diritto soggettivo tutelabile dinanzi al giudice ordinario attraverso l'esecuzione forzata (Cass. civ., Sez. Un., 13 luglio 1979, n. 4071 e Cass.civ., Sez. Un., 25 ottobre 1999, n. 740; più recentemente Cass. civ., 5 maggio 2009, n. 10284). La giurisprudenza costituzionale successiva ha avuto modo di precisare che il principio della responsabilità patrimoniale di cui al combinato disposto degli artt. 2740 e 2910 c.c. si applica anche allo Stato ed agli enti pubblici, sebbene con alcune limitazioni connesse alla natura dei beni soggetti ad espropriazione ed in particolare alla destinazione o finalità degli stessi, fermo restando che i limiti di pignorabilità devono essere individuabili concretamente o rinvenuti in specifiche disposizioni di legge, per come previsto dallo stesso art. 2740 c.c. (o per l'apposizione di un vincolo di indisponibilità impresso con atto amministrativo, che tuttavia la Pubblica Amministrazione sia legittimata ad adottare per espressa previsione normativa, si pensi all'art 159 T.U.E.L. e alle varie problematiche concernenti le delibere di impignorabilità).

In particolare, con riferimento alle somme di denaro e ai crediti, la non assoggettabilità all'esecuzione forzata può discendere soltanto dal fatto che essi concorrano a formare il patrimonio indisponibile, e cioè dal fatto che essi siano vincolati a un pubblico servizio ovvero (come per i crediti tributari) che nascano dall'esercizio di una potestà pubblica. Più comunemente è un'espressa disposizione normativa che qualifica i beni come impignorabili.

Le argomentazioni del Tribunale di Roma prendono spunto proprio dai detti principi, in quanto – nel caso del Ministero della Salute - si può osservare, per così dire, un vero e proprio ribaltamento di prospettiva. Il sistema normativo esaminato, infatti, sottraendo qualsiasi bene di titolarità del Ministero alla possibilità di essere assoggettato ad esecuzione, pone il Ministero stesso in una posizione “privilegiata” rispetto agli altri Ministeri (oltre che agli altri debitori), in violazione dell'articolo 3 della Costituzione. Come emerge dall'ordinanza in commento, infatti, il Ministero esecutato è sprovvisto di conti accesi presso la Tesoreria Centrale e risulta titolare solo di quattro fondi di contabilità speciale che, come detto, sono impignorabili per espressa disposizione normativa (art. 1 comma 800 l. n. 208/2015). Quanto alla rilevata violazione dell'articolo 24 della Costituzione, il Tribunale di Roma osserva che la disposizione censurata di fatto svuota di contenuto i titoli esecutivi giudiziali, impendendo che gli stessi possano essere portati ed esecuzione con l'effetto di lasciare insoddisfatti i diritti creditori in capo a soggetti che abbiano ottenuto un provvedimento favorevole. Infine, il Tribunale rileva altresì la violazione dell'articolo 111 della Costituzione in quanto la normativa in questione altera l'effettiva parità delle parti nel processo esecutivo «attribuendo al debitore ingiustificate tutele, determinando inoltre un'irrazionale dilatazione dei tempi processuali e un ingiusto aggravio della procedura esecutiva».

Osservazioni

Il caso in commento permette di osservare come, al di là delle affermazioni giurisprudenziali in ordine alla posizione e agli obblighi della Pubblica Amministrazione a fronte di un titolo esecutivo che disponga una condanna in suo danno, di fatto possa essere estremamente complicato (se non impossibile, come nell'ipotesi all'esame del Tribunale di Roma) agire proficuamente nei confronti di un ente pubblico o dello Stato. Quanto alla specifica normativa censurata, si osserva che il comma 800 dell'articolo 1 della l. n. 208/2015 si riferisce a contabilità intestate alle amministrazioni centrali e alle agenzie dalle stesse vigilate, su cui confluiscono le risorse comunitarie e di cofinanziamento nazionale degli interventi UE, in forza del principio dell'integrità dei pagamenti ai beneficiari stabilito dall'articolo 132 del Regolamento UE n. 1303/2013. Proprio la provenienza europea dei fondi e la finalità degli interventi sembrano pienamente giustificare la sancita impignorabilità (per cui sarà interessante comprende che posizione assumerà la Corte Costituzionale con riferimento alla questione sollevata) mentre non è dato comprendere perché, a differenza di quanto avviene per altri Ministeri, il Ministero della Salute non risulti titolare di alcun conto di tesoreria.

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