È autoriciclaggio ricevere somme in precedenza versate per fatture relative ad operazioni inesistenti?
12 Marzo 2020
Massima
Può integrare il delitto di autoriciclaggio la ricezione, da parte di un soggetto che abbia utilizzato fatture relative ad operazioni inesistenti per abbattere il carico d'imposta, delle somme versate quale pagamento delle fatture medesime Il caso
In sede di indagini per il reato di autoriciclaggio veniva disposto il sequestro preventivo di una somma di denaro profitto a sua volta del delitto presupposto di dichiarazione fraudolenta a mezzo di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti: in particolare, le somme sottoposte a vincolo erano quelle che erano restituite alla società utilizzatrice dopo che la stessa aveva in un primo momento pagato a mezzo bonifico le inesistenti prestazioni documentate nelle false fatture. Il decreto era impugnato in sede di cassazione in primo luogo per la mancanza del requisito dell'impiego di tali somme, ricevute in restituzione dalla società responsabile del reato di cui all'art.2d.lgs.n.74del2000, in attività economiche finanziarie imprenditoriali o speculativa: e somme in parola infatti erano oggetto di complesse operazioni estere intese a rendere più complesso l'accertamento della provenienza dell'utilità pecuniaria ed ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa, ma ciò non integra il requisito – proprio del delitto di autoriciclaggio e non richiesto, ad esempio, per il reato di riciclaggio - dell'impiego, sostituzione o trasferimento in attività economiche finanziarie imprenditoriali speculative.
La questione
In base all'art.648-ter.1c.p., introdotto con la leggen.186del2014, è punito con la reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa. In base al comma 4^ della medesima disposizione, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. Sotto il profilo della condotta – descritta in maniera ridondante con i tre verbi di impiegare, sostituire, trasferire -, il reato in discorso consiste nella immissione, secondo qualsiasi modalità, nel circuito economico di disponibilità di provenienza delittuosa, pervenendo così al risultato di “inquinare” il circuito economico legale in conseguenza della presenza nello stesso di fonti di reddito “inconfessabili” (MUCCIARELLI, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in www.dirittopenalecontemporaneo.it., punto 3.1; SANTORIELLO, L'autoriciclaggio, Torino 2014, 18; TROYER-CAVALLINI, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all'ombra del “vicino ingombrante”, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.; BRICCHETTI, Così l'autoriciclaggio entra a far parte del codice penale, in Guida Diritto, 2014, 4, 16). In particolare, è necessario che all'assunzione delle suddette condotte richiamate dall'art.648-ter.1c.p. segua il risultato dell'inserimento dei proventi delittuosi in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, la cui relativa nozione è primariamente desumibile dagli artt.2082, 2135, 2195c.c., per cui rilevano non solo l'impiego in attività produttive in senso stretto (nel senso di essere dirette alla produzione di beni o servizi) ma anche in attività di scambio e distribuzione dei beni nel mercato del consumo, nonché ad ogni altra attività che possa rientrare in quelle indicate nel codice civile. Quanto all'oggetto materiale delle condotte vietate, lo stesso, stando al dettato normativo, va rinvenuto nel denaro, i beni o le altre utilità. L'elencazione rimanda a qualsiasi cespite (mobile o immobile) che abbia una consistenza economico-patrimoniale, dotato quindi di un valore di scambio apprezzabile. Maggiori dubbi invece investono il profilo della provenienza del bene oggetto di “ripulitura”: in proposito la disposizione afferma che lo stesso deve provenire dalla commissione di un delitto non colposo, ma tale formula è solo apparentemente chiara, giacché non precisa se la provenienza possa essere anche intesa come indiretta ovvero se il delitto in parola sussista anche laddove le disponibilità siano il provento di una precedente attività di riciclaggio se non di una condotta di autoriciclaggio non punibile perché commessa prima dell'entrata in vigore dell'art.648-ter.1.c.p. (SANTORIELLO, L'autoriciclaggio, cit., 45). L'elemento soggettivo necessario per la sussistenza del reato è il dolo. È sufficiente il dolo generico, non essendo richiesto alcun fine di profitto, anche se l'elemento volitivo deve investire pure l'idoneità della condotta vietata ad impedire l'accertamento circa la provenienza delittuosa dei beni – il che esclude, a nostro parere, la cosiddetta rilevanza del dolo eventuale, che invece è ritenuto compatibile dalla giurisprudenza con il delitto di ricettazione. Il vero elemento di novità della fattispecie rispetto alle precedenti figure di reato di riciclaggio e reimpiego di cui agli artt.648-bis e 648-terc.p. è rappresentato – oltre ovviamente dalla riferibilità del delitto all'autore del reato presupposto - dalla indicata necessità che l'impiego, la sostituzione ecc. avvengano in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro [dei beni] provenienza delittuosa: la determinazione delle condotte punibili viene così circoscritta a quei comportamenti che, seppur non necessariamente artificiosi in sé (integrativi, cioè, di estremi riportabili all'archetipo degli artifici e raggiri), esprimano un contenuto decettivo, capace cioè di rendere obiettivamente difficoltosa la identificazione della provenienza delittuosa del bene (MUCCIARELLI, Qualche nota, cit., punto 3.1, secondo cui “l'aggiunta dell'avverbio “concretamente” (non presente nella figura dell'art.648-bisc.p.), oltre ad esigere l'accertamento in termini oggettivi e strettamente collegati al singolo caso della efficienza ostacolatrice, richiama l'interprete a un'esegesi rigorosa, che impone di attribuire al termine ostacolare la pienezza del suo valore semantico, che – in sede di prima approssimazione – ben può essere colto nel frapporre un mezzo (di qualunque genere) allo svolgimento di una azione o alla esplicazione di una facoltà (nel caso: il tracciamento della provenienza, ovvero lo svolgimento dell'attività a ciò finalizzata), mezzo che tuttavia deve essere in concreto (id est: avuto riguardo al caso specifico) capace di ridurne significativamente l'effetto o la portata, oppure di ritardarne in modo altrettanto significativo il compimento”). L'impatto significativo della innovazione emerge se si considerano le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza in materia di riciclaggio, dove la condotta di ostacolo è ormai assimilata a qualsiasi modalità capace di generare anche soltanto un ritardo nella identificazione della provenienza dei beni (Cass., sez. VI, 24 aprile 2012, Lubiana, in Mass. Uff., n. 253795, secondo cui “integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi deposita in banca danaro di provenienza illecita, atteso che, stante la natura fungibile del bene, in tal modo lo stesso viene automaticamente sostituito, essendo l'istituto di credito obbligato a restituire al depositante la stessa somma depositata”. Si vedano anche Cass., sez. II, 5 novembre 2013, Palumbo, in Mass. Uff., n. 258525; Cass., sez. II, 9 ottobre 2014, Matarrese, in Mass. Uff., n. 260694). Le soluzioni giuridiche
La Cassazione ha giudicato il ricorso inammissibile per la manifesta infondatezza del motivo. La decisione della Suprema Corte analizza dapprima in termini generali il contenuto del reato di autoriciclaggio, evidenziando come lo stesso richieda che le condotte di impiego, sostituzione o trasferimento dei beni di provenienza delittuosa, compiute dall'autore del reato presupposto, siano poste in essere "in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative" ed al contempo siano tenuto in modo da essere idonee ad ostacolare la provenienza delittuosa dei beni stessi (requisito, quest'ultimo, che rispetto al riciclaggio presenta connotazioni rafforzate dall'avverbio "concretamente"). La norma, come detto, prevede anche una ipotesi di non punibilità nel caso in cui l'agente utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza compiere su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa. La lettura di tale disposizione ha condotto la Cassazione ad escludere la configurabilità del reato di autoriciclaggio nel versamento della somma, costituente profitto di un furto, su conto corrente o su carta di credito prepagata intestati allo stesso autore del reato presupposto, proprio perché tale deposito non può considerarsi, secondo le indicazioni rispettivamente fornite dall'art.2082cod.civ. e dall'art. 106 del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, come attività "economica" o "finanziaria" (oltre a non costituire comunque, a mente dell'art.648-ter.1c.p., attività idonea ad occultare la provenienza delittuosa del denaro oggetto di profitto: Cass.,sez.II,14luglio2016,n.33074); di contro, con altra decisione, invece, si è sostenuto che rientrano nel novero delle attività speculative contemplate dall'art.648-ter.1,commaprimo,c.p. anche il gioco d'azzardo e le scommesse, in quanto attività idonee a rendere non tracciabili i proventi del delitto presupposto e, dunque, tali da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa (Cass.,sez.II,7marzo2019,n.13795, secondo cui la portata del sintagma "attività speculativa", da intendersi quale investimento ad alto rischio, può essere estesa anche alle predette attività, considerato che il concetto di alea, caratteristico del gioco o della scommessa, non risulta ontologicamente diverso o inconciliabile con quello di rischio calcolabile). Ciò posto, secondo la Cassazione, nella vicenda portata al suo esame ricorrono tutti i presupposti del delitto di autoriciclaggio poiché il provento della frode fiscale realizzata anche dall'imputato in favore di terzi, attraverso la creazione di società filtro cartiere che si interponevano con operazioni fittizie per consentire l'emissione di false fatture, è stato trasferito attraverso bonifici ad una ditta olandese attiva nel settore della vendita dei fiori, simulando operazioni commerciali, con causali fittizie. Il soggetto olandese ha poi restituito al soggetto responsabile della violazione tributaria gli importi in contante, così portando a compimento un'operazione che, mediante il trasferimento dei proventi illeciti in attività economiche, è all'evidenza diretta a "ripulire" il denaro in questione. La circostanza che le operazioni commerciali cui erano destinati i bonifici fossero simulate e non effettive non inficia la gravità indiziaria ed anzi è la conferma del carattere illecito dell'operazione, poiché l'incriminazione di cui all'art.648-ter.1c.p. ha lo scopo di impedire qualsiasi forma di re-immissione delle disponibilità di provenienza delittuosa all'interno del circuito economico legale, finanziario ovvero imprenditoriale, al fine di ottenere un concreto effetto dissimulatorio che costituisce quel quid pluris che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di nascondimento del profitto illecito (e perciò punibile). Considerazioni conclusive
La decisione in commento ci pare meriti due precisazioni. In primo luogo, quando si afferma, come appunto nella decisione in commento, che è autoriciclaggio la retrocessione ad un contribuente infedele delle somme di denaro da questo originariamente versate per simulare il pagamento di fatture relative ad operazioni inesistenti, chiaramente si ritiene che il reato presupposto della successiva condotta di laudering money è rappresentato dalla violazione fiscale di cui all'art.2d.lgs.n.74del2000. In una tale ricostruzione, tuttavia, bisogna prestare attenzione a una circostanza (di cui la Cassazione nella decisione non fa menzione) ovvero l'individuazione del momento consumativo del reato fiscale – con conseguente possibilità di affermare che la realizzazione dello stesso sia effettivamente antecedente alle condotte di riciclaggio. Spieghiamo quanto vogliamo dire con un esempio. Il contribuente iscrive il 30 gennaio del 2015 una falsa fattura e il 10 febbraio 2015 paga l'importo all'emittente, il quale poi gliene restituisce una parte – o l'intero, poco cambia – il successivo 20 febbraio. Ricevuto tale importo, il contribuente lo occulta, lo trasferisce all'estero, insomma compie sullo stesso le attività di laudering descritte dall'art.648-ter.1c.p.; in questo momento, ovvero quando viene operato il riciclaggio del denaro, però, il reato tributario di cui all'art.2d.lgs.n.74del2000 non è ancora perfezionato, giacché esso si consumerà solo il 30 settembre 2016 con la presentazione della dichiarazione dei redditi. Quanto detto, evidentemente, significa che nell'esempio ora formulato le operazioni di riciclaggio risultano essere avvenute prima del reato presupposto e quindi pur essendo il denaro (provento della futura frode fiscale) oggetto di reimpiego, trasferimento e sostituzione il delitto di autoriciclaggio non può comunque ritenersi sussistente perché quelle condotte non hanno seguito, ma preceduto, la realizzazione del reato base. La soluzione da noi indicata può cambiare solo se l'ufficio del pubblico ministero inquadri la condotta di retrocessione delle somme apparentemente pagate e la loro distrazione dal patrimonio aziendale – non come violazione fiscale, che per l'appunto non si è ancora verificata, ma quale – condotta di appropriazione indebita da parte dell'amministratore societario: in questo caso, effettivamente, le attività di ripulitura di dette somme seguirebbero alla commissione di un illecito, e in particolare alla violazione dell'art.646c.p. Tale conclusione, sicuramente corretta in astratto, deve fare tuttavia i conti con la severità con cui la giurisprudenza nelle ipotesi considerate rinviene una fattispecie di appropriazione indebita: va ricordato infatti che «la creazione di riserve occulte e l'utilizzazione extrabilancio di fondi sociali non sono di per sé sufficienti ad integrare il delitto di appropriazione indebita; deve infatti escludersi che possa essere qualificata come distrattiva, e tantomeno come appropriativa, un'erogazione di danaro che, pur compiuta in violazione delle norme organizzative della società, risponda a un interesse riconducibile anche indirettamente all'oggetto sociale; è da ritenersi, infatti, che per aversi appropriazione sia necessaria una condotta che non risulti giustificata o giustificabile come pertinente all'azione o all'interesse della società, in quanto può accadere che una persona giuridica, attraverso i suoi organi, persegua i propri scopi con mezzi illeciti, senza che ciò comporti di per sè l'interruzione del rapporto organico. Da ciò consegue che né il versamento dei fondi extrabilancio su conti non formalmente riconducibili alla società né la destinazione di tali fondi al perseguimento con mezzi illeciti degli interessi sociali integrano gli estremi dell'appropriazione indebita, fermo restando comunque che il gestore di tali occulte riserve deve ritenersi gravato da un rigoroso onere di provarne l'effettiva destinazione allo scopo predetto» (Cass., sez. V, 21 gennaio 1998, Cusani, in Mass. Uff., n. 210031). In conclusione, l'attività di utilizzo di false fatturazioni si presta ad essere l'illecito presupposto del delitto di riciclaggio o autoriciclaggio solo quando la retrocessione delle somme da parte dell'emittente la fattura segua la presentazione della dichiarazione dei redditi in cui sono inserite le fatture mendaci ovvero quando il rappresentante dell'azienda si appropri di tali somme, avendo cura di considerare il rigore con cui la giurisprudenza ricostruisce la nozione di appropriazione indebita exart.646c.p. che suppone un utilizzo del denaro aziendale per esigenze in alcun modo riconducibili agli interessi dell'impresa. La seconda precisazione si ricollega a queste ultime considerazioni. La decisione in esame infatti ci pare non sottolinei a sufficienza la circostanza che, una volta accertata la retrocessione delle somme in capo al contribuente infedele (e accertato, secondo quanto detto sopra, che tale restituzione delle somme è avvenuta dopo la presentazione della dichiarazione fraudolenta e quindi dopo il perfezionamento del reato di cui all'art.2d.lgs.n.74del2000), l'accusa deve dimostrare che il responsabile del delitto di dichiarazione fraudolenta abbia utilizzato le suddette somme non per il soddisfacimento di proprie esigenze personali ma che le abbia investite in attività finanziarie, economiche e imprenditoriali (ad esempio, reimmettendole nel patrimonio dell'azienda); diversamente, in mancanza di tale requisito, la retrocessione delle somme in capo al contribuente infedele non integrerebbe il reato o comunque potrebbe richiamarsi la previsione di cui al comma IV dell'art.648-ter.1c.p. in base al quale non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale (AMORE, Gioco d'azzardo e autoriciclaggio, in Giur. It., 2019).
|