Protezione internazionale: le condotte ritorsive dei familiari possono essere considerate trattamenti inumani e degradanti

17 Marzo 2020

Gli atti di vendetta e ritorsione a causa di onore, documentabili attraverso le fonti internazionali acquisibili d'ufficio, riferibili a gruppi familiari che contrastano un legame sentimentale, vanno intesi come trattamenti inumani e degradanti e costituiscono minaccia di danno grave ad opera di soggetti non statuali. Tali condotte, in difetto di un'adeguata protezione da parte dello Stato, possono fondare il riconoscimento della protezione sussidiaria.
Massima

In tema di protezione internazionale dello straniero, anche gli atti di vendetta e ritorsione minacciati o posti in essere da membri di un gruppo familiare che si ritiene leso nel proprio onore a causa di una relazione (nella specie, sentimentale) contrastata, sono riconducibili, in quanto lesivi dei diritti fondamentali sanciti in particolare dagli artt. 2, 3 e 29 Cost. e dall'art. 8 CEDU, all'ambito dei trattamenti inumani o degradanti considerati dall'art. 14, lett. b), del d.lgs. n. 251 del 2007, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sicché è onere del giudice verificare in concreto se, in presenza di minaccia di danno grave ad opera di soggetti non statuali, ai sensi dell'art. 5, lett. c), del decreto citato, lo Stato di origine del richiedente sia in grado o meno di offrire al soggetto vittima di tali condotte un'adeguata protezione.

Il caso

Un cittadino pakistano fugge dal paese di origine per sottrarsi dalle minacce di morte provenienti dalla famiglia di una ragazza di diversa estrazione sociale con la quale aveva avuto una relazione sentimentale contrastata dai parenti. La ragazza, secondo il racconto, potrebbe essere stata uccisa proprio dai familiari che, a suo dire avevano ottenuto una sorta di autorizzazione alla vendetta (tradizionale locale (Jirga) o forse si è data la morte. I di lei parenti intendevano vendicarsi con l'uccisione del richiedente asilo ritenendolo responsabile dell'accaduto e, per tale ragione, egli era fuggito dal Paese.

Sia in primo che in secondo grado i giudici avevano rigettato sia la domanda di protezione primaria che quella umanitaria proposta dal richiedente asilo ritenendo il racconto non credibile.

La questione

La Suprema Corte si è occupata di stabilire se, in tema di protezione internazionale dello straniero, anche gli atti di vendetta e ritorsione minacciati o posti in essere da membri di un gruppo familiare che si ritiene leso nel proprio onore a causa di una relazione (nella specie, sentimentale) contrastata, sono riconducibili, in quanto lesivi dei diritti fondamentali sanciti in particolare dagli artt. 2, 3 e 29 Cost. e dall'art. 8 CEDU, all'ambito dei trattamenti inumani o degradanti considerati dall'art. 14, lett. b), del d.lgs. n. 251 del 2007, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione adita dallo straniero accoglie il ricorso e rinvia alla Corte territoriale formulando il principio di diritto che individua nelle condotte ritorsive dei familiari, quali soggetti non statuali, il danno grave generato da comportamenti inumani e degradanti che giustificano la protezione sussidiaria in difetto di presidi statali di difesa.

Secondo la Corte di legittimità le ritorsioni agite o minacciate da un gruppo familiare per motivi di onore vanno riferiti, innanzitutto, ai diritti fondamentali di cui agli artt. 2, 3 e 29 Cost., nonché al diritto alla vita familiare ex art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei dirittidell'uomo e delle libertà fondamentali e costituiscono oggetto di quei trattamenti inumani o degradanti ai quali fa riferimento l'art. 14 lett. b) del d.lgs. n.251/2007 a proposito del danno grave cui sarebbe esposto il richiedente asilo in caso di ritorno nel Paese di origine e che fonda il diritto alla protezione sussidiaria.

La decisione affronta, in primis, il tema della credibilità del racconto, già ritenuto inverosimile dai giudici di merito perché generico e dubbioso, in base ad una serie di indici quali: l'approssimazione del narrato rispetto alla sorte effettiva della fidanzata il cui decesso non risultava documentato da alcuna certificazione, il mancato riscontro di quanto riferito rispetto alle informazioni raccolte in forza dei poteri d'impulso ufficiosi circa il fenomeno dei delitti d'onore in Pakistan. Il giudice di legittimità muove dall'ampiezza dei poteri istruttori del giudice dell'immigrazione ritenendo che esso possa disancorarsi dal principio dispositivo che regola la prova, integrando attraverso le acquisizioni ufficiosi delle notizie sul Paese di origine i racconti dubbiosi e non documentati, così richiamando quella giurisprudenza (Cass. civ. sez.I, ord. 14 febbraio 2017n. 26921) che valorizza il ragionevole sforzo del richiedente diretto a circostanziare la domanda secondo i principi contenuti nell'art. 3del d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251 attraverso le notizie attualizzate e documentate sul Paese di origine acquisite con impulso ufficioso.

Nel caso di specie, secondo il Giudice di legittimità, attraverso le informazioni disponibili sul Pakistan il giudice di merito avrebbe potuto, perciò, avere contezza del fenomeno delle vendette d'onore di nuclei familiari offesi da relazioni clandestine o, comunque, contrastate, rilevando da queste notizie che le offese all'onore trovano spesso, in quel Paese, epilogo o nel sangue o in risarcimenti pecuniari, ovvero offrendo alla famiglia offesa un ‘altra donna da promettere in matrimonio in luogo di quella disonorata.

Le informazioni sul Paese d'origine diventano, così, centrali, come nel caso della sentenza qui annotata, ai fini della credibilità, con particolare attenzione alle fonti (cfr. Cass. civ.sez. I, ord. 18 novembre 2019 n. 29836 in una fattispecie in tema d'infibulazione considerato, in quel caso che la credibilità del racconto va contestualizzata rispetto ad informazioni ben circostanziate e controllabili che possano orientare il giudice verso una percezione di doverosità collettiva della pratica mutilativa).

Osservazioni

La giurisprudenza della Corte, aveva già manifestato l'orientamento seguito dalla sentenza in commento (Cass. civ.,sez. VI - I, ord., 26 aprile 2019,n. 11312) e chiarito come, una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito sia tenuto, ai sensi dell'art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 25/2008, a cooperare con lui nell'accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante esercizio di poteri-doveri officiosi d'indagine e d'acquisizione documentale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente con indicazioni delle fonti di riferimento.

Sulla questione della credibilità si era già pronunciata, peraltro, nello stesso senso, Cass. civ., sez. I, ord., 24 maggio 2019,n. 14283 secondo la quale il deficit di attendibilità non impedisce di ovviare a detta carenze acquisendo d'ufficio le informazioni sul Paese di origine, sempre che non sia in discussione la provenienza stessa del migrante, anzi, secondo Cass. civ., sez. I, ord., 27 novembre 2019,n. 30969, è sufficiente dimostrare, anche in via indiziaria, la credibilità dei fatti allegati, i quali devono, peraltro, avere carattere di precisione, gravità e concordanza, ovvero in caso di dubbi o contestazioni sulla documentazione prodotta dal richiedente, deve essere espletata la cooperazione istruttoria utilizzando anche canali diplomatici, rogatoriali ed amministrativi, prima di poterne affermare l'insufficienza (Cass. civ., sez.I, ord., 19 aprile 2019, n. 11097).

Il tema della credibilità nella giurisprudenza della Corte non è, tuttavia, pacifica considerate quelle decisioni che rimarcano come, sia nel caso del presidio di tutela primaria che in quello pertinente alla protezione sussidiaria, la valutazione individuale della richiesta risulti decisamente condizionata dal livello di credibilità del richiedente e, pertanto, solo una volta che il racconto sia attendibile, potrà farsi ricorso alla cooperazione istruttoria intesa come agevolazione dell'onere probatorio che, comunque, incombe sul richiedente. Ne deriva, secondo Cass.civ., sez. I, ord., 12 giugno 2019, n. 15794 che, dopo avere superato positivamente lo scrutinio di credibilità soggettiva del racconto condotto alla stregua dei criteri indicati nell'art. 3, comma 5, del d.lgs. n. 251/2007 si possa dare ingresso all'esercizio dei poteri ufficiosi destinati a colmare il deficit probatorio che affligge la richiesta.

Si comprende, allora, perché la giurisprudenza appena citata vada nella direzione contraria rispetto alla decisione in commento perché di fronte ad un vaglio negativo del narrato l'autorità incaricata di esaminare la domanda non sarà tenuta a procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine.

Di questa opinione è anche Cass. civ.,sez. I, ord., 7agosto 2019, n.21142 la quale rileva come l'articolo 3, comma 5, del d.lgs. n. 251/2007, obblighi il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza esterna, ma anche interna di tenuta complessiva del racconto quanto a plausibilità e razionalità perché l'attenuazione dell'onere della prova, non riguarda il versante dell'allegazione, che, anzi, deve essere adeguatamente circostanziata, ma la prova stessa. La ragione fondante della soluzione giuridica offerta va identificata nel decisivo rilievo che la domanda di protezione internazionale non si sottrae all'applicazione del principio dispositivo in materia di onere della prova a mente dell'art. 2697 c.c., sicché il ricorrente ha l'onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l'impossibilità per il giudice di introdurli d'ufficio nel giudizio, come già affermato, peraltro, fin dalla giurisprudenza più risalente (Cass. civ., sez. VI – I, ord., 28 settembre 2015, n. 19197; Cass. Civ., sez. VI- I, ord., 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. civ,. sez. I , sent., 31 gennaio 2019,n. 3016; Cass. civ., sez.I-VI , 9 aprile 2019, n. 22638).

Di diverso avviso è, invece, una parte della giurisprudenza di merito (cfr, Tribunale Torino, sez IX civ., 3 febbraio 2020, n. 741, in un caso di accusa di stregoneria quale motivo della fuga, in base alle notizie UNCHCR sulla Costa d'Avorio; Tribunale di Brescia, Sezione sp. Imm. 2 dicembre 2019 n. 5701)

Secondo un orientamento intermedio della giurisprudenza di legittimità, lo scrutinio di verosimiglianza può fare riferimento anche alle massime di esperienza che possono orientare il giudice, di modo che lo scrutinio di attendibilità sia disimpegnato secondo i comuni canoni di ragionevolezza e, pertanto, il giudice del merito, nei limiti dei principi generali dell'istruzione probatoria si gioverà di una serie di parametri di apprezzamento che si fondano sull' id quod plerumque accidit, e, senza essere esaustivi, possono essere integrati con altri criteri di ordine presuntivo, idonei ad illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese, né il richiedente risulterà credibile per il solo fatto che il suo racconto si mostri circostanziato, ai sensi del comma 5, lett. a), della medesima norma, (Cass. civ., sez. VI - I, ord., 31 luglio 2019,n. 20580) nondimeno non va sottovalutata la ricorrenza di stereotipi del narrato che induce ad una valutazione particolarmente rigorosa, con la conseguenza che, in caso d'inattendibilità il relativo giudizio non potrà essere impugnato davanti al giudice di legittimità se non nei limiti di cui all'articolo 360, numero 5, c.p.c. (Cass. civ.,sez.VI-I, ord., 7 agosto 2019, n. 21142).

Guida all'approfondimento

Luca Minniti, La valutazione di credibilità del richiedente asilo tra diritto internazionale, dell'UE e nazionale in Questione Giustizia, 2020.

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