L'esercizio del diritto di voto in sede extrassembleare
10 Aprile 2020
Premessa
Nelle s.p.a. la volontà dei soci può essere manifestata, oltre che nell'adunanza assembleare, anche in sede extrassembleare, in forma diretta, attraverso il voto per corrispondenza, oppure in forma indiretta, mediante le deleghe di voto o i sindacati di voto. Tutte queste modalità, avendo particolare riguardo alle società con capitale estremamente frazionato, risultano, infatti, idonee a consentire una maggiore partecipazione degli azionisti non organizzati alla gestione della società. Per le s.r.l., invece, accanto alla facoltà concessa al socio di delegare a terzi il voto, qualora sia previsto nell'atto costitutivo è possibile l'adozione di deliberazioni totalmente al di fuori della riunione assembleare, in modo informale, con il mezzo di uno scambio tra i soci di dichiarazioni concordanti. Il legislatore civilistico, infatti, anche a seguito della riforma del diritto societario ha lasciato inalterato il dualismo tra società per azioni e società a responsabilità limitata, prevedendo, tuttavia, un autonomo ed organico corpo di norme per la s.r.l. in grado di valorizzarne le caratteristiche sostanziali di “tipo di società” destinata ad essere utilizzata per le imprese a ristretta base sociale, non facenti appello al pubblico risparmio. In tale ottica, è stata quindi ampliata l'autonomia statutaria, da un lato, attribuendo rilevanza centrale alla figura del socio ed ai rapporti contrattuali tra i soci; dall'altro, garantendo nello stesso tempo una generale libertà di configurazione delle strutture organizzative e dei procedimenti decisionali, sempre nel rispetto delle esigenze di tutela dei terzi, fino alla possibilità di prevedere decisioni senza alcuna riunione assembleare.
E' noto che le regole di funzionamento dell'organo assembleare sono improntate, in termini generali, sul rispetto del metodo collegiale e del principio maggioritario (sul tema, v. A. Serra, L'assemblea: procedimento, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo – G.B. Portale, Torino, 1994, vol. 3, 51 e ss.; G. Grippo, L'assemblea nella società per azioni, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Torino, 1985, vol. 16, tomo II, 363 e ss.). Per collegialità si intende, più propriamente, il procedimento regolato in maniera dettagliata in ogni sua fase attraverso il quale l'assemblea assume le proprie decisioni, la cui funzione consiste “nel rendere possibile una ponderata assunzione delle decisioni” medesime (G. Grippo, L'assemblea nella società per azioni, cit., 363). Il principio maggioritario, a sua volta, indica il procedimento in base al quale la volontà della maggioranza si impone alla minoranza. Esso si pone come regola inderogabile per i soci, costituendo una garanzia per il funzionamento della società per la concreta perseguibilità dell'oggetto sociale. Tale principio, che assoggetta il singolo socio alla volontà espressa dalla maggioranza, in palese contrasto con il principio di autonomia privata secondo il quale nessuno può essere vincolato se non da una propria dichiarazione di volontà, trova nel procedimento assembleare giustificazione e garanzia. Obiettivo comune ai due principi anzidetti è quello di “consentire attraverso l'influenza reciproca delle tendenze e volontà individuali la formazione della volontà assembleare e la sua imputazione alla società” (A. Serra, L'assemblea: procedimento, cit., 52). In altri termini, metodo collegiale e principio maggioritario costituiscono forma e regola di organizzazione imposte alle società di capitali dall'ordinamento giuridico al fine di consentire, da un lato, l'esercizio dei poteri conferiti ai soci all'interno della collettività e, dall'altro, l'imputazione dei relativi effetti. Trattasi, peraltro, di regole, comunque, indisponibili da parte dei soci stessi in quanto reputate, per volontà legislativa, le sole idonee a garantire il funzionamento della società. Negli ultimi anni, tuttavia, si è assistito ad un vero e proprio indebolimento del metodo collegiale e, più in generale, ad uno svuotamento dell'organo assembleare, sia nelle società c.d. aperte, caratterizzate da una forte dispersione del capitale tra un vasto pubblico di risparmiatori, sia nelle società c.d. chiuse, intendendosi con tale termine quelle che non fanno appello al pubblico risparmio. Tra gli strumenti con i quali la volontà dei soci può essere legittimamente manifestata in sede extrassembleare bisogna senza dubbio annoverare il voto per corrispondenza, previsto esclusivamente per le società per azioni il cui fine è quello di trasferire l'espressione del diritto di voto dalla sede istituzionale dell'adunanza comune a momenti diversi. In tale ottica, non pare però corretto individuare nel processo anzidetto un generale principio di derogabilità del metodo collegiale, richiedendosi necessariamente una delibera assembleare per la dichiarazione della volontà della società. In altre parole, resta inderogabile l'osservanza formale del procedimento in cui si articola il modello suddetto, talché, comunque si formi la volontà della maggioranza essa deve, in ogni modo, sostanziarsi nella delibera di un'assemblea. Per le società a responsabilità limitata, per le quali l'art. 2479 c.c. considera ammissibile la possibilità di decisioni senza assemblea, qualora vi sia una espressa previsione statutaria in tal senso, al contrario, si assiste ad un vero e proprio “tramonto” del principio collegiale (sul tema, D. Santosuosso, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 226). Per questa tipologia societaria è, dunque, da considerarsi ammissibile una gestione diretta dell'impresa da parte dei soci, attraverso sia la eliminazione del dualismo tra organo assembleare ed organo amministrativo, che la conseguente semplificazione del funzionamento dell'organo assembleare, sino ad ammettere la possibilità di prendere decisioni al di fuori dell'assemblea, mediante la raccolta separata dei singoli consensi in forma scritta da parte dei soci medesimi. Le decisioni senza assemblea nella s.r.l.
Sulla base di quanto disposto dall'art. 2479, comma 3, c.c. è considerata legittima la previsione contenuta nello statuto secondo la quale le decisioni dei soci possono essere adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto. In altri termini, questo sistema di espressione della volontà del socio, necessariamente per iscritto a pena di nullità, potrà manifestarsi sia dietro sollecitazione della società (“consultazione”), che attraverso l'espressione di un “consenso”, cioè di una dichiarazione dei soci che, a differenza della ipotesi precedente, non sia il frutto di esplicita richiesta della società medesima. In particolare, con la consultazione scritta, si chiede ad ogni votante di esprimere la propria posizione, favorevole o contraria, rispetto ad una proposta di decisione predefinita e non modificabile dal singolo socio consultato. A quest'ultimo, sarà comunque consentito di non esprimere alcuna posizione in merito alla decisione, astenendosi dal partecipare alla consultazione o dichiarando, anche in forma scritta, la propria neutralità. Il consenso espresso per iscritto, invece, concerne qualsiasi ipotesi di volontà decisionale extrassembleare non manifestata in virtù di una preventiva consultazione dei soci ed in adesione ad una predeterminata proposta di decisione. In questa fattispecie,quindi, a differenza della prima manca un preventivo stadio di consultazione. Al riguardo, l'atto costitutivo dovrà altresì prevedere sia il termine entro il quale i consensi o le adesioni devono essere espressi, sia il soggetto chiamato a gestire tale processo decisionale da un punto di vista operativo, cioè colui che, ad esempio, provvede a raccogliere le consultazioni o i consensi eseguendo, altresì, i conteggi necessari ai fini della determinazione del quorum deliberativo. In relazione a questo ultimo aspetto, resta inteso che, in assenza di una specifica disposizione in tal senso, si ritiene che tali funzioni competano al soggetto indicato nell'atto costitutivo a presiedere l'assemblea, in analogia con quanto previsto dall'art. 2479-bis,comma 4, c.c., con riferimento alla riunione assembleare. Relativamente, poi, al quorum deliberativo, in assenza di diversa previsione contenuta nel contratto sociale, l'art. 2479, comma 6, c.c. stabilisce che tutte le decisioni extrassembleari, indipendentemente dal loro oggetto, vadano assunte con il voto favorevole di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale. L'atto costitutivo può, però, ridurre o elevare il suddetto quorum, così come prevedere quorum diversi in relazione all'oggetto della decisione (sull'argomento, cfr. G. A. Rescio, Deliberazioni assembleari e decisioni extraassembleari, in AA. VV., Diritto delle società di capitali. Manuale breve, Milano, 2003, 205 e s.). Resta inteso, che svolgendosi la manifestazione del voto al di fuori del contesto collegiale, “ogni socio ha diritto a partecipare alle decisioni” e dai documenti sottoscritti deve risultare con chiarezza l'argomento oggetto della decisione, al fine di permettere un preventivo diritto all'informazione sulle decisioni da prendere, ed il consenso alla stessa. Non bisogna dimenticare, a tal proposito, che, in base a quanto previsto dall'art. 2379 ter, comma 3, c.c., in tema di invalidità delle delibere assembleari, le decisioni prese in assenza assoluta di informazione sono da considerarsi nulle. Non tutte le decisioni dei soci, tuttavia, possono essere prese adottando le predette modalità di esercizio del voto. Ai sensi dell'art. 2479, comma 4, c.c., infatti, le decisioni dei soci dovranno, in ogni caso, continuare ad essere adottate mediante deliberazione assembleare quando: - non vi sia alcuna clausola statutaria che preveda espressamente la possibilità di adottare decisioni in base a consultazione scritta o mediante consenso espressamente per iscritto; - si tratti di deliberare su modifiche dell'atto costitutivo o sul compimento di operazioni che diano origine ad una sostanziale modifica dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo medesimo o ad una rilevante modificazione dei diritti dei soci; - ne sia fatta richiesta da uno o più amministratori o da un numero di soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale. Il voto per corrispondenza
Nelle società per azioni è prevista la possibilità per i soci di votare per corrispondenza, a condizione, però, che tale modalità di voto sia espressamente prevista da apposita clausola statutaria. L'art. 2370, comma 4, c.c., infatti, consente ai soci di inserire nello statuto la facoltà di esprimere il voto per corrispondenza, stabilendo, altresì, che devono computarsi nel quorum costitutivo coloro che hanno espresso il loro voto per posta(secondo G. A. Rescio, Deliberazioni assembleari e decisioni extraassembleari, cit., 107, quanto previsto dal quarto comma dell'art. 2370 in tema di intervento è da considerarsi una fictio iuris, in quanto il votante, al fine di evitare che, pur essendo presente nel quorum deliberativo, sia da considerarsi assente ai fini del quorum costitutivo, si considera intervenuto in assemblea). Il voto per corrispondenza rappresenta un utile strumento di tutela delle minoranze, mirando a favorire la partecipazione attiva del socio alle decisioni dell'organo assembleare della società. Il socio, infatti, pur non intervenendo personalmente all'assemblea, può ugualmente concorrere alla formazione della volontà sociale esercitando il diritto di voto per posta, al quale è assimilabile il voto tramite e-mail, a condizione che sia effettuato con mezzi tecnici tali da assicurare l'imputazione del voto al legittimato. Questa modalità di voto rappresenta per il socio di minoranza “uno dei più significativi mezzi di difesa, costituendo un presidio contro il potere non solo dell'organo di gestione ma anche della maggioranza assembleare della quale l'organo di gestione è diretta emanazione” (così G. Dibattista, Democrazia societaria e voto per corrispondenza nelle società privatizzate, in Società, 1997, 23). L'istituto del voto per corrispondenza, tuttavia, non è stato accolto con favore dalla prevalente dottrina, che ha sollevato serie perplessità in relazione all'impatto di tale modalità di esercizio del voto sul ruolo e sulla funzione istituzionale dell'assemblea (v., per tutti, G. Rossi, Privatizzazioni e diritto societario, in Riv. soc., 1994, 399; P.G. Jaeger, Privatizzazioni; “Public Companies”; problemi societari, in Giur. comm., 1995, I, 15; R. Costi, Privatizzazione e diritto delle società per azioni, ivi, 95). Il rischio più grave, infatti, è quello di uno svuotamento del meccanismo assembleare, atteso che, a seguito dell'esercizio del diritto di voto per corrispondenza, le fasi assembleari, attraverso le quali i soci esprimono la propria volontà in ordine all'oggetto sottoposto al loro esame, risulterebbero alterate, così come alterate sarebbero le regole di democrazia societaria. Al riguardo, è necessario verificare, in primo luogo, se tale modalità di esercizio del diritto di voto sia compatibile con le regole di funzionamento dell'organo assembleare, improntate, come chiarito in precedenza, sul rispetto del metodo collegiale e del principio maggioritario. Sul punto, considerato che il diritto di voto per posta consente comunque il rispetto del principio maggioritario, l'attenzione va concentrata esclusivamente sul rapporto tra tale modalità di esercizio del voto e il principio di collegialità. Votando per corrispondenza, infatti, si potrebbe verificare uno svuotamento di tale principio e quindi una deroga al principio di collegialità, dal momento che viene comunque esclusa l'espressione del diritto di voto nell'adunanza comune (A parere di G.A. Rescio, Deliberazioni assembleari e decisioni extraassembleari, cit., 107, il voto per corrispondenza costituisce un istituto “irriguardoso del metodo collegiale”, dal momento che chi vota non lo fa simultaneamente con gli altri dopo aver partecipato, seppur in maniera silenziosa, alla discussione). Tuttavia, come affermato precedentemente, pur ammettendo il carattere di inderogabilità, ciò varrebbe soltanto sul piano formale, dal momento che si richiede sempre e necessariamente una delibera assembleare per la dichiarazione della volontà della società, e non anche sul piano sostanziale. A sostegno della “derogabilità sostanziale” del concetto di collegialità, si può sostenere che già altri istituti propri del diritto societario, come la rappresentanza azionaria o i sindacati di voto, originano uno svuotamento quasi totale del metodo collegiale. Da quanto sopra consegue che il voto per corrispondenza, pur producendo uno svuotamento dell'organo assembleare, costituisce nelle società con capitale estremamente frazionato uno strumento idoneo a consentire una maggiore partecipazione degli azionisti non organizzati alla gestione della società, risultando, quindi, compatibile con il principio di collegialità. Un ulteriore “effetto negativo” generato dal voto postale potrebbe essere rappresentato dalla limitazione al diritto di discussione spettante a ciascun azionista in sede assembleare. A ben vedere, tuttavia, il diritto in esame, volto alla realizzazione sia dell'interesse del socio uti singulus, per la tutela dell'interesse sociale al retto formarsi della volontà della società, sia di quello comune a tutti i soci a che sia garantito il regolare funzionamento della organizzazione sociale, subisce analoghe limitazioni anche in presenza di altre modalità di esercizio del diritto di voto. Pensiamo al caso di conferimento di deleghe di voto, posto che, delegando il voto ad un rappresentante, il socio rinuncia all'esercizio del diritto di discussione, oppure alla partecipazione ad un sindacato di voto, nelle sue più eterogenee articolazioni: ove gli azionisti aderenti si obbligano ad esprimere in assemblea un voto conforme ad una decisione predeterminata o gli stessi conferiscono ad un rappresentante comune un mandato irrevocabile, imponendogli di votare nel senso già deciso in seno al sindacato oppure consentendogli di esprimere, a sua discrezione, il voto più rispondente all'interesse di tutti gli aderenti al sindacato medesimo. In definitiva, esprimendo il voto per posta, il socio sceglie in piena libertà di non partecipare alla dialettica assembleare, accettando così una limitazione al diritto alla discussione. Occorre, altresì, verificare se al socio che voti per posta spetti o meno un qualche potere propositivo; se cioè lo stesso debba limitarsi al mero esercizio del diritto di voto (in maniera favorevole o sfavorevole sui vari argomenti posti all'ordine del giorno) oppure abbia anche la possibilità di esprimere giudizi, considerazioni ulteriori o accessorie sulle materie trattate. Preliminarmente, è opportuno rilevare che, per consentire al socio di esercitare in maniera corretta e consapevole il diritto di voto in sede extrassembleare, è necessaria la predisposizione, per ciascun argomento all'ordine del giorno, di una proposta di deliberazione, non essendo sufficiente la sola conoscenza delle materie da trattare. Di norma, la redazione dei suddetti documenti preparatori spetta all'organo amministrativo, che dovrà provvedere ad adempiere a tutte le formalità necessarie a consentire l'esercizio del voto per corrispondenza tutte le volte in cui convochi l'adunanza assembleare. Tali doveri incombono, tuttavia, anche al collegio sindacale (nei casi previsti dagli artt. 2367,2386,2406 e 2408, c.c.), al consiglio di sorveglianza (art. 2367, comma 2, c.c.),nell'ipotesi in cui la s.p.a. adotti il sistema di governance dualistico, ai soci di minoranza che richiedono la convocazione assembleare (art 2367, comma 1, c.c.), al presidente del tribunale (art. 2367, comma 2, c.c.) ed al tribunale (art. 2409, c.c.). L'assolvimento degli obblighi inerenti al deposito di detti documenti presso la sede sociale, invece, spetta in ogni caso all'organo amministrativo. La proposta di deliberazione rappresenta, di fatto, l'unico elemento a disposizione del socio, che non possa o non voglia partecipare all'assemblea, in grado di contribuire ad orientare la formazione della propria volontà sugli argomenti all'ordine del giorno. La manifestazione di volontà da parte del socio avviene, conseguentemente, sulla base di “un rigido schema di adesione-opposizione ad una proposta preformulata” (l'espressione è di G. Dibattista, Democrazia societaria e voto per corrispondenza nelle società privatizzate, cit., 18), sulla quale lo stesso non può in alcun modo incidere. Da quanto detto, discende che sia eventuali dichiarazioni accessorie, che proposte diverse rispetto a quelle per le quali il socio è chiamato ad esprimersi, risultano prive di valore. Il socio che vota per corrispondenza, dunque, non ha alcun potere propositivo dovendosi limitare ad esprimere un giudizio positivo o negativo sugli argomenti all'ordine del giorno; giudizio formulato sulla base delle proposte di deliberazione. Il voto per corrispondenza, quindi, pur rivelandosi uno strumento che “altera” le regole di funzionamento dell'assemblea, si pone, in linea di principio, in “sintonia con il sistema” (sempre G. Dibattista, Democrazia societaria e voto per corrispondenza nelle società privatizzate, cit., 24), compatibile con gli altri istituti menzionati che perseguono il medesimo obiettivo di arricchire le opportunità concesse per il socio di una più agevole espressione del voto assembleare. Non bisogna dimenticare, infatti, che la possibilità di votare per corrispondenza è comunque una facoltà e non un obbligo, dal momento che, qualora sia espressamente previsto dallo statuto, il socio avente diritto di voto può decidere di presenziare alla riunione assembleare ed eventualmente esercitare tale diritto, delegare un rappresentante o votare per corrispondenza.
Un'ultima considerazione attiene al confronto tra le modalità di esercizio del diritto di voto in sede extrassembleare previste per le s.p.a e quelle previste per le s.r.l. A ben vedere, queste due modalità di esercizio del diritto di voto al di fuori del contesto assembleare si presentano diverse tra di loro. L'elemento che distingue l'esercizio del voto per corrispondenza nella s.p.a., dalla consultazione o consenso espresso per iscritto nella s.r.l., è rappresentato dal fatto che soltanto nella prima ipotesi i soci, qualora siano interessati, possono realmente intervenire all'adunanza assembleare, dando così luogo ad una vera riunione. Ciò non risulta, invece, possibile nella seconda ipotesi dove viene comunque esclusa la possibilità dell'adunanza assembleare. Quanto detto equivale a sostenere “che l'essenza o nucleo insopprimibile, del fenomeno assembleare consiste nella semplice potenzialità di un'adunanza” (così G.A. Rescio, Deliberazioni assembleari e decisioni extraassembleari, cit., 108). Al fine di rendere possibile lo svolgimento “a porte chiuse” delle assemblee delle società in presenza della situazione di emergenza causata dal virus COVID 19 e assicurare al contempo la necessaria tutela della salute pubblica, il D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (noto come decreto "Cura Italia") -pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 70 del 17 marzo 2020, derogando alle norme di legge e dello statuto autorizza le società a compiere le scelte ritenute più opportune per consentire il regolare svolgimento delle adunanze assembleari ordinarie e straordinarie (sull'argomento, v. P.G. Marchetti, M. Ventoruzzo, L'assemblea virtuale? Qualcosa resterà, in Corriere della Sera, 30 marzo 2020, i quali ritengono che “un maggior uso dei mezzi di comunicazione a distanza andrà comunque affermandosi come regola generale, indipendentemente da previsioni statutarie”). In particolare, l'art. 106, comma 2, consente alle società di prevedere, negli avvisi di convocazione, anche in deroga alle disposizioni statutarie, il ricorso a quegli strumenti che consentono l'intervento in assemblea e l'espressione del diritto di voto senza la necessaria presenza fisica dei soci in un unico luogo rappresentati dal voto per corrispondenza, il voto elettronico e la partecipazione in assemblea con mezzi di telecomunicazione. Le società che non hanno previsto l'utilizzo di tali strumenti nei loro statuti potranno, quindi, farvi ricorso, senza necessità di alcuna modifica statutaria,mediante l'espressa previsione nell'avviso di convocazione. Le stesse società possono anche prevedere che l'assemblea si svolga esclusivamente attraverso mezzi di telecomunicazione che garantiscano l'identificazione dei partecipanti, la loro partecipazione e l'esercizio del diritto di voto. Al riguardo, la massima n. 187 dell'11 marzo 2020 del Consiglio Notarile di Milano, Commissione Società, ha chiarito che tale disposizione può riguardare la totalità dei partecipanti alla riunione, ivi compreso il presidente, fermo restando che nel luogo indicato nell'avviso di convocazione deve trovarsi il segretario verbalizzante o il notaio, unitamente alla o alle persone incaricate dal presidente per l'accertamento di coloro che intervengono di persona (sempre che questo incarico non venga affidato al segretario verbalizzante o al notaio). Le clausole statutarie che prevedono la presenza del presidente e del segretario nel luogo di convocazione (o comunque nello stesso luogo) devono intendersi di regola funzionali alla formazione contestuale del verbale dell'assemblea, sottoscritto sia dal presidente sia dal segretario. Tali clausole, quindi, non impediscono lo svolgimento della riunione assembleare con l'intervento di tutti i partecipanti mediante mezzi di telecomunicazione, potendosi in tal caso redigere successivamente il verbale assembleare, con la sottoscrizione del presidente e del segretario, oppure con la sottoscrizione del solo notaio in caso di verbale in forma pubblica Per quanto attiene, infine, alle società a responsabilità limitata, il terzo comma dell'art. 106 D.L. 18/2020 consente l'esercizio del diritto di voto tramite consultazione scritta o per consenso espresso per iscritto, in deroga ad eventuali previsioni di statuto e alla regola generale di cui al sopra citato art. 2479, comma 4, c.c. In altri termini, le s.r.l., in alternativa alla deliberazione assembleare, relativamente alle decisioni adottate entro il 31 luglio 2020 (termine entro il quale devono essere convocate le assemblee ai sensi dell'art. 106, comma 7) potranno optare per il ricorso alla consultazione scritta o al consenso espresso per iscritto anche nel caso in cui: - tali modalità di svolgimento dell'assemblea non siano previste dall'atto costitutivo; - la decisione riguardi modifiche dell'atto costitutivo oppure operazioni che comportano una sostanziale modifica dell'oggetto sociale o una rilevante modifica dei diritti dei soci o sia relativa a perdite del capitale superiore a un terzo; - vi sia una richiesta di utilizzare il meccanismo della deliberazione assembleare da parte di un numero qualificato di amministratori o soci. |