La destinazione d'uso del cortile, però, non è solo quella di fornire aria e luce all'edificio, potendo i comproprietari decidere di ampliarne le modalità di utilizzo e prevedere delle funzioni accessorie ad integrazione di quella principale.
Lo scioglimento della comunione può essere escluso dalla volontà dei comunisti di imprimere una caratteristica d'uso solo se detta volontà si attua in una situazione materiale che venendo meno con la divisione determini la perdita della possibilità di continuare ad utilizzare il bene secondo la destinazione convenuta.
Le norme di cui agli artt. 1119 e 1112 c.c. offrono una ratio ed una tutela diverse: mentre la prima esprime lo sfavor del Legislatore verso la divisione delle parti condominali (richiedendo l'unanimità e vietandola al semplice incomodo uso del bene), la seconda esprime il favor del Legislatore (che ammette la richiesta di un solo comunista e la nega solo in caso di perdita di destinazione d'uso) verso la divisione della comunione.
Nel giudizio di divisione la richiesta di attribuzione del bene in via esclusiva costituisce una semplice modalità di attuazione della divisione, dunque non costituisce una nuova domanda; pertanto non è soggetta alle preclusioni ex art. 345 c.p.c. e in caso di cessione del bene è proponibile dalle parti originarie, dal momento che l'intervento del successore a titolo particolare è meramente facoltativo.
La divisione del cortile tra condominio e comunione. Questi i fatti da cui origina la controversia: un uomo, affermando di essere comproprietario in comunione di un cortile interno ad uno stabile - gli altri condomini avrebbero solo diritto di servitù di passaggio – convenne in giudizio gli altri due comproprietari del cortile per chiederne la divisione, ex art. 785 c.p.c.: egli chiede dunque lo scioglimento della comunione e ove il cortile dovesse risultare non comodamente divisibile, l'assegnazione del bene in suo favore, ex art. 720 c.c., dietro corresponsione dei conguagli alle altre due parti.
I convenuti si opposero alla richiesta sostenendo l'indivisibilità del cortile, il quanto questo era da considerarsi privo di un'autonoma funzione, essendo utilizzato per diverse attività dai condomini, e ciò lo rendeva incompatibile con l'uso esclusivo di un solo soggetto.
La richiesta viene però rigettata, sia in primo che in secondo grado - dove i gli appellati, costituendosi chiesero in subordine anche l'attribuzione in via esclusiva del bene dietro pagamento di conguaglio -, che, come stiamo per vedere, anche in terzo.
Per il Tribunale la norma da applicare non è l'art. 720 c.c., ma l'art. 1119 c.c., il quale ammette la divisione alla condizione che questa non renda «più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio», mentre la corte d'appello conferma la sentenza di primo grado.
Vediamo secondo quali contestazioni, il ricorrente, non desistendo, si rivolge alla Corte di Cassazione.
I motivi di ricorso sono tre, li menzioniamo per quel che qui interessa.
Con il primo si contesta l'applicazione dell'art. 1119 c.c.: per il ricorrente non trattasi di un bene condominiale (in base a quanto disposto dal titolo), ma di un bene in comproprietà tra alcuni, di cui altri hanno solo diritto di passaggio; dunque non può applicarsi l'art. 1119 c.c., norma che regola il condominio, di carattere eccezionale.
La proprietà del cortile non poteva quindi asservirsi alla mera accessorietà.
Infine, si rileva che occorrerebbe distinguere tra utilità oggettiva del cortile – quella di dare luce e aria all'edificio - e l'uso che i vari proprietari decidono di farne: il primo resta anche dopo la divisione, il secondo non imprimerebbe al bene una destinazione condominiale.
Con il secondo motivo si afferma che la Corte territoriale avrebbe errato nel negare lo scioglimento della comunione in considerazione della privazione per i comproprietari dell'uso del bene secondo la destinazione che essi avevano convenuto: per il ricorrente, il concetto di uso di cui all'art. 1112 c.c. è diversa da quella di cui all'art. 1119 c.c. e non può essere cioè intesa nel senso di accessorietà della cosa comune ad altri beni «perché ciò vanificherebbe l'autonomia della norma, appiattendola sul contenuto dell'art. 1119 c.c.».
Ricordiamo in proposito che l'art. 1111 c.c. prevede che ciascun comunista può sempre chiedere lo scioglimento della comunione, mentre il successivo art. 1112 c.c. lo esclude «quando si tratta di cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso a cui sono destinate».
Il ricorrente afferma poi che la qualificazione del bene come pertinenziale non può precluderne in assoluto la divisione, perché il nesso strumentale va sempre verificato nel concreto, altrimenti ciò si tradurrebbe una ingiustificata compressione del diritto del proprietario alla divisione del bene. Inoltre, si contesta la statuizione della sentenza di appello, che ha ritenuto alcune attività esercitate dai condomini rientrare funzione primaria del cortile, mentre quelle vanno intese come mere funzionalità, laddove la funzione è quella di dare aria e luce (si menzionano le sentenze di legittimità Cass. n. 9875/2012 e Cass. n. 13879/2010).
Il cortile, essendo in comunione, anche ove non fosse condominiale, non sarebbe divisibile tout court. Come detto, la Corte rigetta il ricorso, anche se inizia il suo responso condividendo con il ricorrente un assunto: il fatto che il bene non sia condominiale non ne comporta in automatico la possibilità di divisione.
Nel caso di specie, cioè, il bene è comunque in comunione a tre persone; dunque, anche esclusa la condominialità del bene e quindi l'applicazione delle norme sul condominio ex artt. 1117 e s.s. c.c., resterebbero comunque da applicare quelle sulla comunione e in particolare quelle che ammettono lo scioglimento della comunione su richiesta anche di uno solo dei comunisti (ex artt. 1111 e 1112 c.c.) escludendolo solo per quelle «cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso a cui sono destinate».
Dunque, lo scioglimento della comunione, non è automatico, ma è ammesso se non ne pregiudica la destinazione d'uso.
La destinazione d'uso del cortile non è solo quella di fornire aria e luce. Tale destinazione d'uso però, e qui la Corte dissente dalle affermazioni del ricorrente, non è solo quella di fornire aria e luce all'edificio, potendo i comproprietari decidere di ampliarne le modalità di utilizzo e prevedere delle funzioni accessorie ad integrazione di quella principale (si menzionano i precedenti di Cass. n. 13879/2010, citato anche dal ricorrente, e Cass. n. 621/1977).
Attività che la Corte d'Appello aveva rilevato che sarebbero divenute impossibili in seguito alla divisione.
Scioglimento della comunione, volontà contraria dei comunisti e caratteristica d'uso del bene. La Corte rileva di avere già in altre occasioni affermato che lo scioglimento può essere escluso dalla volontà dei comunisti di imprimere una caratteristica d'uso solo se detta volontà si attua in una situazione materiale che verrebbe meno con la divisione determinando la perdita della possibilità di continuare ad utilizzare il bene secondo la destinazione convenuta (si menzionano Cass. nn. 5261/2011, 7274/2006, 4176/1983 e 9337/1982).
Dunque nel caso de quo, anche se non condominiale, il bene non è da ritenersi comunque divisibile, in applicazione dell'art. 1112 c.c. (si menzionano Cass. n. 989/1967 e Cass. n. 708/1970).
E d'altronde, osserva la Corte, la stessa Corte d'Appello ha riconosciuto la possibilità di applicare in subordine l'art. 1112 c.c.
Gli artt. 1112 e 1119 c.c.: diverse ratio e diverse tutele. Infine, osserva la Corte, non è condivisibile l'asserzione del ricorrente, secondo cui siffatta lettura dell'art. 1112 c.c. lo svuoterebbe di significato, “appiattendola” sul contenuto dell'art. 1119 c.c.
Le due norme presentano ratio diverse e offrono diverse tutele.
L'art. 1119 c.c. offre una tutela rafforzata ai diritti condomini, nell'ambito di un minore favor del Legislatore verso lo scioglimento del condominio, richiedendo infatti unanimità dei voti e la tutela del semplice comodo godimento del bene per i condomini.
Invece, l'art. 1112 c.c. contiene un'eccezione alla regola generale in fatto di comunione - all'art. 1111 c.c. ammette la divisione anche su richiesta di uno solo dei proprietari - alla unica condizione che il bene una volta diviso conservi – secondo la valutazione giudiziale - l'idoneità all'uso per cui è destinato: la ratio qui è quindi solo la tutela della destinazione d'uso.
Qui la Corte menziona i precedenti di Cass. n. 867/2012 e Cass. n. 7667/1995.
Nel giudizio di divisione la richiesta di attribuzione esclusiva del bene è proponibile anche in appello. Con il terzo motivo si contesta l'esclusione della richiesta di attribuzione in via esclusiva operata con la motivazione che detta attribuzione è una modalità di divisione. In particolare, si contesta la statuizione della sentenza secondo cui, essendo le quote di proprietà uguali, ed avendo tutti richiesto l'attribuzione in via esclusiva, non è possibile procedervi secondo l'art. 720 c.c., in quanto i diritti sulla cosa erano paritari.
Per il ricorrente, la richiesta di attribuzione in via esclusiva delle controparti, essendo stata proposta solo in appello non era ammissibile costituendo un'eccezione nuova. Inoltre, avendo le controparti venduto la proprietà, la richiesta sarebbe dovuta provenire dal cessionario, non intervenuto nel giudizio, né chiamato in causa: dunque la richiesta sarebbe provenuta da soggetti non legittimati.
Il motivo per i giudici è infondato: richiamando precedenti di legittimità (e cioè Cass. n. 4938/1981, n. 626/1971, n. 4391/1985 e n. 9689/2000), affermano che nel giudizio di divisione la richiesta di attribuzione del bene in via esclusiva costituisce una semplice modalità di attuazione della divisione, dunque non costituisce una nuova domanda, ma solo una specificazione della domanda originaria; dunque, non è assoggettabile alle preclusioni processuali sulle questioni proposte in appello.
Conseguentemente, se si ammette che le parti originarie potevano presentare la richiesta di attribuzione in via esclusiva, deve concludersi che essa avrebbe dovuto essere proposta necessariamente nel cessionario: il giudizio poteva infatti proseguire tra di esse, essendo possibile, ma non obbligatorio l'intervento del successore a titolo particolare ai sensi dell'art. 111 c.p.c. (si menzionano Cass. n. 18937/2006, n. 17151/2008, n. 23936/2007).
In conclusione, il ricorso è rigettato, e la sentenza impugnata dovrà essere corretta ove conclude fondando l'indivisibilità del bene sulla previsione dell'art. 1119 c.c. non su quella dell'art. 1112 c.c.