La disciplina dell'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. alla luce della pronuncia n. 26285/2019

28 Aprile 2020

La pronuncia di Cass. civ., 17 ottobre 2019, n. 26285, anche nota, dal nome del relativo estensore, come “sentenza D'Arrigo”, ha provveduto a fissare alcuni principi in ordine ai rapporti intercorrenti tra l'opposizione a precetto di cui al comma primo dell'art. 615 c.p.c., e l'opposizione all'esecuzione di cui al successivo comma secondo, in particolare nel caso in cui le stesse siano fondate sulle medesime ragioni. Il presente Focus sarà dedicato all'analisi di tali principi, con l'auspicio di offrire all'operatore utili linee guida per confrontarsi correttamente con tali nuove coordinate interpretative.
La fattispecie conosciuta dalla Suprema Corte e le questioni interpretative insorte

Preliminarmente, appare senz'altro utile illustrare la fattispecie concreta da cui è scaturita la decisione oggetto del presente approfondimento: con la doverosa precisazione, peraltro, che trattasi di pronuncia di principio di diritto che la Corte ha ritenuto di adottare nell'interesse della legge ex art. 363 c.p.c.

Una società otteneva nei confronti di un condominio un'ordinanza ex art. 186-ter c.p.c. per il pagamento di fatture inevase. Tale ordinanza, unitamente all'atto di precetto, veniva regolarmente notificata al condominio, il quale procedeva a un pagamento solamente parziale; per la riscossione del saldo, la società creditrice instaurava allora una procedura di espropriazione presso terzi.

Con atto di citazione, il condominio proponeva opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c., convenendo la società creditrice innanzi al Tribunale di Milano, e sostenendo di aver provveduto al pagamento integrale di quanto dovuto. Si costituiva la convenuta eccependo che, essendo stato notificato medio tempore l'atto di pignoramento presso terzi, l'opposizione avrebbe dovuto essere proposta non nelle forme di cui al menzionato comma 1, bensì quale opposizione all'esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c., e dunque con ricorso al giudice dell'esecuzione, con conseguente carenza nel giudice investito dell'opposizione a precetto del potere di pronunciarsi sulla domanda dell'opponente.

Il Tribunale di Milano rigettava le eccezioni della creditrice e sospendeva l'efficacia esecutiva dell'ordinanza ex art. 186-ter c.p.c. con provvedimento la cui abnormità veniva denunciata dalla società creditrice mediante reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., il quale tuttavia veniva rigettato.

Ricevuta la notificazione dell'atto di pignoramento presso terzi, il condominio proponeva poi opposizione all'esecuzione, ex art. 615, comma 2, c.p.c., innanzi al Tribunale di Milano. Il giudice dell'esecuzione, preso atto della sospensione del titolo esecutivo disposta dal giudice dell'opposizione a precetto, sospendeva la procedura esecutiva a norma dell'art. 623 c.p.c. e assegnava alle parti il termine per introdurre il giudizio di merito.

La società creditrice introduceva così il giudizio innanzi al giudice di pace di Milano, domandando la dichiarazione di inesistenza o di nullità del provvedimento di sospensione dell'efficacia del titolo esecutivo adottato ex art. 615, comma 1, c.p.c., nonché la revoca del provvedimento di sospensione dell'esecuzione ex art. 623 c.p.c., sulla base della considerazione per cui, al momento della notifica sia del precetto sia dell'atto di pignoramento, il debito del condominio non risultava estinto.

Le domande venivano rigettate con decisione che veniva impugnata innanzi al Tribunale di Milano. Tale organo, in riforma della sentenza appellata, dichiarava la litispendenza tra il processo di cognizione instaurato dalla società creditrice successivamente all'opposizione all'esecuzione, a norma dell'art. 616 c.p.c., e il giudizio instaurato mediante la proposizione dell'opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c., sulla base della considerazione per cui entrambi i processi vertevano sulla medesima opposizione.

Avverso tale decisione, la società creditrice proponeva ricorso per cassazione, convertito dalla Suprema Corte in regolamento necessario di competenza – essendo stato proposto avverso una sentenza dichiarativa della litispendenza -, dichiarato tuttavia inammissibile in quanto tardivo. Ritenuta la particolare importanza della questione prospettata dalle parti – ossia, il rapporto intercorrente tra l'opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c. e l'opposizione all'esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c. -, i Giudici di legittimità provvedevano comunque, come anticipato, all'enunciazione di alcuni principi di diritto nell'interesse della legge.

I rapporti tra l'opposizione a precetto e l'opposizione all'esecuzione: litispendenza, riunione, sospensione per pregiudizialità

Quale primo principio di diritto, la Suprema Corte afferma che sussiste litispendenza tra l'opposizione a precetto e l'opposizione all'esecuzione successivamente proposta avverso il medesimo titolo esecutivo quando le due azioni sono fondate su fatti costitutivi identici, concernenti l'inesistenza del diritto di procedere all'esecuzione forzata, e sempreché le cause pendano innanzi a giudici diversi. Invece, nell'ipotesi – da considerarsi più frequente – in cui le due opposizioni, riassunta la seconda nel merito, risultino pendenti innanzi al medesimo ufficio giudiziario, delle stesse si dovrà disporre la riunione ai sensi dell'art. 273 c.p.c., ovvero, qualora ciò non sia possibile per impedimenti di natura processuale, occorrerà sospendere per pregiudizialità la seconda causa, a norma dell'art. 295 c.p.c.

A tal proposito, già prima delle numerose modifiche che, nel corso degli anni, hanno interessato gli artt. 615 ss. c.p.c., la giurisprudenza di legittimità affermava la sussistenza di un rapporto di litispendenza tra le due cause in oggetto, quando le due azioni fossero fondate su fatti costitutivi identici, concernenti l'inesistenza del diritto di procedere all'esecuzione forzata (in tal senso, Cass. civ., 18 gennaio 1988, n. 335; Cass. civ., 24 ottobre 1986, n. 6235, nonché, più recentemente, Cass. civ., 20 luglio 2010, n. 17037).

Ad ogni buon conto, come noto, affinché possa intercorrere una relazione di litispendenza tra due cause ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 39 c.p.c. occorre la proposizione di una stessa causa davanti a giudici diversi. I giudici di legittimità si interrogano, pertanto, in prima battuta, sulla configurabilità di una identità di petitum e di causa petendi nella fattispecie che ci occupa.

Per quanto concerne l'identità di petitum, è richiamato un recentissimo precedente a Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 23 luglio 2019, n. 19889), in cui si è affermato come l'opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c. non integri un'impugnazione del titolo esecutivo bensì sia volta a contestare – al pari dell'opposizione all'esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c. - il diritto del creditore ad agire in executivis. Il quesito rilevante ai fini in esame viene sciolto allora in senso affermativo, rilevando appunto come il petitum dell'opposizione a precetto coincida con quello dell'opposizione all'esecuzione già iniziata, in quanto in entrambi i casi la domanda principale è volta ad accertare l'insussistenza, in tutto o in parte, del diritto del creditore a procedere esecutivamente.

Passando all'analisi inerente alla causa petendi, è chiaro che essa si atteggerà in termini di identità solo laddove le ragioni concretamente dedotte dall'opponente siano le medesime in entrambe le azioni esercitate: si tratta, in altri termini, di una valutazione da effettuarsi in concreto e avendo riguardo al singolo caso.

Entrambe le considerazioni appena svolte confermano, in definitiva, il principio di diritto già precedentemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ossia che ben può sussistere una relazione di litispendenza tra l'opposizione a precetto e l'opposizione all'esecuzione quando le ragioni ad esse sottese sono le medesime – fermo che, come detto, il petitum è di per se destinato a coincidere.

Come accennato, la litispendenza è ovviamente configurabile solo laddove le due cause in relazione di identità siano pendenti presso due uffici giudiziari diversi (venendo altrimenti in gioco, come meglio si vedrà tra breve, differenti istituti). La sentenza in esame si sofferma ampiamente sul punto, specificando le singole ipotesi in cui opposizione a precetto e opposizione all'esecuzione possono effettivamente risultare incardinate presso distinti uffici giudiziari, ossia:

  1. quando l'opposizione a precetto sia stata instaurata davanti a un giudice diverso dal tribunale territorialmente competente per l'esecuzione, ciò che può accadere, in particolare:
    1. se il creditore dichiari la propria residenza o elegga domicilio, ex art. 480, comma 3, c.p.c., in un circondario dove si trovano beni del debitore diversi da quelli che saranno poi effettivamente pignorati;
    2. se l'atto di precetto non contiene la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio, e sia notificato al debitore in un luogo diverso rispetto a quello in cui sarà intrapresa l'azione esecutiva (da identificarsi alla stregua degli artt. 26 ss. c.p.c.);
    3. se il creditore effettui una elezione di domicilio “anomala” - con ciò intendendosi l'ipotesi in cui la residenza dichiarata o il domicilio eletto non corrispondano a un luogo in cui vi siano beni del debitore utilmente pignorabili - e il debitore aderisca a tale indicazione al momento della proposizione dell'opposizione (né vi sia un rilievo d'ufficio dell'incompetenza territoriale);
  2. quando una delle due cause appartenga alla competenza per valore del giudice di pace e l'altra a quella del tribunale;
  3. quando le due cause pendano innanzi a giudici diversi, poiché la controversia iniziata precedentemente è già stata decisa in primo grado (ad esempio, giudice di primo grado innanzi al quale pende l'opposizione all'esecuzione già iniziata e giudice dell'impugnazione proposta avverso la sentenza che ha definito in primo grado l'opposizione a precetto).

Dichiarata la litispendenza, evidentemente, il processo iniziato per secondo verrà cancellato dal ruolo e non verrà trattato.

In tutti i casi in cui l'istituto della litispendenza non può trovare applicazione – ossia, in particolare, per essere entrambe le cause pendenti innanzi al medesimo ufficio giudiziario -, gli istituti destinati a venire in gioco saranno, come si diceva, altri e differenti: in particolare, si provvederà di norma alla riunione delle cause ex art. 273 c.p.c. ovvero, laddove ciò non sia possibile per ragioni d'ordine processuale, alla sospensione della seconda causa per pregiudizialità-dipendenza ex art. 295 c.p.c. Dichiarata la riunione, il giudice dovrà trattare soltanto la prima delle due opposizioni (quella a precetto), salvo che questa non risulti improcedibile e venga quindi meno l'ostacolo alla trattazione della seconda (l'opposizione all'esecuzione già iniziata). Peraltro, nel caso in cui venga disposta la riunione tra le due opposizioni, la Corte opportunamente chiarisce come restino ferme le decadenze già maturate all'interno della causa iniziata per prima: ciò, all'evidente scopo di scongiurare prassi di abuso del processo ovvero lesioni del diritto di difesa della parte a cui favore le preclusioni fossero maturate.

I rilievi appena effettuati, con tutta evidenza, dimostrano la sostanziale superfluità dell'opposizione all'esecuzione proposta sulla base degli stessi motivi dell'opposizione a precetto, in quanto destinata, nella maggior parte dei casi, a risolversi in un'attività processuale improduttiva di effetti pratici.

I rapporti tra i poteri interinali di sospensione dei giudici investiti delle opposizioni de quibus

La Suprema Corte ha inoltre affermato alcuni principi di diritto in ordine ai rispettivi poteri di sospensione facenti capo ai giudici investiti dell'opposizione a precetto e dell'opposizione all'esecuzione già avviata. A tal riguardo, è opportuno rammentare come il primo giudice, ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c., possa sospendere l'efficacia esecutiva del titolo, su istanza di parte, concorrendo gravi motivi; mentre il secondo possa sospendere l'esecuzione, sempre su istanza di parte e al ricorso di gravi motivi, a norma del successivo art. 624 c.p.c.

Con riguardo a tali distinti poteri interinali di sospensione, la Suprema Corte ha distinto tra “sospensione esterna”, ossia relativa all'efficacia esecutiva del titolo, di cui all'art. 615, comma 1, c.p.c., e “sospensione interna”, disposta dal giudice dell'esecuzione ex art. 624 c.p.c., sospensione che non incide sul titolo esecutivo bensì sul singolo processo esecutivo.

Ora, e per quanto di interesse nella presente sede, i giudici di legittimità hanno anzitutto negato che il giudice dell'opposizione a precetto, una volta che il creditore abbia iniziato l'esecuzione, perda il proprio potere di “sospensione esterna”, in tal modo escludendo che, una volta eseguito il pignoramento, solo il giudice dell'esecuzione sia competente alla pronuncia del provvedimento sospensivo: tale interpretazione, in particolare, sarebbe avallata – oltre che dall'assenza di una norma che confini il potere del giudice dell'opposizione a precetto di pronunciare la “sospensione esterna” solo fino al momento in cui abbia avuto inizio l'esecuzione -, dal rilievo per cui le due fattispecie di sospensione hanno una portata applicativa differente, in quanto quella ex art. 615, comma 1, c.p.c. sarebbe idonea a inibire qualsiasi azione esecutiva fondata su un determinato titolo esecutivo, e non soltanto il singolo processo esecutivo (come avviene, come testé accennato, con la sospensione ex art. 624 c.p.c.).

Coerentemente al ragionamento sin qui svolto, la Suprema Corte ha dunque affermato, quale ulteriore principio di diritto nell'interesse della legge, che il giudice dell'opposizione a precetto al quale sia stato chiesto di disporre la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c., non perda il potere di provvedere sull'istanza per effetto dell'attuazione del pignoramento o, comunque, dell'avvio dell'azione esecutiva, sicché l'ordinanza sospensiva da questi successivamente pronunciata determinerà ab esterno la sospensione ex artt. 623 e 626 c.p.c. di tutte le procedure esecutive nel frattempo instaurate.

Corollario di tale approdo non può che essere, evidentemente, che il pignoramento eseguito dopo che il giudice dell'opposizione a precetto abbia disposto la sospensione dell'esecutività del titolo sia radicalmente nullo: tale invalidità deve essere rilevata, anche d'ufficio, dal giudice dell'esecuzione, dando luogo a un'ipotesi di “estinzione atipica” del processo esecutivo.

Così chiarito in termini affermativi il persistente potere del giudice dell'opposizione a precetto di pronunciare la sospensione ex art. 615, comma 1, c.p.c., anche una volta che sia iniziata l'esecuzione, la Cassazione si è interrogata su analogo problema, coinvolgente però questa volta la persistenza, in capo al giudice dell'esecuzione, del potere di adottare il provvedimento sospensivo ex art. 624 c.p.c. nell'ipotesi in cui siano contemporaneamente pendenti – nonché fondate sui medesimi motivi - l'opposizione a precetto e, per l'appunto, l'opposizione all'esecuzione. In primo luogo, i giudici di legittimità ricordano la natura cautelare di entrambi i provvedimenti sospensivi, il cui fumus coincide con la verosimile fondatezza dell'opposizione proposta; ora, se a tale considerazione si aggiunge quella secondo cui la situazione di litispendenza non implica, di per se, l'inammissibilità o l'improcedibilità della causa introdotta per seconda – ma, anzi, la cancellazione di quest'ultima dal ruolo può essere disposta esclusivamente nella fase a cognizione piena dell'opposizione all'esecuzione -: occorre concludere che il giudice dell'esecuzione, nel momento in cui esamina l'opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c., al solo fine di decidere sull'istanza di sospensione ex art. 624 c.p.c., si ritrova dinanzi a una causa potenzialmente suscettibile di essere decisa nel merito, sicché, venuti meno eventuali ostacoli preliminari di rito, egli è potenzialmente investito del potere di disporre la sospensione del processo esecutivo, ove riscontri la sussistenza dei presupposti cautelari. Tuttavia, deve essere pure osservato che, laddove le richieste di sospensiva si fondino sugli stessi identici motivi, i rispettivi poteri di sospensiva dei due giudici non potranno considerarsi concorrenti bensì mutuamente esclusivi, con la conseguenza per cui il giudice successivamente adito dovrà ritenersi privo di potestas iudicandi sul provvedimento di sospensione (così pure la già citata Cass. civ., Sez. Un., n. 19889/2019). La Cassazione sviluppa anzi tale ragionamento, disegnando i rapporti tra i due poteri di sospensione nei termini di “continenza cautelare”, nel senso che il provvedimento sospensivo adottato ex art. 615, comma 1, c.p.c. comprenderebbe in se anche gli effetti della sospensione pronunciata dal giudice dell'esecuzione ex art. 624 c.p.c. Ne consegue, con tutta evidenza, che l'opponente che abbia già richiesto la sospensione al giudice dell'opposizione a precetto non possa, per le medesime ragioni, rivolgersi anche al giudice dell'esecuzione per ottenere l'inibitoria, avendo consumato il proprio potere processuale.

Conclusivamente, e per ripetere il principio di diritto pronunciato dalla Suprema Corte, qualora siano contemporaneamente pendenti l'opposizione a precetto e l'opposizione all'esecuzione già iniziata sulla base di quello stesso precetto, i due giudici hanno una competenza mutuamente esclusiva quanto all'adozione dei provvedimenti sospensivi di rispettiva competenza, nel senso che, sebbene l'opponente possa in astratto rivolgersi all'uno o all'altro giudice, una volta presentata l'istanza innanzi a quello con il potere "maggiore" (il giudice dell'opposizione a precetto), egli consuma interamente il suo potere processuale e, pertanto, non potrà più adire al medesimo fine il giudice dell'esecuzione, neppure se l'altro non si sia ancora pronunciato.

Sull'onere di introdurre il giudizio di merito a norma dell'art. 616 c.p.c.

Da ultimo, la Cassazione si preoccupa di fornire la corretta interpretazione della disciplina inerente all'instaurazione del giudizio di merito successivamente alla proposizione dell'opposizione all'esecuzione, sempre avuto riguardo all'ipotesi di litispendenza tra tale causa e l'opposizione a precetto.

Da quanto sin qui detto, infatti, appare lecito interrogarsi sul contenuto del provvedimento che il giudice dell'esecuzione, investito dell'opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c., è chiamato ad adottare laddove effettivamente consti la pendenza di un'opposizione a precetto caratterizzata da identità di petitum e causa petendi con quella innanzi a se instaurata. Risulterebbe infatti del tutto superfluo, e forse anche diseconomico, assegnare comunque alle parti il termine ex art. 616 c.p.c. per provvedere all'introduzione del giudizio di merito: giudizio, questo, fatalmente destinato ad andare incontro a una declaratoria di litispendenza ex art. 39 c.p.c. e, dunque, ad essere cancellato dal ruolo. Del tutto preferibile, allora, si presenta la possibilità che il giudice dell'esecuzione si limiti a prendere atto della pendenza dell'opposizione a precetto senza, appunto, onerare la parte interessata di instaurare un giudizio sostanzialmente superfluo.

Sulla base di queste considerazioni può essere allora apprezzato il principio di diritto coniato dalla Corte, secondo cui, qualora sussista litispendenza fra la causa di opposizione a precetto e la causa di opposizione all'esecuzione già iniziata, il giudice dell'esecuzione, all'esito della fase sommaria, non debba assegnare alle parti, ai sensi dell'art. 616 c.p.c., un termine per introdurre il giudizio di merito, giacché un simile giudizio sarebbe immediatamente cancellato dal ruolo ai sensi dell'art. 39, comma 1, c.p.c. Il giudizio che le parti hanno l'onere di proseguire si identifica, infatti, con la causa iscritta a ruolo per prima, ossia l'opposizione a precetto.

Correlativamente, nel caso in cui il giudice dell'esecuzione proceda comunque ad assegnare alle parti il termine per l'instaurazione del giudizio di merito, deve ritenersi che le stesse non siano onerate di tale adempimento, e possano dunque disattendere il comando giudiziale senza incorrere in conseguenze negative. Per dirlo, di nuovo, con le parole della Cassazione, qualora, pendendo una causa di opposizione a precetto, il giudice dell'esecuzione - o il collegio adito in sede di reclamo ex artt. 624, comma 2 e 669-terdecies c.p.c. - sospenda l'esecuzione per i medesimi motivi prospettati nell'opposizione a precetto, le parti non sono tenute a introdurre il giudizio di merito nel termine di cui all'art. 616 c.p.c. che sia stato loro eventualmente assegnato, senza che tale omissione determini il prodursi degli effetti estintivi del processo esecutivo previsti dall'art. 624, comma 3, c.p.c., in quanto l'unico giudizio che le parti sono tenute a coltivare è quello, già introdotto, di opposizione a precetto, rispetto al quale una nuova causa si porrebbe in relazione di litispendenza.

Diverso, infine, è il caso in cui il giudice dell'esecuzione, rilevata l'identità tra la causa di opposizione a precetto e quella di opposizione all'esecuzione, abbia ritenuto di non assegnare alle parti il termine per l'introduzione del giudizio di merito ex art. 616 c.p.c., ma una delle parti ritenga, all'opposto, che petitum o causa petendi delle predette azioni non siano coincidenti: in tal caso, essa potrà (e dovrà) introdurre ugualmente il giudizio di merito, nel termine di sei mesi previsto dall'art. 289 c.p.c. in materia di integrazione dei provvedimenti istruttori, al fine di richiedere l'accertamento dell'insussistenza di una situazione di litispendenza o, comunque, un rapporto di mera continenza. Infatti, avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione, avente natura meramente ordinatoria, non possono essere esperiti né l'opposizione agli atti esecutivi, né il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., né il regolamento di competenza.

Guida all'approfondimento
  • Garbagnati, Opposizione all'esecuzione (diritto processuale civile), in Noviss. Dig. it., XI, Torino, 1965;
  • Mandrioli, Opposizione all'esecuzione ed agli atti esecutivi (dir. proc. civ.), in Enc. Dir., XXX, Milano, 1980;
  • Montanari, Il cantiere sempre aperto delle opposizioni esecutive, in Riv. esec. forz., 2010;
  • Olivieri, Opposizione all'esecuzione, sospensione interna e esterna, poteri ufficiosi del giudice, in Studi di diritto processuale civile in onore di Giuseppe Tarzia, II, Milano, 2005;
  • Onniboni, Oppisizione a precetto e opposizione a pignoramento: relazioni strutturali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002;
  • Oriani, Opposizione all'esecuzione, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., XIII, Torino, 1995;
  • Oriani, La sospensione dell'esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), in www.judicium.it, 2006;
  • Romano, La nuova opposizione all'esecuzione, in in www.judicium.it, 2006;
  • Vantaggiato, Litispendenza fra opposizione a precetto e opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., in www.eclegal.it.

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