L'innovazione tecnologica e l'avvento di nuove frontiere del commercio digitale: profili fiscali
11 Febbraio 2020
Premessa
L'innovazione tecnologica e l'avvento di nuove frontiere del commercio digitale pongono importanti sfide ai sistemi di pianificazione fiscale nazionali. La c.d. digitalizzazione dell'economia ha permesso alle imprese di conquistare mercati esteri, un tempo difficilmente penetrabili, in quanto geograficamente lontani, con una significativa diminuzione dei costi di organizzazione e coordinamento. La dimensione sovranazionale delle imprese “digitalizzate” ha comportato un disallineamento fra il Paese in cui gli investimenti e il core business dell'impresa sono allocati e il Paese in cui i profitti “digitali” sono prodotti. Approfittando dell'incertezza normativa, le multinazionali del web, sfruttando la rete, hanno elaborato politiche fiscali, finalizzate a massimizzare i propri profitti su scala globale, eludendo la potestà impositiva di Stati ove forniscono i servizi digitali. L'obiettivo è essenzialmente quello di evitare tassazioni gravose, “spostando” allocazione degli utili in Paesi a fiscalità ridotta. Tale fenomeno ha avuto un inevitabile impatto sulle entrate nazionali. I sistemi fiscali nazionali, fondati su tradizionali concetti di residenza e sovranità, si sono rivelati spesso non adeguati e impreparati a gestire le nuove realtà economiche, caratterizzate generalmente dalla totale assenza di un collegamento con il territorio di fruizione del servizio digitale. Negli ultimi decenni il dibattito nazionale e internazionale ha messo in luce la necessità di introdurre nuovi sistemi di tassazione, in grado di regolamentare gli importanti cambiamenti che interessano i nuovi settori economici. Ruolo decisivo nella lotta a tale fenomeno è stato assunto dall'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) che, negli ultimi anni, su mandato dei leader politici del G20 ha posto le fondamenta per un ripensamento, a livello internazionale, degli strumenti di contrasto ai fenomeni elusivi a oggi esistenti. In una economia fortemente globalizzata, l'assenza di soluzioni condivise espone gli Stati a rischi di erosione della base imponibile e, conseguentemente, di sottrazione del gettito erariale. Da qui l'avvertita esigenza di adottare misure uniformi e criteri condivisivi per la regolamentazione delle problematiche di natura fiscale connesse al settore digitale. Tale intesa non è stata ancora raggiunta anche a causa degli accesi scontri politici che vedono contrapposti essenzialmente gli Stati Uniti d'America, ove sono stabiliti il maggior numero di multinazionali che operano nel web e l'area dell'Europa in cui tali società producono elevati redditi non soggetti a tassazione. All'indomani dell'introduzione in Francia della tassa sui servizi digitali, il presidente degli Stati Uniti ha definito tale misura come irragionevole e discriminatoria verso il commercio americano, minacciando l'introduzione di gravosi dazi nei confronti dei Paesi, che adotteranno analoghi sistemi di tassazione dell'economia digitale. Dal 1° gennaio 2020, dopo due tentativi naufragati, anche in Italia è entrata in vigore la nuova imposta sui servizi digitali destinata a una temporanea applicazione, in attesa di una soluzione in ambito internazionale o in sede europea.
La tassazione dei servizi digitali a livello internazionale
I primi passi verso una soluzione condivisa in ambito internazionale: il progetto Beps. A partire dagli anni 90' l'interesse internazionale al tema della gestione a livello fiscale dell'economia digitale è cresciuto rapidamente. L'esigenza di individuare soluzioni comuni di contrasto delle pratiche elusive, messe in atto dai colossi del web, è stata avvertita con maggiore chiarezza negli anni della crisi politico-finanziaria. In occasione del G20, i Ministeri delle Finanze dei Governi partecipanti hanno affidato all'OCSE il compito di analizzare le criticità della normativa internazionale, per individuare i meccanismi che consentono alle imprese di attuare comportamenti elusivi e delineare un sistema da applicarsi su scala globale idoneo ad arginare il fenomeno elusivo. Nel 2013, su mandato politico dei leader dei governi partecipanti, l'OCSE ha pubblicato il c.d. Addressing Base Erosion and Profit Shifthing (“progetto BEPS”), con il quale ha pubblicato un Action plan volto a individuare standard internazionali e politiche comuni di contrasto a pratiche negative di erosione della base imponibile (base erosion) e spostamento degli utili societari (profit shifthing). Il progetto si articola in 15 Action, ognuna focalizzata a contrastare un determinato fenomeno elusivo, attraverso l'attuazione di misure, nazionali e internazionali, atte a garantire che i profitti societari siano tassati nel Paese ove si sono svolte le attività economiche rilevanti che li hanno generati (Servizio del Bilancio, Nota breve, Il Progetto Base Erosion and Profit Shifting (BEPS), Senato della Repubblica, XVII legislatura, NB n. 13, ottobre 2015). Con specifico riferimento al fenomeno dell'economia digitale, il pacchetto BEPS dedica l'Action 1. La scelta di riservare la prima delle 15 azioni del progetto BEPS alle problematiche fiscali inerenti il commercio digitale dimostra come la regolamentazione di tale fenomeno costituisca una priorità della politica internazionale. In particolare, l'OCSE, con l'Action 1, evidenzia le principali problematiche generate dalla digitalizzazione dell'economia, sottolineando la necessità di adottare sistemi condivisi volti a: stabilire un collegamento fra il servizio digitale potenzialmente soggetto a tassazione e un determinato territorio (nexus); a individuare dati rilevanti da un punto di vista economico e, quindi, fiscale (data) e a regolamentare i pagamenti relativi alla fruizione del servizio digitale (characterisation). Ai fini delle imposte sui redditi, l'Organizzazione internazionale propone possibili sistemi di tassazione, quali, la ritenuta alla fonte e dell'equalisation levy o, in alternativa, la previsione di un “contributo di perequazione”. Nell'Azione, l'OCSE sottolinea la necessità di procedere con un approccio corale, auspicando l'adozione di misure comuni per la tassazione dei profitti digitali conseguiti dalle imprese hi-tech.
I tentativi di attuazione delle misure anti- Beps: la Convenzione multilaterale. Ulteriore passo in avanti verso una più concreta regolamentazione globale della tassazione dei servizi digitali è stato compiuto dalla Convenzione multilaterale per l'attuazione di misure relative alle convenzioni fiscali finalizzate a prevenire l'erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti (https://www.oecd.org/tax/treaties/beps-multilateral-instrument-text-translation-italian.pdf), ratificata, secondo l'elenco pubblicato sul sito dell'Ocse e aggiornato al dicembre 2019, da 92 Stati. La Convenzione ha il dichiarato intento di dare effettiva attuazione alle misure anti-BEPS attraverso la previsione di un unico modello contenente linee guida e soluzioni anche alternative, finalizzate a integrare e/o modificare le vigenti Convenzioni contro le doppie imposizioni (“CDI”), stipulate, in via autonoma, dagli Stati sulla base del Modello OCSE. La scelta di adottare lo strumento della Convenzione multilaterale è stata ritenuta coerente con l'obiettivo, formalizzato nell'Action 15 del progetto BEPS, nella quale era stata sottolineata l'opportunità di intraprendere un più celere processo di revisione delle CDI alla luce delle nuove misure, garantendo uniformità interpretativa. La Convenzione infatti assolve la funzione di modificare “in simultanea” gli accordi contro le doppie imposizioni sottoscritti da ciascuno Stato, alla luce dei principi sanciti dal progetto BEPS, con il vantaggio di evitare singole negoziazioni bilaterali.
Intrapreso il processo di attuazione delle misure anti-Beps, le problematiche fiscali connesse al fenomeno della new economy sono sempre più al centro dell'agenda internazionale. In occasione dell'ultima riunione dell'OCSE/G20 Inclusive Framework on BEPS si sono registrati importanti sviluppi nella definizione e regolamentazione delle sfide fiscali poste dalla digitalizzazione dell'economia. Con l'approvazione della Policy note “Addressing the tax Challenges of the Digitalisation of the Economy” (https://www.oecd.org/tax/beps/policy-note-beps-inclusive-framework-addressing-tax-challenges-digitalisation.pdf), i Paesi partecipanti all'Inclusive Framework on BEPS hanno formulato nuove soluzioni a livello globale, approdate nel Programme of work to Develop a Consensus solution to the Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy. Il documento si compone di una serie di proposte, suddivise in due pilastri (Two Pillars) sui quali si concentrerà il prossimo dibattito internazionale. Il primo pilastro riguarda la revisione delle regole di allocazione dei profitti tramite l'identificazione del nesso tra il concetto di “presenza economica significativa” delineato nell'Action 1 e quello di “presenza digitale significativa”; il secondo pilastro affronta le restanti questioni contenute nel progetto BEPS, introducendo misure uniformi per garantire un livello minimo di tassazione. Lo scorso ottobre l'OCSE, al fine di garantire il rispetto del fitto programma di lavoro stabilito dai Paesi dell'Inclusive Framework, ha pubblicato una “proposta di sintesi” per un Unified Approach under Pillas one volta a individuare possibili strategie per garantire il pagamento delle imposte sugli utili digitali realizzati dalle multinazionali del web nel Paese ove sono generati i profitti. La situazione in sede comunitaria
Negli ultimi anni, a seguito del maggiore interesse assunto in ambito internazionale dalla questione relativa alla tassazione dell'economia digitale, anche in sede comunitaria, si registrano le prime concrete proposte volte ad arginare, da un punto di vista fiscale, fenomeni elusivi del gettito erariale. L'approccio seguito in sede comunitaria è sempre stato favorevole alla ricerca di un sistema di tassazione condiviso nel rispetto dei principi di equità fiscale e coerenza con il modello economico e sociale dell'UE. In tale contesto sono state da più parti disincentivate misure unilaterali e non coordinate, in favore, in un primo momento, di una “soluzione europea”. Tali obiettivi sono stati posti quali punti fermi in occasione della riunione informale del Consiglio dei Ministri delle finanze dell'UE (Ecofin) del settembre 2017, ove alcuni Paesi, fra cui l'Italia, hanno proposto l'introduzione della c.d. “equalisation tax” destinata a colpire i profitti conseguiti dalle multinazionali del web in Europa. A seguito di tale proposta, è stata adottata la comunicazione COM(2017) 547 “Un sistema fiscale equo ed efficiente nell'Unione europea per il mercato unico”, nella quale si chiariva la necessità di realizzare una tassazione equa ed efficace attraverso una azione comunitaria uniforme e condivisa volta a introdurre una “imposizione globale e moderna” che garantisca il mercato unico digitale. Più recentemente, la prospettiva europea è apparsa diversamente orientata a favore di una visione globale, ovverosia una soluzione in ambito OCSE, in grado di dare una chiara risposta ai problemi fiscali connessi all'economia digitale. Ciò nondimeno, la mancata adozione di chiare misure a livello internazionale ha incentivato le istituzioni europee e, in particolare, la Commissione europea ad assumere un ruolo attivo nella elaborazione di proposte e sistemi di tassazione a tutela degli interessi erariali dei singoli Stati membri dell'UE. In un simile contesto si collocano le proposte formulate dalla Commissione europea volte a sollecitare la ripresa dei negoziati internazionali e a limitare, nelle more, le distorsioni del mercato rese possibili dal vuoto legislativo. In particolare, la Direttiva del Consiglio [(COM 2018) 147 final del 21 marzo 2018], propone l'istituzione, in via transitoria, dell'“imposta sui servizi digitali”, in attesa di una soluzione strutturale adottata in sede OCSE. L'imposta sui servizi digitali di matrice comunitaria troverebbe applicazione sui ricavi generati dalla vendita pubblicitaria, dalle attività̀ di intermediazione e dalla vendita di informazioni personali. I soggetti passivi della imposta europea sono individuati nelle imprese con un fatturato di almeno 750 milioni di euro a livello mondiale e di almeno 50 milioni a livello europeo, con la conseguenza che dovrebbero ritenersi escluse le imprese startup e le scale-up di piccole dimensioni. L'entrata in vigore di tale imposta comunitaria è subordinata all'approvazione da parte del Parlamento europeo e, da votazione all'unanimità̀, dei governi dell'Unione riuniti nel Consiglio dell'Unione Europea. Importanti sviluppi verso l'auspicata soluzione europea in materia di tassazione di profitti digitali e il generale obiettivo di creare una Europa “più digitale” sono i principali punti del programma dell'attuale presidenza della Commissione UE. La neo eletta presidente dell'esecutivo Ue, Ursula Von der Leyer, ha confermato che fra le priorità del futuro europeo vi è la tassazione delle grandi tech companies. A conferma della concretezza di tali intenzioni lo scorso dicembre è stata presentata alla Commissione europea l'interrogazione parlamentare con richiesta di risposta orale, al fine di comprendere i prossimi interventi per garantire equità fiscale nell'area europea in attesa dell'attuazione di un potenziale accordo in ambito internazionale (http://www.europarl.europa.eu/doceo/document/O-9-2019-000040_IT.html).
Contesto politico - economico Dopo un lungo iter legislativo, da gennaio, anche in Italia, è entrata in vigore l'imposta sui servizi digitali. Il primo tentativo di introdurre nel sistema di tassazione fiscale la web tax è stato compiuto dal Governo Gentiloni con la Legge di Bilancio per il 2018 (art.1, commi 1011-1019, L. 205/2017). La Legge affidava a successivi decreti ministeriali il compito di definire gli aspetti e gli ambiti applicativi. La mancata adozione di tali decreti attuativi ha fatto sì che l'imposizione 2018 non trovasse applicazione. Medesima sorte è toccata alla successiva imposta digitale introdotta con la Legge di Bilancio 2019, per primo Governo Conte (art. 1, commi 35-50, L. 145/2018). I lavori per l'introduzione in Italia della disciplina della digital tax ha profondamente risentito del contesto politico ed economico in sede europea e in ambito internazionale. La stessa legge di Bilancio 2020 (L. 27 dicembre 2019, n. 160), infatti, chiarisce che l'imposta “[sarà] abrogat[a] alla data di entrata in vigore delle disposizioni che deriveranno da accordi raggiunti nelle sedi internazionali in materia di tassazione dell'economia digitale” (art. 1, comma 49 bis, L. 30 dicembre 2018, n. 145). La soluzione di adottare una imposta sui servizi digitali “a scadenza”, in attesa di più organiche riforme a livello globale, è frutto di una scelta tattica del Governo italiano, consapevole di dover fronteggiare temporaneamente le distorsioni di mercato, create da un inadeguato apparato impositivo vigente, ma con gli occhi attenti e puntati a possibili e prossime soluzioni internazionali. Nelle previsioni dell'attuale esecutivo, la nuova digital tax colpirà i colossi del web e porterà nelle tasche dello Stato circa 708 milioni di euro a partire dal 2020. L'imposta è regolamentata dal combinato disposto delle norme istitutive della originaria web tax, così come modificate dalla Legge di Bilancio 2020 (artt. 36, 41, 42 e 43, L. 145/2018), e dalle nuove disposizioni inserite dall'ultima Manovra (artt. 35 bis, 37 bis, 39 bis, 39 ter, 40 bis, 40 ter e 44 bis).
Ambito oggettivo L'ambito oggettivo dell'imposta presenta importanti differenze rispetto all'imposizione approvata dal Governo Gentiloni. La Legge di Bilancio 2020, con riferimento all'individuazione dell'ambito oggettivo, ricalca la formulazione dei servizi digitali contenuta nella direttiva COM(2018) 148, prevedendo l'applicazione dell'imposta alla generalità dei sevizi digitali. In particolare a partire da gennaio 2020 sono soggetti a imposta sui servizi digitali: la veicolazione su un'interfaccia digitale di pubblicità mirata agli utenti della medesima interfaccia (art. 1, comma 37, lett. a), L. 145/2018); la messa a disposizione di un'interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni o servizi (art. 1, comma 37, lett. b), L. 145/2018); la trasmissione di dati raccolti da utenti generati dall'utilizzo di interfacce digitali (art. 1, comma 37, lett. c), L. 145/2018). Diversamente dall'imposta sulle transazioni digitali, mai entrata in vigore, la nuova imposta sui servizi digitali riguarderà anche le vendite online, la pubblicità, la trasmissione di dati raccolti da utenti generati dall'utilizzo di interfacce digitali. La Manovra 2020 interviene per specificare i servizi esclusi dal campo di applicazione dell'imposta, inserendo nel corpus dell'art. 1, il comma 37 bis. Per espressa previsione normativa l'imposta non riguarderà: “a) la fornitura diretta di beni e servizi, nell'ambito di un servizio di intermediazione digitale; b) la fornitura di beni o servizi ordinati attraverso il sito web del fornitore di quei beni e servizi, quando il fornitore non svolge funzioni di intermediario; c) la messa a disposizione di un'interfaccia digitale il cui scopo esclusivo o principale è quello della fornitura agli utenti dell'interfaccia da parte del soggetto che gestisce l'interfaccia stessa di: contenuti digitali, servizi di comunicazione o servizi di pagamento; d) la messa a disposizione di un'interfaccia digitale utilizzata per gestire:
e) la cessione di dati da parte dei soggetti che forniscono i servizi indicati alla precedente lettera d); f) lo svolgimento delle attività di organizzazione e gestione di piattaforme telematiche per lo scambio dell'energia elettrica, del gas, dei certificati ambientali e dei carburanti, nonché la trasmissione dei relativi dati ivi raccolti e ogni altra attività connessa”.
Il successivo comma 38, dell'art. 1, L. 145/2018 precisa che, in ogni caso, devono ritenersi esclusi dall'ambito di applicazione dell'imposta i servizi resi nei confronti di soggetti controllati, controllanti o controllati parte di un gruppo.
Ambito soggettivo La nuova imposizione trova applicazione esclusivamente allorquando 1) il prestatore del servizio digitale effettua servizi di tipo business to business (B2B), tramite strumenti elettronici generando un fatturato superiore a 750 milioni di euro ovunque conseguiti e ricavi derivanti da forniture digitali non inferiori a 5,5 milioni di euro (art. 1, comma 36, L. 145/2018) realizzati in Italia e se 2) l'utente che usufruisce del servizio è un soggetto localizzato in Italia nel periodo di imposta in cui è tassabile il servizio digitale (art. 1, comma 40, L. 145/2018). L'art. 1, comma 41 bis, L. 145/2018, introdotto dalla Legge di Bilancio 2020, precisa che, ai fini dell'applicazione dell'imposta “il dispositivo si considera localizzato nel territorio dello Stato con riferimento principalmente all'indirizzo di protocollo internet (IP) del dispositivo stesso o ad altro sistema di geolocalizzazione”. La previsione di specifiche soglie minime di fatturato già previste dalla web tax europea con la proposta di Direttiva COM (2018) 148 final, risponde all'esigenza di limitare “l'applicazione dell'imposta alle imprese di determinate dimensioni, che sono quelle che detengono posizioni di mercato consolidate” (Relazione illustrativa art. 4, L. 145/2018). Tali presupposti devono sussistere in via congiunta, con la conseguenza che l'acclarata assenza di una sola delle suddette condizioni, comporta l'inapplicabilità dell'imposta in commento. Il nuovo art. 1, comma 43, L. 145/2018 introduce l'obbligo di nominare un rappresentante fiscale per assolvere gli obblighi di dichiarazione e di pagamento dell'imposta, se il soggetto non residente risulta non stabilito in un Paese dell'UE o dello Spazio economico europeo.
Misura e aspetti applicativi dell'imposta Il prelievo, pari al 3%, è calcolato sull'ammontare complessivo dei ricavi realizzati nel precedente anno solare a decorrere dal periodo di imposta 2020 e deve essere versato all'Erario entro il 16 febbraio dell'anno solare successivo rispetto al periodo di imposta in cui il servizio digitale è realizzato. I soggetti passivi dell'imposta sono tenuti alla presentazione della dichiarazione annuale, indicando l'ammontare complessivo dei servizi forniti soggetti a tassazione entro il 31 marzo dell'anno solare successivo rispetto a quello in relazione al quale è presentata la dichiarazione.
Osservazioni
Il cammino verso una soluzione internazionale delle problematiche fiscali relative all'economia digitale è ancora lungo. Dall'adozione del progetto BEPS, che costituisce il primo importante segnale verso una effettiva regolamentazione a livello fiscale del fenomeno digitale, soltanto negli ultimi anni gli interventi della comunità internazionale si sono concretizzati. Nel 2019, l'OCSE ha formulato concrete proposte di modifica della normativa in materia di imputazione dei profitti (Two Pillars) che, con particolare riferimento al primo pilastro, dovrebbe trovare applicazione già nei primi mesi del 2020. Nonostante i recenti sforzi compiuti in sede OCSE il dibattito politico ed economico non accenna a placarsi. Lo stallo a livello internazionale e la forte pressione politica per le ingenti perdite del gettito erariale, hanno incentivato iniziative nazionali per la tassazione dei profitti digitali, con il conseguente allontanamento della tanto auspicata soluzione condivisa, caldeggiata dall'OCSE e dalle istituzioni comunitarie. In tale senso si sono orientate Francia e, recentemente, anche l'Italia. In particolare, la nuova imposta sui servizi digitali italiana continua a suscitare forti contrasti. Da più parti sono stati sollevati dubbi in ordine all'effettivo raggiungimento dell'obiettivo da parte della normativa riscritta dalla Legge di Bilancio 2020. La previsione di un prelievo pari al 3%, secondo molti, sembrerebbe tradire la finalità di colpire i c.d. giganti del web che nel nostro Paese conseguono importanti ricavi. Non resta che attendere l'effettiva applicazione della nuova imposta per valutare se effettivamente la normativa riuscirà a garantire le entrate stimate dal Governo. |