Alla ricerca della ragionevolezza perduta: il divieto di licenziamento per g.m.o. nelle more della emanazione del decreto “rilancio”

21 Maggio 2020

Il decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, c.d. cura Italia, ha posto nell'art. 46 il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (g.m.o.) per il recesso intimato dal datore di lavoro, al di là del numero dei dipendenti occupati, dal 17 marzo 2020 al 15 maggio 2020 (“sessanta giorni”)...

Il decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, c.d. cura Italia, ha posto nell'art. 46 il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (g.m.o.) per il recesso intimato dal datore di lavoro, al di là del numero dei dipendenti occupati, dal 17 marzo 2020 al 15 maggio 2020 (“sessanta giorni”). La stessa norma ha stabilito, per il medesimo periodo, il divieto di avvio di licenziamenti collettivi ovvero la sospensione delle procedure di licenziamento collettivo avviate successivamente al 23 febbraio 2020.

L'art. 46 ha subito un'aggiunta in sede di conversione: la legge 24 aprile 2020, n. 27, entrata in vigore il 30 aprile 2020, ha, infatti, escluso dal divieto e dalla sospensione delle procedure di licenziamento collettivo quelle ipotesi “in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto”. Consentendo, quindi, la deroga per quei casi che assicuravano la continuità dell'occupazione dei lavoratori.

La legge di conversione non è intervenuta ulteriormente su questa norma e ha, così, fatto salvo il periodo di divieto e sospensione (60 giorni a decorrere dal 17 marzo 2020) posto dal decreto legge. Sennonché la mezzanotte del 16 maggio è scoccata e, di conseguenza, “l'incantesimo” del congelamento dei licenziamenti collettivi e del licenziamento per g.m.o. è venuto meno.

La solerzia del Governo non è, però, mancata e, nel perdurare del “caso straordinario di necessità ed urgenza” (art. 77, comma 2, Cost.), il Presidente del Consiglio, nella conferenza stampa del 13 maggio 2020, ha annunciato il c.d. decreto “rilancio” (d.l. 19 maggio 2020, n. 34). L'art. 80 di tale decreto prevede una modifica dell'art. 46 mediante la sostituzione delle parole “60 giorni” con “cinque mesi”. Il Governo, rectius il legislatore d'urgenza, dispone, così, in via retroattiva, il divieto di licenziamento per g.m.o. e la sospensione delle procedure di licenziamento collettivo e individuale di cui all'art. 7 - questa un'ulteriore aggiunta apportata dall'art. 80 al testo dell'art. 46 - per un periodo intercorrente dal 17 marzo 2020 al 17 agosto 2020.

Ebbene il decreto “rilancio”, è stato emanato nella tarda serata del 19 maggio 2020 (errata-corrige pubblicato in G.U. n. 129 del 20 maggio 2020, p. 31) ed è stato pubblicato in gazzetta ufficiale solo il 19 maggio 2020, aprendo, quindi, alcuni problemi relativi al periodo 16-19 (fino al tramonto, poiché prima ne era impossibile la conoscibilità) maggio 2020 in cui il licenziamento per g.m.o. è stato consentito in mancanza di una previsione di legge che lo impedisse.

Nel perdurare, dunque, della vacatio legis, il datore di lavoro ha potuto esercitare il proprio diritto di recesso in presenza di g.m.o. sicuramente nei confronti di quei lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 per i quali non opera la procedura preventiva dell'art. 7 della legge n. 604 del 1966 - vale a dire i lavoratori impiegati alle dipendenze di datori di lavoro che occupano meno di quindici, ovvero cinque per le imprese agricole, dipendenti (art. 18, comma 8, l. n. 300 del 1970) - ovvero per i lavorati assunti dopo il 7 marzo 2015 e rientranti nel regime del contratto a tutele crescenti. Per gli altri lavoratori, il decreto “rilancio” ha disposto, con la sua entrata in vigore, la sospensione della procedura di cui all'art. 7 e, dunque, ne ha bloccato il licenziamento.

Va rilevato, allora, che nello stato di assenza di una norma che sospendesse il diritto di recesso del datore per g.m.o., essendo scaduto il termine dell'art. 46 vecchio testo, l'esercizio dello stesso è stato senza dubbio possibile. Cosa avviene, dunque, per i licenziamenti per g.m.o. irrogati dal 16 al 19 (fino al tramonto) maggio 2020? Sono, semplicemente, disciplinati dalla normativa lavoristica in tema di licenziamento. Di conseguenza, stante la sussistenza del g.m.o., il licenziamento è pienamente legittimo e produce il suo effetto estintivo. Tale legittimità è venuta meno - si badi bene - solamente nella tarda serata del 19 maggio 2020 con l'art. 80, d.l. n. 34 del 2020, che ha disposto, con la modifica dell'art. 46, in senso opposto.

Si possono, così, avere: 1) licenziamenti per g.m.o. illegittimi perché intimati tra il 17 marzo 2020 ed il 15 maggio 2020; 2) licenziamenti per g.m.o. legittimi perché intimati tra il 16 maggio 2020 ed il 19 (fino al tramonto) maggio 2020; 3) licenziamenti per g.m.o., di nuovo, illegittimi perché intimati tra il 19 maggio 2020, data di entrata in vigore del decreto “rilancio”, ed il 17 agosto 2020 (fine del periodo di cinque mesi individuato dal Governo). È a tutti noto, infatti, che “la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo” (art. 11 prel. c.c.) e, pertanto, gli intervenenti nuovi divieto e sospensione non producono alcun effetto per il periodo di vacatio legis. Ad impossibilia nemo tenetur e, di conseguenza, è impossibile la conoscenza e la certezza della legge prima della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, né a ciò si può sostituire la circolazione delle bozze dei testi legislativi, magari attraverso gli attuali strumenti di comunicazione elettronica, poiché l'art. 73, comma 3, Cost. riconosce, come forma di pubblicità, unicamente la pubblicazione in Gazzetta. Bisogna, pertanto, ritenere che il periodo di cinque mesi dal 17 marzo al 17 agosto 2020 abbia subito una sospensione dal 16 al 19 (fino al tramonto) maggio 2020: periodo di vacatio legis, appunto, tra il divieto posto dall'art. 46, vecchio testo, con scadenza al 15 maggio 2020, e quello previsto dal nuovo testo, con validità dall'entrata in vigore (19 maggio 2020) del d.l. n. 34 del 2020.

Si apre, così, una prospettiva di ragionevolezza che non può essere sottovalutata. Se, dunque, può ritenersi che per il cessato periodo di sospensione e divieto il licenziamento intimato fosse nullo, costituendo l'art. 46 uno degli altri casi di nullità stabiliti dalla legge (art. 1418, comma 3, c.c.), e lo stesso nel nuovo periodo di sospensione e divieto prorogato (“cinque mesi”), non può sostenersi ugualmente per i licenziamenti irrogati nel limbo della emanazione del decreto “rilancio”. Per essi non sussiste, infatti, alcun limite legale e il diritto di recesso del datore può essere esercitato secondo i soli vincoli che la legge vigente pone: vale a dire la presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, anche oggettivo. Considerata la perdurante emergenza COVID-19 e la conseguente crisi economico-produttiva che ha generato, si potrebbe, così, configurare la medesima situazione (licenziamento per g.m.o.) per il passato periodo di divieto, per il periodo di vacatio legis e per il nuovo periodo di divieto: con uguale conseguenza (illegittimità e reintegrazione) per il passato ed il presente e diversa conseguenza (legittimità) per il periodo 16-19 (fino al tramonto) maggio 2020. Appare, allora, evidente la violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza da parte dell'art. 46, come emendato dall'art. 80, d.l. n. 34 del 2020, laddove “di fronte a situazioni obbiettivamente omogenee si ha una disciplina giuridica differenziata, determinando discriminazioni arbitrarie e ingiustificate” (cfr. C. cost. 25 giugno 1981, n. 111). Nel caso del divieto di licenziamento per g.m.o., infatti, si attuerebbe una disparità di trattamento qualora si dichiarassero illegittimi i licenziamenti intimati a seguito dell'entrata in vigore del decreto “rilancio”, stante l'omogeneità degli stessi a quelli intimati legittimamente nel periodo di vacatio legis.

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