Infortunio sul lavoro da contagio da Covid-19: le istruzioni operative dell'Inail

25 Maggio 2020

Il contagio da Covid-19 avvenuto nel luogo di lavoro fa sorgere il diritto alla tutela indennitaria assicurata dall'Inail, che già in passato aveva garantito i casi di malattie infettive e parassitarie. Trattandosi di un rischio diffuso e generico...
Abstract

Il contagio da Covid–19 avvenuto nel luogo di lavoro fa sorgere il diritto alla tutela indennitaria assicurata dall'Inail, che già in passato aveva garantito i casi di malattie infettive e parassitarie. Trattandosi di un rischio diffuso e generico, non sempre collegato ad un rischio specifico a cui è esposto il lavoratore, per fugare possibili dubbi sull'indennizzabilità, è intervenuto il Governo per stabilire che nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS-CoV-2) in occasione di lavoro, l'Inail assicura ai lavoratori pubblici o privati, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela (art. 42, comma 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. in l. 24 aprile 2020, n. 27).

Prima della conversione in legge, l'Inail ha fornito le prime istruzioni operative (circ. Inail 3 aprile 2020, n. 13) e ha pubblicato sul sito istituzionale delle FAQ; successivamente l'Istituto, per superare alcune problematiche sollevate dalle associazioni datoriali, ha chiarito le modalità di accertamento dell'indennizzabilità, il cui riconoscimento non comporta in automatico alcuna responsabilità penale o civile del datore di lavoro, e ha ricordato i presupposti su cui si fonda l'azione di regresso (circ. Inail 20 maggio 2020, n. 22).

L'ambito di applicazione: le persone assicurate

L'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali non garantisce una copertura universale, ma limitata ad una platea di lavoratori, allargatasi nel corso degli anni, individuata, in origine, sulla base dell'attività esercitata (art. 1, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124) e della sussistenza di specifici requisiti soggettivi (artt. 4 e 9, d.P.R. n. 1124 del 1965) e, successivamente, tramite intervento del legislatore (d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38) o della Corte costituzionale.

La tutela sociale per i casi di infezione da coronavirus, pertanto, opera solo in favore dei lavoratori assicurati dall'Inail (circ. Inail n. 13/2020), tra cui, ricorda l'Istituto, ci sono i lavoratori dipendenti (art. 4, comma 1, n. 1, d.P.R. n. 1124 del 1965) o quelli ad essi equiparati (art. 4, comma 1, nn. 2-9), i parasubordinati (art. 5, d.lgs. n. 38 del 2000), gli sportivi professionisti dipendenti (art. 6, d.lgs. n. 38 del 2000) o i lavoratori appartenenti all'area dirigenziale (art. 4, d.lgs. n. 38 del 2000).

A titolo esemplificativo, poi, l'Istituto indica tra i soggetti più esposti al rischio di contrarre il virus gli operatori sanitari. In effetti, alla data del 15 maggio 2020, il settore della sanità e assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili…) ha registrato il 72,8% delle denunce (il 42,0% riguarda i tecnici della salute, il 21,6% gli operatori socio-sanitari, l'11,4% i medici, il 7,8% gli operatori socio-assistenziali ed il 4,7% il personale non qualificato nei servizi sanitari e di istruzione).

Anche i lavoratori obbligati ad un costante contatto con il pubblico, come quelli che operano in front-office, alla cassa, gli addetti alle vendite/banconisti, chiarisce ancora l'Istituto, sono sottoposti ad una condizione di elevato rischio di contagio (circ. Inail n. 13/2020).

Sempre alla data del 15 maggio 2020, il 71,7% dei contagi riguarda le donne ed il 28,3% gli uomini, con un'età media di 47 anni.

Oggetto della tutela: l'infortunio sul lavoro

L'INAIL eroga le prestazioni previste per legge in caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale.

Quando l'evento che colpisce il lavoratore è determinato dall'azione di fattori microbici o virali l'INAIL lo qualifica come infortunio sul lavoro, la cui tutela è subordinata alla ricorrenza di tre requisiti: la causa violenta, l'occasione di lavoro e la lesione scaturita dall'evento (art. 2 - art. 210, d.P.R. n. 1124 del 1965).

La causa violenta si identifica nell'azione di qualunque fattore dotato di rapidità e intensità che, agendo dall'esterno verso l'interno dell'organismo, determina un'alterazione del suo equilibrio.

La giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto il carattere di causa violenta all'azione dei fattori microbici o virali, la cui penetrazione nell'organismo avviene in modo violento, sebbene i relativi effetti siano destinati a manifestarsi in un momento successivo (Cass. 12 maggio 2005, n. 9968; Cass. 28 ottobre 2004, n. 20941; Cass. 8 aprile 2004, n. 6899; Cass. 1° giugno 2000, n. 7306; Cass. 27 giugno 1998, n. 6390; Cass. 13 marzo 1992, n. 3090; Cass. 19 luglio 1991, n. 8058; Cass. 3 novembre 1982 n. 5764).

Nel rispetto del suddetto consolidato orientamento giurisprudenziale e della prassi sinora seguita (circ. Inail 23 novembre 1995, n. 74), l'Inail ha ricondotto nell'ambito degli infortuni sul lavoro anche i casi di infezione da coronavirus occorsi a qualsiasi soggetto assicurato in occasione di lavoro, che rappresenta il requisito che consente di collegare l'evento all'attività lavorativa (circ. Inail n. 13/2020; nota Inail alle strutture centrali territoriali del 17 marzo 2020).

Sussiste l'occasione di lavoro se l'evento si verifica durante l'adempimento della prestazione lavorativa, rientrando nella protezione assicurativa qualsiasi attività riconducibile funzionalmente a questa (Cass. 26 novembre 2019, n. 30874; Cass. 6 febbraio 2018, n. 2838).

In particolare, la magistratura superiore ha ampliato la nozione di occasione di lavoro, riconoscendo la tutela non soltanto in presenza di un rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche quando l'infortunio sia derivato dall'esposizione ad un rischio specifico improprio, non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione, ma collegato con la prestazione stessa, come quello derivato da attività prodromiche, da attività di prevenzione, da atti di locomozione interna, da pause fisiologiche o da attività sindacali (Cass. 7 luglio 2016, n. 13882; Cass. 5 maggio 2006, n. 10317; Cass. 4 agosto 2005, n. 16417; Cass. 21 aprile 2004, n. 7633; Cass. 25 febbraio 2004, n. 3765; Cass. 4 agosto 2000, n. 10298; Cass. 8 marzo 2001, n. 3363; Cass. 13 luglio 2001, n. 9556; Cass. 11 febbraio 2002, n. 1944; Cass. 13 maggio 2002, n. 6894; Cass. 22 aprile 2002, n. 5841; Cass. 13 aprile 2002, n. 5354; Cass. 15 gennaio 1990, n. 131; Cass. 17 dicembre 1998, n. 12652).

Poiché risulta arduo fornire la prova che il contagio sia avvenuto sul luogo di lavoro, essendo in presenza di un rischio biologico generico a cui è esposta tutta la popolazione, l'Istituto ha riconosciuto in favore di alcune categorie di lavoratori, come gli operatori sanitari e i lavoratori obbligati ad un costante contatto con il pubblico, una presunzione semplice di origine professionale, considerata appunto la probabilità che il contagio sia accaduto durante l'espletamento dell'attività lavorativa.

Ciò non significa che tutti i casi denunciati dalle suddette categorie professionali siano ammessi automaticamente alla tutela, chiarisce l'Inail, essendo necessaria la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti sui quali deve fondarsi la presunzione semplice, ferma restando la possibilità di prova contraria a carico dell'Istituto (circ. Inail n. 22/2020).

In particolare, la precisione va riferita al fatto noto (indizio) che costituisce il punto di partenza dell'inferenza e postula che esso non sia vago, ma ben determinato nella sua realtà storica, con il carattere della certezza e della concretezza; la gravità va ricollegata al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto che, sulla base della regola di scienza o d'esperienza adottata, è possibile desumere da quello noto; la concordanza richiede che il fatto ignoto sia, di regola, desunto da una pluralità di indizi gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, dovendosi tuttavia precisare, al riguardo, che tale ultimo requisito è prescritto esclusivamente nell'ipotesi di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (Cass. 12 maggio 2020, n. 8814; Cass. 29 gennaio 2019, n. 2482); non è invece ammissibile la c.d. praesumptio de praesumpto (doppia presunzione) non potendosi valorizzare una presunzione semplice come fatto noto per derivarne da essa un'altra presunzione semplice.

Tra i fatti noti, costituenti indizi gravi e precisi, l'Inail comprende le modalità di svolgimento dell'attività lavorativa e/o le indagini circa i tempi di comparsa delle infezioni (circ. Inail n. 22/2020), a cui si può aggiungere la durata della prestazione, la presenza sul luogo di lavoro di soggetti risultati positivi venuti a contatto con l'assicurato o lo svolgimento della prestazione di lavoro senza alcuna misura di precauzione, i quali consentono di dimostrare, con ragionevole probabilità, che il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro (Cass. 23 marzo 2005, n. 6220; Cass. 16 luglio 2004, n. 13169; Cass. 13 novembre 1996, n. 9961; Cass. 18 settembre 1991, n. 9717; Cass. 20 dicembre 1982, n. 7026).

L'assenza di indizi gravi, precisi e concordanti non preclude l'accesso alla tutela, ma impone che l'accertamento medico-legale avvenga privilegiando essenzialmente i seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale (circ. Inail n. 13/2020).

L'Inail tutela anche i contagi avvenuti lungo il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, configurabili come infortuni in itinere.

L'ammissione alla tutela avviene tramite il riconoscimento medico-legale fondato sul dato epidemiologico, nonché su altri elementi di asseverazione, come la tipologia di mezzo utilizzato, il percorso e la frequenza degli spostamenti.

Inoltre, chiarisce l'Istituto, per tutta la durata del periodo di emergenza epidemiologica, fissato dal 31 gennaio al 31 luglio 2020 (delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020), l'uso del mezzo privato per raggiungere dalla propria abitazione il luogo di lavoro e viceversa è considerato necessitato, in deroga all'art. 12, d.lgs. n. 38 del 2000, poiché il rischio di contagio è molto più probabile in aree o a bordo di mezzi pubblici affollati, che rappresentano lo “strumento normale per la mobilità delle persone” e che comportano “il grado minimo di esposizione al rischio della strada” (Cass. 20 ottobre 2014, n. 22154; Cass. 7 settembre 2012, n. 15059).

Si auspica che tale deroga sia conservata anche dopo il 4 maggio 2020, con la mitigazione degli effetti del lockdown (d.P.C.M. 10 aprile 2020), nonostante che si riduca il rischio di contagio a causa dell'obbligo di distanziamento sociale, che si dovrà osservare sui mezzi pubblici, la cui capienza, ridotta della metà, ne renderà, però, più difficoltosa la fruizione.

Dall'infortunio deve derivare una lesione, consistente nella morte o in un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero in un'inabilità temporanea assoluta, che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni (art. 2, d.P.R. n. 1124 del 1965).

La procedura per il conseguimento delle prestazioni

Il lavoratore che abbia contratto il Covid–19 è obbligato a darne immediata notizia al proprio datore di lavoro (art. 52, comma 1, d.P.R. n. 1124 del 1965), il quale è tenuto a denunciarlo all'Inail entro due giorni da quello in cui ne ha avuto notizia, indipendentemente da ogni valutazione circa la ricorrenza degli estremi di legge per l'indennizzabilità (art. 53, comma 1, d.P.R. n. 1124 del 1965). Per i datori di lavoro assicurati l'obbligo della comunicazione d'infortunio ai fini statistici e informativi (art. 18, comma 1, lettera r) e comma 1-bis, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81; circ. Inail 12 ottobre 2017, n. 42) si considera assolto per mezzo della denuncia/comunicazione d'infortunio (circ. Inail n. 13/2020).

Anche nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS - CoV-2), contratta in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il certificato di infortunio e lo invia telematicamente all'INAIL (art. 42, comma 2, d.l. n. 18 del 2020, conv. in l. n. 2 del 2020).

In particolare, qualunque medico, che presta la prima assistenza a un lavoratore infortunato sul lavoro, è obbligato a rilasciare certificato, ai fini degli obblighi di denuncia (art. 53, comma 8, T.U.) e a trasmetterlo esclusivamente per via telematica all'Inail, contestualmente alla sua compilazione (art. 53, comma 9, T.U.), esattamente “nell'arco temporale massimo delle ore 24 del giorno successivo alla prestazione effettuata”.

Il certificato medico deve contenere “i dati anagrafici completi del lavoratore, quelli del datore di lavoro, la data dell'evento/contagio, la data di astensione dal lavoro per inabilità temporanea assoluta conseguente al contagio da virus ovvero la data di astensione dal lavoro per quarantena o permanenza domiciliare fiduciaria del lavoratore sempre legata all'accertamento dell'avvenuto contagio e, in particolare per le fattispecie per le quali non opera la presunzione semplice dell'avvenuto contagio in relazione al rischio professionale specifico, le cause e circostanze, la natura della lesione e il rapporto con le cause denunciate” (art. 53, comma 4, d.P.R. n. 1124 del 1965; circ. Inail n. 13/2020).

La qualificazione di Covid-19 quale infortunio sul lavoro presuppone la positività del test di conferma, che rappresenta il momento della regolarizzazione del caso, con decorrenza dal momento della attestata assenza dal lavoro, sebbene l'Istituto ritenga valida qualsiasi documentazione clinico-strumentale in grado di certificare, in base alle conoscenze scientifiche, il contagio stesso (circ. Inail n. 13/2020).

Se i dati sanitari disponibili non consentono una diagnosi di certezza il caso viene posto in riserva di regolarità, mentre l'assenza di infezione determina la non ammissione alla tutela per mancanza dell'evento tutelato.

In ogni caso, pur senza la conferma di contagio acquisita tramite il tampone, l'Inail ritiene utile “per conferma diagnostica ai fini medico-legali-indennitari, la ricorrenza di un quadro clinico suggestivo di Covid-19, accompagnato da una rilevazione strumentale altrettanto suggestiva, in compresenza di elementi anamnestico-circostanziali ed epidemiologici dirimenti” (Inail - FAQ CORONAVIRUS del 10 aprile 2020).

A livello statistico, al 15 maggio 2020, risultano 43.399 denunce legate all'infezione da Covid-19, di cui il 55,2% nel Nord-Ovest (Lombardia 34,9%), il 24,7% nel Nord-Est (Emilia Romagna 10,0%), il 12,0% al Centro (Toscana 5,7%), il 5,9% al Sud (Puglia 2,6%) e il 2,2% nelle Isole (Sicilia 1,2%).

Le prestazioni economiche

Una volta accertato che l'infortunio da Covid-19 sia meritevole di tutela assicurativa, l'Inail provvede nel più breve tempo possibile o, in ogni caso, non oltre il ventesimo giorno dall'infortunio, ad erogare l'indennità per l'inabilità temporanea assoluta (art. 100, d.P.R. n. 1124 del 1965), che determini l'astensione dal lavoro di almeno tre giorni; infatti, la prestazione assicurativa in esame interviene a partire dal quarto giorno di assenza dal lavoro.

In caso di contagio da Covid-19 la tutela sociale decorre dal primo giorno di astensione dal lavoro attestato da certificazione medica per avvenuto contagio ovvero dal primo giorno di astensione dal lavoro coincidente con l'inizio della quarantena o della permanenza domiciliare fiduciaria legata all'accertamento dell'avvenuto contagio, computando da tali date i giorni di franchigia ai fini del calcolo della prestazione economica per inabilità temporanea assoluta, che impedisce totalmente e di fatto di attendere al lavoro, che l'infortunato svolgeva prima che si verificasse l'evento (art. 68, d.P.R. n. 1124 del 1965).

L'Inail tutela l'intero periodo di quarantena e quello eventualmente successivo, dovuto al prolungamento di malattia, che determini un'inabilità temporanea assoluta al lavoro.

Esclusa la sussistenza di un infortunio sul lavoro, il periodo di sorveglianza sanitaria con isolamento fiduciario, codificato con il codice V29.0, viene indennizzato dall'Inps (Inail - FAQ CORONAVIRUS del 10 aprile 2020); è necessario, perciò, che l'Inail proceda alla segnalazione del caso all'Inail, fornendo tutta la documentazione sanitaria raccolta, tranne per gli eventi che colpiscano i lavoratori ai quali non spetta l'indennità di malattia, come i lavoratori assicurati nella speciale gestione per conto dello Stato, i lavoratori autonomi, i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari.

I casi di contagio avvenuti in occasione di lavoro, denunciati all'Inps, devono essere segnalati da quest'ultimo per competenza all'INAIL, ai sensi della convenzione tra INAIL ed INPS per l'erogazione della indennità per inabilità temporanea assoluta da infortunio sul lavoro, da malattia professionale e da malattia comune (circ. Inail n. 47 - circ. INPS n. 69 del 2 aprile 2015).

Se al termine del periodo di inabilità temporanea assoluta residua una lesione all'integrità psico-fisica, suscettibile di valutazione medico-legale (art. 13, comma 2, d.lgs. n. 38 del 2000), l'Inail garantisce un indennizzo in capitale per le menomazioni comprese tra il 6 ed il 15% o un indennizzo in rendita, al fine di assicurare nel tempo il sostegno sociale, per le menomazioni comprese tra il 16 ed il 100%.

Sebbene molti casi di contagio si risolvano senza postumi permanenti, per alcuni pazienti, soprattutto quelli che hanno trascorso un lungo periodo in terapia intensiva, non si può escludere che all'esito della malattia si avveri una compromissione, più o meno rilevante, della funzionalità di alcuni organi, su cui giustificare la liquidazione dell'indennizzo o della rendita.

In caso di decesso del lavoratore assicurato, l'Inail eroga una rendita ai superstiti in favore del coniuge e/o dei figli sino a 18 anni e figli inabili di qualsiasi età ovvero, in loro mancanza, di altre categorie di familiari, come ascendenti ed adottanti o fratelli e sorelle (art. 85, d.P.R. n. 1124 del 1965).

Alla data del 15 maggio 2020 sono stati denunciati all'Inail 171 casi mortali, di cui circa la metà riguarda personale sanitario e socio-assistenziale.

Inoltre, chiarisce l'Istituto, nel caso di decesso del lavoratore spetta ai familiari anche la prestazione economica una tantum prevista a carico del Fondo delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, istituito a partire dal 1° gennaio 2007 (art. 1, comma 1187, l. 27 dicembre 2006, n. 296), con lo scopo di fornire un tempestivo supporto ai familiari del lavoratore deceduto, anche quello che non godeva della copertura assicurativa garantita dall'Inail, erogato dall'Istituto con risorse economiche stanziate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali (circ. Inail n. 13/2020).

Gli effetti sul calcolo del premio

In ossequio al principio di responsabilità, che connota il finanziamento dell'assicurazione obbligatoria, per il calcolo del premio annuo dovuto si deve tener conto della sinistrosità aziendale rispetto alla media nazionale, cioè “lo scarto eventualmente sussistente tra il rischio connesso ad una specifica azienda ed il rischio connesso, in media, alla classe di appartenenza dell'azienda stessa” (Cass. 5 novembre 2007, n. 23072), che determina l'oscillazione, in aumento o in diminuzione, del tasso medio di tariffa.

A partire dal 1° gennaio 2019 il sistema prevede due tipologie di oscillazione: quella per prevenzione (art. 23, determinazione presidenziale Inail 2 ottobre 2019, n. 385, approvata con D.M. 27 febbraio 2019) e quella per andamento infortunistico (artt. 19, 20, 21 e 22, deter. pres. Inail 2019).

Come già previsto per gli infortuni in itinere, che non determinano l'oscillazione in malus del tasso medio di tariffa (art. 18, comma 1, deter. pres. Inail 2019), anche gli eventi lesivi derivanti da infezioni da Covid-19 gravano solo sulla gestione assicurativa dell'Inail secondo principi di mutualità, mediante forme di “caricamento” indiretto in sede di determinazione dei tassi medi di lavorazione (art. 42, comma 2, d.l. n. 18 del 2020, conv. in l. n. 27 del 2020; circ. Inail n. 13/2020).

Si tratta di scelta condivisibile perché la tutela sociale dell'infortunio da Covid-19 scaturisce da una pandemia mondiale imprevedibile, che ha generato un rischio biologico generico e diffuso, fronteggiato da tutti i datori di lavoro.

Tutela risarcitoria e azione di regresso

L'ammissione alla tutela assicurativa non aggrava la posizione del datore di lavoro che, a prescindere dal riconoscimento o meno della protezione sociale, rimarrebbe comunque esposto all'azione penale o all'azione risarcitoria del danneggiato se il contagio si fosse verificato in conseguenza di un suo comportamento rimproverabile in sede penale o civile a causa del mancato rispetto di misure generiche o specifiche di precauzione volte a contrastare la diffusione del virus, come, ad esempio, quelle contenute nel protocollo di intesa, che detta linee guida rivolte alle imprese per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 14 marzo 2020 e poi aggiornato il 24 aprile 2020 dalle parti sociali (

art. 1, comma 14,

d.l.

16 maggio 2020, n. 33

;

art. 2,

d

.P.C.M. 17 maggio 2020

).

Si tratta di misure cogenti, tanto che le imprese che non rispettano i contenuti del protocollo di intesa rischiano la sospensione dell'attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza (art. 1, comma 15, d.l. n. 33 del 2020) e la cui violazione, in caso di contagio, determina la responsabilità datoriale ai sensi dell'art. 2087 c.c. ed il cui rispetto, invece, la escluderebbe, a causa della molteplicità sia delle modalità sia delle occasioni di contagio possibili anche nei luoghi privati.

In ambito civile, nonostante l'ampiezza dell'obbligo generale di sicurezza, dettato dall'art. 2087 c.c., la responsabilità del datore di lavoro non è oggettiva, collegata alla semplice verificazione dell'infortunio sul lavoro, ma si fonda su un comportamento colposo (Cass. 27 febbraio 2015, n. 3989; Cass. 13 gennaio 2015, n. 340; Cass. 17 dicembre 2014, n. 26590).

Tuttavia, per circoscrivere la responsabilità civile dei datori di lavoro privati e pubblici ai sensi dell'art. 2087 c.c., si dibatte in ambito parlamentare se inserire, nella legge di conversione del decreto legge n. 23 del 2020, una norma che la ravvisi solo a causa del mancato rispetto delle prescrizioni indicate nei protocolli di intesa.

Peraltro, in tema di nesso causale, se in ambito previdenziale è sufficiente un giudizio di ragionevole probabilità, in ambito civile vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del più probabile che non e in ambito penale la regola della prova oltre il ragionevole dubbio (Cass. 8 gennaio 2020, n. 122), che rendono più gravosa la dimostrazione che il contagio si sia effettivamente verificato nel luogo di lavoro.

Con l'ammissione dell'infortunio alla tutela sociale gestita dall'INAIL, il datore di lavoro gode del parziale esonero dalla responsabilità civile, che viene meno solo se il fatto illecito integri un reato perseguibile d'ufficio (art. 10, d.P.R. n. 1124 del 1965).

Ipotesi che potrebbe in concreto verificarsi qualora dai filoni di inchiesta aperti dalla magistratura inquirente per i numerosi decessi accaduti nelle residenze sanitarie assistenziali (RSA) dovesse emergere la responsabilità penale dei vertici delle singole strutture per non aver fornito idonei e sufficienti DPI agli operatori sanitari, poi deceduti a causa del contagio da Covid-19.

Per superare il parziale esonero, il lavoratore infortunato o, in caso di decesso, i suoi familiari devono allegare e provare che dall'inosservanza degli obblighi cautelari, specifici o generici, sia derivato il contagio sul luogo di lavoro, da cui poi sia scaturito un danno, temporaneo e/o permanente, alla salute, di cui possono chiedere la condanna al risarcimento nei limiti del cd. danno differenziale, che rappresenta la differenza tra il risarcimento liquidato in favore della vittima e l'indennizzo erogato dall'Inail per pregiudizi omogenei (art. 10, commi 6 e 7, d.P.R. n. 1124 del 1965); a sua volta l'INAIL, in presenza di un reato perseguibile d'ufficio, esercita l'azione di regresso per ottenere il rimborso di quanto erogato in precedenza a titolo di indennizzo (art. 11, d.P.R. n. 1124 del 1965).

La regola del parziale esonero non opera, come noto, per i pregiudizi estranei alla tutela sociale, quelli non indennizzati dall'Inail, come il pregiudizio morale o il danno biologico temporaneo, per i quali il danneggiato conserva il diritto a pretendere il risarcimento integrale (Corte cost. n. 356 del 1991; art. 142, comma 4, d.lgs. n. 209 del 2005).

Conclusioni

Anche in assenza della norma contenuta nell'art. 42, comma 2, d.l. n. 18 del 2020, conv. in l. n. 27 del 2020, con cui si è voluto espressamente riconoscere l'indennizzabilità dell'infortunio derivato da contagio da Covid-19, l'INAIL avrebbe comunque assicurato la protezione sociale ai lavoratori colpiti dal virus in occasione di lavoro, in conseguenza del superamento del concetto di rischio assicurato, in origine collegato alla pericolosità delle lavorazioni (Corte cost. 2 marzo 1991, n. 100).

Infatti, il fondamento della tutela assicurativa gestita dall'Istituto “deve essere ricercato, non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; dato che la tutela dell'art. 38 non ha per oggetto l'eventualità che l'infortunio si verifichi, ma l'infortunio in sé” (Cass. 17 agosto 2018, n. 20774).

L'ammissione alla tutela, inoltre, se interpretata ancora come rimedio sostitutivo della responsabilità civile, soddisfa il diritto del lavoratore di ricevere un'effettiva, tempestiva ed automatica riparazione del danno, che la disciplina comune non è in grado di apprestare (Corte cost. n. 87 del 1991), senza aggravare la posizione del datore di lavoro su cui ricade in caso di fatto illecito a lui imputabile, a prescindere dal riconoscimento o meno della protezione sociale, solo e soltanto l'obbligo del risarcimento integrale del danno cagionato (Corte cost. 22 giugno 1971, n. 134).

L'intervento dell'INAIL, dunque, non nuoce al titolare del rapporto assicurativo che, anzi, si giova della regola del parziale esonero della responsabilità civile, come ricordato dalla Suprema Corte, secondo cui “all'ampliamento ovvero al restringimento dei limiti soggettivi ed oggettivi dell'assicurazione obbligatoria corrisponde una dilatazione o un ridimensionamento della responsabilità del datore di lavoro” (Cass. 10 aprile 2017, n. 9166).

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