Estinzione “atipica” dell’esecuzione

05 Giugno 2020

La constatazione pratica dell'esistenza di situazioni in fatto, diverse da quelle menzionate espressamente nelle disposizioni del codice di procedura civile come causa di estinzione del processo esecutivo, per le quali il processo non può conseguire il soddisfacimento delle pretese creditorie, ha posto la questione della loro possibile riconducibilità ad una nozione di estinzione atipica del procedimento. In questo senso si sono espresse una consistente parte della dottrina e la giurisprudenza, di legittimità e di merito. Il legislatore ha recepito le indicazioni così pervenute con alcune norme di modifica del codice di rito e delle sue disposizioni di attuazione.
Inadeguatezza del processo di esecuzione

Il codice di procedura civile, nel suo sistema originario, dettava con l'art. 630 c.p.c. la disciplina dell'estinzione del processo esecutivo in sostanziale parallelismo con quanto previsto per l'estinzione del processo di cognizione: in estrema sintesi, quale sanzione per la protratta inazione delle parti. Il giudizio ordinario era servito da parametro per una normativa che non teneva conto di sostanziali differenze. Nel processo di cognizione l‘estinzione rappresenta un evento ulteriore, ed estraneo, alla conclusione della causa con una pronuncia sul merito o sul processo: una sorta di tertium genus, è stato detto in dottrina, di provvedimenti giudiziali aventi l'effetto di chiudere il procedimento. Questa tripartizione non ha ragione di sussistere nell'esecuzione forzata, che non ha la finalità di accertare un diritto e può chiudersi in due soli modi: con la soddisfazione del creditore o con una declaratoria di non luogo a procedere oltre. Nel tempo la diversità è divenuta una difformità di regime di diritto positivo.

Infatti, l'esperienza ha dimostrato l'inadeguatezza del processo esecutivo a servire sempre quale efficace strumento di realizzazione dei diritti di credito e ha evidenziato la conseguente esigenza di aggiornarne la funzione in ragione di principi nuovi, economici e giuridici insieme. Molto spesso questo strumento si è rivelato inadatto a recuperare beni sufficienti a servire allo scopo satisfattivo voluto o a tramutare quei beni in valori monetari idonei a raggiungerlo. E la modifica dell'art. 111 Cost. ha investito anche l'esecuzione forzata del principio per il quale il processo deve essere “giusto”, ovvero risolversi (comunque) in un tempo ragionevole. Troppe volte le procedure si trascinavano stancamente, con inutile dispendio di costi, nell'inerzia degli interessati o nel disinteresse per adempimenti divenuti ormai insuscettibili di arrecare utilità.

Evoluzione normativa

Nel 2005 fu introdotto l'art. 187-bis disp. att. al c.p.c. che, per la prima volta, faceva riferimento a una “chiusura anticipata del processo esecutivo” distinta e alternativa alla sua estinzione. La disposizione intendeva tutelare i diritti dell'aggiudicatario e dell'assegnatario ma contestualmente attraeva nell'ambito del diritto positivo la considerazione di fattispecie diverse dall'estinzione regolata dal codice aventi lo stesso effetto di mettere in pericolo la posizione del beneficiario della procedura per l'improcedibilità ulteriore di questa sino alla definizione naturale. Nel 2009 l'estinzione divenne rilevabile d'ufficio ma si iniziò anche a fornire una soluzione legislativa al caso dell'esecuzione divenuta oggettivamente inutile. Fu introdotto in tema di espropriazione mobiliare l'art. 540-bisc.p.c. per il quale, all'esito ripetutamente negativo degli esperimenti di vendita e nella constatazione dell'insufficienza dei beni pignorati e di quelli nuovamente ricercati a soddisfare le ragioni dei creditori, il giudice deve dichiarare l'estinzione del procedimento. Con questa norma il legislatore accedeva all'evidenza della prassi, recuperava all'esecuzione la regola della ragionevole durata del processo e creava una nuova categoria di eventi determinativi dell'estinzione della procedura: l'inutilità economica della sua prosecuzione. Su questa strada si è proseguito con l'intervento di cui al d.l. n. 132/2014. L'art. 164-bis disp. att. c.p.c. dispone attualmente che quando risulta non più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene pignorato e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo. Con questa norma è stato effettuato un passo di notevole rilevanza. L'impossibilità del ragionevole soddisfacimento dei creditori è divenuta per il diritto vigente una ragione generale impeditiva dell'ulteriore corso del procedimento di esecuzione forzata; ragione che, assumendo alla lettera il testo della disposizione, costituisce l'oggetto di una pronuncia non già di estinzione ma di “chiusura anticipata del processo esecutivo”.

Estinzione atipica

L'evoluzione normativa è soltanto la punta emersa di un dibattito dottrinario intenso e di un lavorio giurisprudenziale che ha condotto a porre il problema della così detta estinzione atipica del processo di esecuzione. È stata posta in discussione la tassatività delle fattispecie che ai sensi dell'art. 630 c.p.c. determinano l'estinzione e se ne sono ravvisate numerose altre, confusamente ricondotte ad una comprensiva quanto generica atipicità. Un punto sembra da dare per certo. La nozione di estinzione come tradizionalmente seguita e come fatta propria dalla norma citata è esattamente intesa in relazione ai casi seguenti: inattività delle parti come indicata dal primo comma della medesima disposizione; rinuncia agli atti ex art. 629 c.p.c.; mancata e ripetuta comparizione all'udienza, di cui all'art. 631 c.p.c.; omessa pubblicità nelle forme e nei tempi di cui all'art. 631-bisc.p.c.; inefficacia del pignoramento (art. 562 c.p.c.). In queste ipotesi è il diritto positivo a qualificare la conseguenza dell'evento come “estinzione” del processo: qualificazione che attrae le dette ipotesi nella sfera applicativa dell'art. 630 c.p.c. e della reclamabilità del provvedimento dichiarativo dell'estinzione. Ma ogni possibile scrupolo di tassatività sembra ormai da escludersi, posto che l'art. 164 disp. att. c.p.c. ha aperto ad una disciplina legale di forme di chiusura del processo, alternative, per l'eventualità della sua sopraggiunta inettitudine a soddisfare i creditori.

Nozione di estinzione atipica

L'estinzione atipica è una categoria non del tutto accettata in dottrina. Sono forti le resistenze di coloro per i quali vale tuttora la tassatività dei casi di estinzione, certamente voluta in origine dal legislatore, ragione per la quale tutte le fattispecie nelle quali il processo non può proseguire per raggiungere il suo scopo satisfattivo sarebbero da considerare cause di estinzione da ascriversi al disposto di cui al primo comma dell'art. 630 c.p.c.: unica norma che complessivamente disciplinerebbe le situazioni determinanti l'impedimento alla prosecuzione dell'esecuzione forzata. È facile notare che se la riconduzione di tutte queste situazioni indeterminate all'art. 630 c.p.c. viene giustificata dalla sua disposizione che fa salvi i “casi espressamente previsti dalla legge” non sembra appropriato includere in essi quello, del tutto generico, in cui per i motivi più vari risulta impossibile addivenire a un ragionevole soddisfacimento dei creditori indipendentemente dalla loro inazione. In ogni caso, la giurisprudenza si è schierata nel senso che ancor prima delle prese di posizione legislative dovevano riconoscersi evenienze non riconducibili al disposto dell'art. 630 ed a quello più circoscritto di cui agli artt. 629, 631 e 631-bisc.p.c., nelle quali risulta non più sussistente la volontà dei creditori di proseguire negli atti del procedimento. Le disposizioni citate hanno un nucleo comune di rilievo: esse riguardano tutte ipotesi di inattività, in senso lato, delle parti. Rinuncia agli atti, mancate comparizioni, omesse produzioni e inosservanze di adempimenti conducono all'estinzione del processo quale sanzione per la trasgressione degli oneri di impulso e di attivazione che reggono anche il procedimento esecutivo. Ma non possono meritare la medesima sanzione fatti che non dipendono dalla volontà delle parti e che esse, in un certo senso, subiscono quando il giudice, tenuto ad assicurare la ragionevole durata del processo, dichiara che esso non ha più alcuna utilità, tenuto conto «...dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo» come impone l'art. 164-bis disp. att.

Impossibilità di proseguire il processo esecutivo

Non può farsi rimprovero di inerzia alle parti quando lo svolgimento del processo diventa illegittimo per circostanze sopravvenute; o perché il titolo esecutivo viene meno; o se perisce l'oggetto; o se si accerta che il bene pignorato non era assoggettabile all'esecuzione. Una situazione che si verifica di sovente è quella del mancato reperimento del veicolo a motore del quale è disposto il pignoramento ai sensi dell'art. 521-bis c.p.c. La procedura prevede che l'automezzo venga consegnato all'istituto di vendite giudiziarie e che dal momento della comunicazione della presa in consegna decorrano i termini per il deposito della nota di iscrizione a ruolo e, dunque, per l'inizio dell'esecuzione vera e propria. Ma se il bene oggetto di pignoramento, fisiologicamente avente natura di strumento di circolazione, non è ritrovato, la procedura è in stallo sino a che la situazione venga a sbloccarsi: con la materiale apprensione del veicolo, se tutto va bene, altrimenti con un mezzo di ripiego escogitato dalla giurisprudenza di merito: una dichiarazione di impossibilità di prosecuzione del processo.

Utilità della nozione di estinzione atipica

Il tenore letterale delle disposizioni del codice di procedura civile riferibili alla così detta estinzione atipica non è uniforme. L'art. 540-bisc.p.c. dispone per l'espropriazione mobiliare che il giudice dichiara l'estinzione del procedimento. Con disposizione più generale l'art. 164-bis disp. att. c.p.c. manda al giudice di disporre la chiusura anticipata del processo esecutivo. La chiusura anticipata del processo è menzionata anche nell'art. 187-bis c.p.c. quale pronuncia alternativa alla declaratoria di estinzione. Se si intende costruire una categoria a se stante di estinzione atipica, comprensiva dei casi in cui il processo esecutivo deve fermarsi senza che la causa sia imputabile alle parti, anche la fattispecie di cui all'art. 540-bisc.p.c. dovrebbe essere ricondotta a quella categoria: essa si verifica, infatti, quando non si trovano i beni che servono ad integrare quelli insufficienti già oggetto di espropriazione. All'evidenza, la normativa lascia aperti per l'interprete interrogativi concernenti la stessa utilità teorica e pratica di una nozione di estinzione atipica, prima ancora di dover cercare quale contenuto e quale forma debba avere l'atto del giudice che ne fa dichiarazione.

È infatti evidente che se non sussistono ragioni, quanto meno di ricaduta di effetti, per riportare ad una nozione separata alcuni dei casi di arresto del processo esecutivo, ogni speculazione in ordine ad una distinta categoria di casi di estinzione, da definirsi atipici, è destinata a rimanere sterile teoria.

Un banco di prova è stato reperito a proposito degli effetti dell'estinzione del processo sulla prescrizione del diritto azionato. Dispone il secondo comma dell'art. 2954 c.c. che la prescrizione interrotta con l'atto introduttivo del giudizio non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio; aggiunge il comma successivo che se il processo si estingue il nuovo percorso interruttivo comincia dalla data dell'atto di interruzione. Il sistema così delineato è coerente alla sua ratio: l'inattività delle parti che è cagione dell'estinzione del giudizio dimostra il disinteresse per il diritto azionato e dunque questo può prescriversi come è regola generale per ogni caso di mancato esercizio di un diritto disponibile nel corso del tempo. Ha motivo di essere diverso il caso in cui diventa impossibile giungere alla fine naturale del procedimento senza che di ciò abbiano una qualche responsabilità gli interessati. Il mancato reperimenti di beni sufficienti o la loro perdita accidentale non possono essere ascritti a colpevole inerzia o a negligenza e dunque non sarebbe giustificato farne derivare la sanzione di prescrizione del diritto disposta dall'art. 2945, comma 3, c.c. che fa retroagire il decorso del termine prescrizionale al primo atto del procedimento. Il creditore ne sarebbe immotivatamente punito.

La differenziazione tra estinzione ed estinzione atipica risulta, pertanto, avere una intrinseca giustificazione, di non trascurabile importanza. La stessa differenziazione si rivela in un ulteriore aspetto. L'estinzione del processo non estingue l'azione ma lascia verificare gli effetti della prescrizione. L'estinzione atipica chiude il processo esecutivo con una pronuncia che può essere equiparata alla decisione passata in giudicato, sino alla quale il processo è sospeso, come dispone il secondo comma dell'art. 2945 c.c. Infatti, l'estinzione propria è riferita ad una situazione in cui astrattamente il processo esecutivo avrebbe potuto essere proseguito, ove non fosse stata di ostacolo la passività delle parti. L'estinzione atipica concerne una situazione in cui la prosecuzione non è più possibile per un fatto sopraggiunto impeditivo e di natura oggettiva. Questo fatto non è quello satisfattivo dei creditori che costituisce la finalità dell'esecuzione; ma è comunque un evento finale che pone termine al processo.

Impugnazioni

La differenziazione tra le due categorie di estinzione del processo esecutivo (differenziazione che poi è la stessa ragione della duplicità di nozioni) si ripercuote anche sul regime delle impugnazioni.

L'ordinanza che dichiara l'estinzione ai sensi dell'art. 630 c.p.c. è soggetta a reclamo. Il reclamo apre un procedimento di natura ordinatoria da chiudersi con sentenza del collegio. Perché il reclamo e non un altro mezzo di impugnazione? Perchè l'estinzione è tipica di un corso processuale che si interrompe e che avrebbe potuto proseguire, in assenza del comportamento ostativo delle parti; e il controllo del collegio è previsto come mezzo di verifica del significato da attribuire a quel comportamento, in vista di una possibile prosecuzione del processo. La dichiarazione di chiusura del processo esecutivo ha, per contro, immediato contenuto di pronuncia definitiva, sia pure non nel merito dell'azione esercitata e neppure nel rito. Avverso la quale il mezzo di gravame adeguato è quello dell'opposizione agli atti esecutivi, di cui all'art. 617 c.p.c., che apre un vero e proprio giudizio di cognizione (in tal senso da ultimo Cass. civ., sez. VI, ord., n. 15605/2019). La definitività del provvedimento dichiarante la chiusura è palese ove si pensi che con esso il giudice deve disporre la liberazione dei beni pignorati (Cass. civ., sez. VI, ord., n. 13108/2017).

Su questa dicotomia di regimi la giurisprudenza è concorde. Si vedano Cass. civ., sez. VI, 24775/2014; Cass. civ., sez. III, n. 15761/2014; Cass. civ., sez. III, n. 15374/2011; Cass. civ., sez. VI, n. 2674/2011; Tribunale Belluno 10 gennaio 2016.

Interrogativi

Un aspetto sul quale non esiste un orientamento concorde riguarda il contenuto della dichiarazione di estinzione atipica. Sul punto sono state formulate ipotesi diverse: certamente la forma è quella dell'ordinanza (atto tipico del giudice dell'esecuzione) ma ad essa talvolta è attribuita natura dichiarativa dell'estinzione del processo, altre volte di dichiarazione dell'improcedibilità ulteriore del processo e persino della sua “improseguibilità” (così Cass. civ., sez. VI, ord.,n. 24775/2014). In mancanza di indicazioni normative, Cass. civ., sez. III, n. 15374/2011 si è riferita alla nozione di cessazione della materia del contendere, ed ha affermato che tale nozione «… non espressamente prevista dal codice di rito… si configura come ordinanza di chiusura del processo esecutivo». Cass. civ., sez. VI, ord., n. 15605/2017, a sua volta, ha sbrigativamente accennato al caso in cui il giudice dell'esecuzione «dichiari l'improcedibilità o l'estinzione atipica o comunque adotti altro provvedimento di definizione della procedura esecutiva» per affermare che in ogni caso il provvedimento è impugnabile unicamente ex art. 617 c.p.c. (nella specie, con riferimento alla mancanza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo o della sua inefficacia).

Dalla prassi usciranno le regole: molti tribunali hanno adottato linee guida in questa materia quali parametri di riferimento per il giudice e per le parti.

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