Contagio da Covid-19: infortunio sul lavoro e responsabilità datoriale

08 Giugno 2020

Il Decreto “Cura Italia” (d.l. n. 18 del 2020 conv. in l. n. 27 del 2020) ha inquadrato il contagio prodottosi in occasione di lavoro nella categoria dell'infortunio, per il quale vengono in rilievo le prestazioni assicurate dall'INAIL.
Il caso

Nel mese di febbraio 2020 la pandemia esplode in Nord Italia con i primi casi di ricovero nelle terapie intensive. Il fenomeno si abbatte pesantemente sul mondo produttivo e si individuano le prime misure per ridurre la diffusione del virus Covid-19 nei luoghi di lavoro. Il d.P.C.m. 11 marzo 2020 (art. 1, comma 1 n. 7) d.P.C.m. 11 marzo 2020) spinge per il lavoro in modalità agile e per la chiusura dei reparti aziendali non essenziali alla produzione, raccomandando l'uso di ferie e permessi e l'adozione di protocolli sanitari. Il medesimo articolo “favorisce” l'adozione di intese in questa ambito tra imprese e organizzazioni sindacali (art. 1, comma 1 n. 9), d.P.C.m 11 marzo 2020).

Il 14 marzo 2020 viene sottoscritto dalle parti sociali il primo Protocollo nazionale “di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, a cui fa seguito, anche quale effetto delle maggiori conoscenze nel frattempo intervenute sulla diffusione del virus e le misure di contrasto più efficaci, il nuovo Protocollo condiviso governo/parti sociali del 24 aprile 2020. Il Protocollo è stato recepito dal DPCM 26 aprile 2020 (art. 2, comma 6, d.P.C.m. 26 aprile 2020), il quale stabilisce che “le imprese le cui attività non sono sospese rispettano il protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19”.

Con la Fase Due e l'allentamento del “look down”, disposto dal governo a partire dal 4 maggio 2020, l'economia italiana è ripartita su più larga scala e interi settori di mercato hanno potuto riprendere la produzione.

In questo scenario si collocano le misure di salute e sicurezza che le imprese sono chiamate ad attuare per prevenire il contagio nei luoghi di lavoro, in un contesto reso estremamente difficile dalla imprevedibilità dell'evento pandemico e dalle insufficienti conoscenze scientifiche sulle misure di contrasto.

Sono illuminanti le considerazioni rese dall'INAIL (Nota INAIL 15 maggio 2020), laddove l'Istituto riconosce che “la molteplicità delle modalità del contagio e la mutevolezza delle prescrizioni da adottare nei luoghi di lavoro, che sono oggetto di continui aggiornamenti da parte delle autorità sulla base dell'andamento epidemiologico, rendono peraltro estremamente difficile configurare la responsabilità civile o penale del datore di lavoro”.

Il quadro normativo emergenziale e i primi chiarimenti dell'INAIL

Il Decreto “Cura Italia” (d.l. n. 18 del 2020 conv. in l. n. 27 del 2020) ha inquadrato il contagio prodottosi in occasione di lavoro nella categoria dell'infortunio, per il quale vengono in rilievo le prestazioni assicurate dall'INAIL.

Recita il Decreto che “nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all'INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell'infortunato” (art. 42, comma 2, d.l. n. 18 del 2020 conv. in l. n. 27 del 2020).

La norma prosegue osservando che la prestazione INAIL è erogata anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria e conclude con l'affermazione che l'infortunio grava sulla gestione assicurativa e non viene computato per la determinazione “dell'oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico” ai fini del premio a carico dell'impresa.

L'INAIL (Circ. INAIL 3 aprile 2020, n. 13) ha offerto una lettura dell'art. 42 volta a fugare dubbi e preoccupazioni che si levavano, con forza crescente, dal mondo delle imprese, osservando che l'indirizzo consolidato dell'Istituto sulla trattazione delle malattie infettive e parassitarie - (Circ. INAIL 23 novembre 1995, n. 74) è nel senso di inquadrare queste affezioni nella categoria degli infortuni sul lavoro.

Precisa l'INAIL che “la causa virulenta è equiparata a quella violenta” e che, pertanto, soccorrono le condizioni per la tutela assicurativa prevista per l'infortunio sul lavoro. In tale ambito, vanno ricondotti i casi di infezione collegati alla pandemia Covid-19.

Nella consapevolezza che il tema centrale e ineludibile risiede nello stabilire quando si possa affermare che il contagio da virus sia effettivamente riconducibile ad una “occasione di lavoro”, l'INAIL ha precisato che a tale ambito vanno riportate le attività che presentino “una condizione di elevato rischio di contagio”, per tali dovendosi identificare le prestazioni che comportano un “costante contatto con il pubblico/l'utenza”.

Oltre agli operatori della sanità, per i quali opera la presunzione di origine professionale del contagio da Covid-19, “considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari vengano a contatto con il nuovo coronavirus”, l'INAIL ha individuato altre attività lavorative per le quali opera il medesimo meccanismo presuntivo: addetti alla cassa, al front-office, alle vendite, alle attività ancillari negli ospedali (pulizie, trasporto infermi, ecc.).

La presunzione per cui il contagio è originato dall'occasione lavorativa risulta integrata, secondo l'INAIL, in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti, ricorrendo i quali, salvo prova contraria, l'evento (il contagio) è collegato al rapporto di lavoro.

Le preoccupazioni del mondo confindustriale sull'ambito della responsabilità datoriale e i nuovi chiarimenti dell'INAIL.

La Circolare dell'INAIL non è evidentemente riuscita nel proprio intento, perché la presunzione sull'origine lavorativa del contagio da Covid-19 ha fatto scattare l'allarme delle associazioni imprenditoriali rispetto ad una responsabilità datoriale che, in rapporto alla contingenza pandemica, esporrebbe le imprese ben oltre la sfera del proprio controllo.

Si è sostenuto che l'utilizzo del mero criterio probabilistico per ricondurre il contagio alla occasione di lavoro trasformi il rischio determinato da una situazione di emergenza endogena in un rischio della sfera privata. Ne è nata la richiesta della Confindustria di una disposizione di legge che, con riferimento alla pandemia ed alla imprevedibilità dell'affezione da Covid-19, escludesse la responsabilità penale delle imprese per il contagio dei lavoratori.

È stata pubblicata una nuova Circolare INAIL (Circ. INAIL 20 maggio 2020 n. 22), nella quale l'Istituto prende espressamente posizione su questo tema della responsabilità datoriale e fornisce la propria interpretazione.

L'INAIL si è, anzitutto, preoccupata di ribadire che, in considerazione del rilievo che la pandemia sollecita “fattori di rischio non direttamente e pienamente controllabili dal datore di lavoro”, gli infortuni da contagio Covid-19 non incidono sulla misura del premio assicurativo a carico dell'impresa.

L'INAIL ribadisce, quindi, che l'azione di fattori virali nell'organismo umano è considerata causa violenta (da cui la considerazione dell'evento alla stregua di infortunio), con conseguente tutela dell'Istituto anche se è assente la “dimostrazione dell'episodio specifico di penetrazione nell'organismo del fattore patogeno”. La prova del contagio da Covid-19 in occasione di lavoro può essere raggiunta - precisa l'Inail, in continuità con la precedente circolare di aprile - attraverso presunzioni semplici, dalle quali sia possibile desumere la “ragionevole, probabile e verosimile” conclusione che il virus sia stato contratto in occasione dell'attività lavorativa.

Fin qui, la posizione era nota.

Adesso l'INAIL fa un passaggio in più, affermando che il riconoscimento dell'origine lavorativa del contagio, cui si perviene attraverso una indagine probabilistica sulla scorta di presunzioni semplici, prescinde da una ipotizzabile responsabilità del datore di lavoro. L'INAIL lo dice a chiare lettere e afferma che “il riconoscimento dell'origine professionale del contagio […] è totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa di contagio”.

Citando un indirizzo giurisprudenziale, per il quale la responsabilità datoriale non può derivare dalla produzione del danno in sé, ma presuppone che il datore abbia violato un obbligo derivante dalla legge o dalle conoscenze sperimentali e tecniche, l'INAIL conclude che il punto di riferimento è costituito dai protocolli e dalle linee guida governativi e regionali (art. 1, comma 14, d.l. n. 33 del 2020), per cui “Le attività economiche, produttive e sociali devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali”.

L'INAIL conclude, su questi presupposti, che, se il datore di lavoro rispetta e adotta le misure di contenimento del protocollo condiviso del 24 aprile 2020, così come dei protocolli regionali e delle linee guida emanati dalle autorità centrali e periferiche, “sarebbe molto arduo ipotizzare” una responsabilità nei suoi confronti.

Conclusioni

Possiamo allora affermare che l'impresa, se adotta e segue le prescrizioni dettate ai vari livelli per il contenimento della diffusione del Covid-19 nella propria azienda, è sostanzialmente esente da una azione di responsabilità per l'infortunio/contagio occorso al proprio dipendente?

Una vasta produzione giurisprudenziale sconsiglia di dare risposta affermativa a questo quesito, essendo più corretto e prudente affermare che, se l'adozione dei protocolli sanitari riduce l'esposizione datoriale ad una responsabilità civile o penale in caso di contagio da cui possano derivare una prolungata inabilità o il decesso del lavoratore, una certezza in tal senso non può essere tecnicamente affermata.

Il datore di lavoro è responsabile della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori in forza dell'art. 2087 c.c., che impone all'imprenditore di adottare le misure necessarie alla tutela dell'integrità fisica e della personalità morale dei lavoratori. La responsabilità del datore viene, altresì, in rilievo in forza del d.lgs. n. 81 del 2008, il quale prevede, tra l'altro, l'obbligo di effettuare la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori e di individuare misure adeguate di prevenzione e di protezione contro i rischi generici e specifici insiti nell'attività lavorativa.

È stato osservato – ed è confermato nel Protocollo condiviso del 24 aprile 2020 - che il rischio di contagio da Covid-19 non costituisca rischio specifico, bensì rischio generico di natura emergenziale, che impone alle imprese di seguire scrupolosamente le misure preventive straordinarie dettate dalle autorità governative centrali e locali.

In questo contesto si colloca l'indirizzo per cui, se il lavoratore dimostra il fatto da cui è derivato l'incidente sul lavoro ed il nesso causale di quest'ultimo con il danno lamentato, non è tenuto a provare la colpevolezza datoriale, dovendosi ritenere quest'ultima presunta.

Al datore, per poter superare la presunzione, compete la dimostrazione di avere adottato tutte le cautele che, secondo le conoscenze e la tecnica, erano idonee, nello specifico contesto aziendale, ad evitare l'infortunio. A tale proposito, non è dirimente, né sufficiente, che siano stati applicati tutti i dispositivi previsti ex lege (Cass. 9 giugno 2017, n. 14468, per la quale “Il superamento della presunzione comporta la prova di aver adottato tutte le cautele necessarie ad evitare il danno, in relazione alla specificità del caso ossia al tipo di operazione effettuata ed ai rischi intrinseci alla stessa, potendo al riguardo non risultare sufficiente la mera osservanza delle misure di protezione individuale imposte dalla legge”).

Può non risultare, dunque, sufficiente l'adozione delle misure di contenimento e prevenzione del contagio fissate nei protocolli, anche perché le stesse vanno calate nel contesto produttivo in cui l'impresa si trova ad operare, esponendola a possibili valutazioni di idoneità e completezza. Inoltre, non può sfuggire che il protocollo condiviso governo/parti sociali del 24 aprile 2020, che costituisce oggi il principale parametro di riferimento per le imprese e per lo stesso INAIL, in più ambiti detta delle linee guida (dal distanziamento alla rimodulazione degli orari di lavoro, dalla formazione preventiva alla gestione degli spazi comuni) che richiedono di essere adattate alla specificità dei contesti aziendali.

Al giudice competerà inevitabilmente una verifica sulla idoneità effettiva, sul piano operativo e materiale, delle misure applicative che, in relazione ai principi ed alle linee guida dettati dal protocollo condiviso, sono state poste in essere dall'impresa al fine di prevenire la diffusione del contagio in azienda.

Né può essere omesso che la negligenza e la imprudenza del lavoratore per non avere utilizzato i dispositivi di protezione o per non avere seguito i vari passaggi del processo produttivo, alla luce di un indirizzo, non sono ritenuti idonei ad escludere la responsabilità del datore (Cass. 13 ottobre 2015, n. 20533, secondo cui “l'obbligo datoriale di proteggere l'incolumità del dipendente, nonostante l'imprudenza e la negligenza dello stesso, comprende anche la vigilanza circa l'effettivo rispetto delle misure di protezione predisposte”). È difficile, allora, sfuggire alla considerazione che, quand'anche il datore abbia scrupolosamente seguito le misure di prevenzione del contagio poste dai vari protocolli nazionale e territoriali, egli possa incorrere, comunque, in una condanna per l'infortunio da Covid-19: perché, ad esempio, il dipendente ha omesso di indossare la mascherina o perché ha dimenticato che, nonostante quanto spiegato durante la formazione preventiva, all'interno dello spogliatoio o dei bagni non era tollerata la presenza di più di due persone contemporaneamente.

Sotto tutti questi profili, le pur apprezzabili affermazioni dell'INAIL non appaiono dirimenti nel senso di escludere (del tutto) il rischio associato ad una responsabilità datoriale, civile o penale, in caso di contagio dei dipendenti, tanto più in un contesto nel quale la riconducibilità dell'infezione da Covid-19 all'occasione di lavoro è affidata ad elementi presuntivi.

(Fonte: MementoPiù)

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