Recenti contrasti sul principio della “ragione più liquida”
10 Giugno 2020
Inquadramento
In linea di principio, il codice di rito pone una precisa gerarchia tra questioni pregiudiziali attinenti al processo e decisione sul merito, nel senso che il giudice non può pronunciare sulla fondatezza della domanda, se prima non ha deciso le questioni di rito e le ha respinte. Invero, ai sensi dell'art. 276, comma 2, c.p.c., il giudice «decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa»; inoltre, ai sensi dell'art. 118, comma 2, disp. att. c.p.c., «Debbono essere esposte concisamente e in ordine le questioni discusse e decise dal collegio ed indicati le norme di legge e i principi di diritto applicati». In sostanza, quindi, il giudice deve esaminare gradatamente dapprima le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili di ufficio e, poi, il merito della causa; nell'ambito di ciascuna categoria occorre poi seguire l'ordine logico. Più precisamente, si devono esaminare, nell'ordine, le questioni pregiudiziali di rito, i presupposti processuali, le condizioni dell'azione, le questioni preliminari di merito e, infine, il merito (cfr. Cass. civ., 1° dicembre 2000, n. 15365, secondo cui, nell'ambito delle questioni pregiudiziali, occorre distinguere quelle attinenti al processo da quelle di merito, posto che le prime concernono l'esistenza di un presupposto per una decisione in merito al rapporto giuridico controverso, come la competenza, e le seconde, alle quali fa riferimento l'art. 34 c.p.c., non vertono sull'esistenza del potere - dovere del giudice di statuire in ordine alla domanda, ma sono questioni di merito, aventi per oggetto un distinto rapporto o situazione giuridica, che si definisce pregiudiziale perché dalla sua esistenza dipende l'esistenza del diritto controverso). Spetta comunque al giudice graduare le questioni da affrontare, anche se esposte dalle parti in forma non ordinata, ragion per cui, ad esempio:
In giurisprudenza si è, tuttavia, affermato che, in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell'impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico-sistematica e che sostituisca il profilo dell'evidenza a quello dell'ordine delle questioni da trattare ai sensi dell'art. 276 c.p.c. (Cass. civ., 9 gennaio 2019, n. 363; Cass. civ., 11 maggio 2018, n. 11458; Cass. civ., 28 maggio 2014, n. 12002). Alla luce di tale principio, deve quindi ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale (Cass. civ., Sez. Un., 8 maggio 2014, n. 9936, la quale, sebbene il ricorrente avesse formulato l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano, ha dichiarato l'infondatezza di una domanda risarcitoria ex art. 2051 c.c., avendo ravvisato l'origine dell'evento dannoso in una utilizzazione impropria della res da parte del danneggiato) oppure, nell'ambito di una pluralità di questioni di merito, invertire l'ordine delle questioni e, ad es., rigettare la domanda risarcitoria per inadempimento contrattuale ove sia evidente il difetto di allegazione e prova in ordine alla natura ed entità del danno subito, posto che l'accertamento sulla sussistenza dell'inadempimento, anche se logicamente preliminare, non potrebbe in ogni caso condurre ad un esito del giudizio favorevole per l'attore (Cass. civ., 19 agosto 2016, n. 17214). Le predette conclusioni discendono dal principio di economia processuale e da esigenze di celerità e speditezza anche costituzionalmente garantite, e sono altresì conseguenza di una rinnovata visione dell'attività giurisdizionale, intesa non più come espressione della sovranità statale, ma come servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli (Cass. civ., Sez. Un., 9 ottobre 2008, n. 24883). Invero, la sentenza, quale particolare provvedimento dell'autorità giurisdizionale, non ha il compito di ricostruire compiutamente la vicenda che è oggetto del giudizio, ma deve accertare se ricorrano le condizioni per concedere la tutela richiesta dall'attore. Ne consegue che la decisione può correttamente fondarsi sopra una ragione il cui esame presupporrebbe logicamente la previa considerazione di altri aspetti del fatto stesso (Trib. Monza, 7 luglio 2016, n. 1951, in DeJure). In definitiva, quindi, in forza del principio della “ragione più liquida”, il rigetto della domanda può derivare direttamente dalla soluzione di una questione assorbente e di più agevole e rapida analisi, pur se logicamente subordinata, senza che sia previamente necessario esaminare tutte le altre questioni nel rispetto dell'ordine di cui agli artt. 276 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. (Cass. civ., 3 febbraio 2017, n. 2872; Cass. civ., Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26242-26243). Si è così giunti anche a sostenere che la Cassazione, ove sussistano cause che impongono di disattendere il ricorso, è esentata, in applicazione del principio della “ragione più liquida”, dall'esaminare le questioni processuali concernenti la regolarità del contraddittorio o quelle che riguardano l'esercizio di attività defensionali delle parti, poiché, se anche i relativi adempimenti fossero necessari, la loro effettuazione sarebbe ininfluente e lesiva del principio della ragionevole durata del processo (Cass. civ., 18 aprile 2019, n. 10839). Sotto altro profilo, non v'è dubbio che l'inosservanza dell'ordine delle questioni non costituisca di per sé vizio della decisione tale da giustificare l'accoglimento dell'impugnazione, occorrendo che l'inosservanza di detto ordine si ripercuota sulla conformità della decisione a diritto, sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione (Cass. civ., 7 maggio 2004, n. 8720, in relazione ad un caso in cui avverso una domanda risarcitoria erano stati eccepiti il giudicato e la prescrizione dei diritti vantati, e il giudice di secondo grado aveva esaminato per prima quest'ultima eccezione, decidendo nel senso della sua fondatezza, sul presupposto dell'esclusione della formazione di un giudicato; la S.C., nel confermare la sentenza di merito, ha osservato che l'accoglimento della eccezione rendeva superfluo l'esame della questione attinente il giudicato, in quanto assorbita). Analogamente, in relazione al rapporto tra questioni preliminari di merito e complessivo merito della causa, nel caso in cui, ad es., il convenuto abbia contestualmente formulato eccezione di prescrizione del credito dell'attore, ma abbia anche eccepito di aver pagato, producendo la relativa quietanza, il giudice può respingere la domanda prendendo atto dell'intervenuto pagamento dimostrato dalla quietanza, senza esaminare l'eccezione di prescrizione. Se, viceversa, il giudice omette di esaminare l'eccezione di prescrizione, ed accoglie la domanda, l'impugnazione non può appuntarsi sul mero dato formale del mancato rispetto dell'ordine delle questioni, ma deve rivolgersi contro la sostanziale erroneità-ingiustizia della decisione adottata. Inoltre, in conseguenza dell'applicazione del principio della “ragione più liquida”, la parte non viene pregiudicata sensibilmente nel suo diritto di difesa, in quanto la decisione avrà efficacia di giudicato solo sulle questioni decise e non su quelle assorbite, salvo l'eventuale giudicato implicito che si sia formato. Rapporti con il giudicato implicito
A partire dalla già citata Cass.civ., Sez. Un., 9 ottobre 2008, n. 24883, la giurisprudenza adotta il criterio della cd. “decisione implicita”, in forza del quale la pronuncia sul merito implica il rigetto della pregiudiziale di rito e comporta il conseguente onere di impugnare formalmente la statuizione implicita, pena il suo passaggio in giudicato: caso tipico è quello della decisione di merito, la quale implica di necessità il riconoscimento da parte del giudice della propria giurisdizione, con la conseguenza che, una volta che detta statuizione implicita non sia stata impugnata con l'appello, essa diviene intangibile in sede di legittimità per essersi sul punto formato il giudicato interno. In sostanza, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione delle sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l'unico tema dibattuto sia stato quello relativo all'ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l'evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito (Cass. civ., Sez. Un., 29 novembre 2017, n. 28503). Pertanto, allorché il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione, la parte che intende contestare tale riconoscimento è tenuta a proporre appello sul punto, eventualmente in via incidentale condizionata, trattandosi di parte vittoriosa; diversamente, l'esame della relativa questione è preclusa in sede di legittimità, essendosi formato il giudicato implicito sulla giurisdizione (Cass. civ., 11 settembre 2019, n. 22652; Cass. civ., 2 febbraio 2018, n. 2605). Anche nel caso di sentenze di rito, la declinatoria (ad es., della competenza) statuisce implicitamente sul presupposto processuale (ad es., la giurisdizione) la cui esistenza, per ragioni di carattere logico-giuridico, è reputata condizione per l'accertamento di quello di cui è stata espressamente dichiarata la mancanza (Cass. civ., Sez. Un., 9 ottobre 2008, n. 24883). Alle medesime conclusioni la giurisprudenza è pervenuta anche in relazione al giudicato implicito su questione preliminare di merito, il quale non può, però, ritenersi formato quando dalla motivazione della sentenza (di rigetto) risulti che l'evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione ed abbia indotto il giudice a decidere per saltum, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni (Cass. civ., 30 marzo 2012, n. 5148, la quale ha negato che, in forza di sentenza di rigetto di una domanda di rimozione di manufatti e di risoluzione per inadempimento di un contratto verbale concernente diritti reali immobiliari, dovesse intendersi formato un giudicato preclusivo dell'esame della questione relativa all'esistenza ed alla validità del medesimo contratto; Cass. civ., 16 maggio 2006, n. 11356, secondo cui la pronunzia di rigetto - nella specie, della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento - non più soggetta ad impugnazione, non costituisce giudicato implicito, con efficacia vincolante nei futuri giudizi, laddove del rapporto che ne costituisce il presupposto logico-giuridico non abbiano costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice le questioni concernenti l'esistenza, la validità e la qualificazione). In sostanza, secondo tale orientamento, il giudicato non si forma, nemmeno implicitamente, sugli aspetti del rapporto che non hanno costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice, cioè di un accertamento effettivo, specifico e concreto, come accade allorquando la decisione sia stata adottata alla stregua del principio della “ragione più liquida”, basandosi la soluzione della causa su una o più questioni assorbenti (Cass. civ., 17 marzo 2015, n. 5264), oppure qualora si tratti di profili oggetto di una domanda su cui sia stata omessa la pronuncia (Cass. civ., 25 gennaio 2018, n. 1828). Ciò vale anche per la rilevazione d'ufficio delle nullità negoziali (sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte, e altresì per le ipotesi di nullità speciali o di protezione), la quale è sempre obbligatoria, purché la pretesa azionata non venga rigettata in base a una individuata “ragione più liquida” (Cass. civ., 5 febbraio 2019, n. 3308; Cass. civ., Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26242, la quale ha affermato che nel nostro sistema positivo non è riconosciuta l'idea di un giudicato implicito che postuli il rigoroso ed ineludibile rispetto dell'ordine logico-giuridico delle questioni). Si è, altresì, precisato che la sentenza di merito che pronunci la decadenza in base al principio della “ragione più liquida” non determina un giudicato implicito sulla sussistenza della pretesa, bensì un assorbimento cosiddetto improprio della domanda non esaminata, sicché la Suprema Corte può, annullando l'erronea statuizione di decadenza, decidere nel merito sull'inesistenza del diritto ove la questione abbia natura esclusivamente giuridica e non richieda nuovi accertamenti di fatto, sì da essere rilevabile, per la prima volta e anche d'ufficio, nel giudizio di legittimità (Cass. civ., 20 marzo 2015, n. 5724). I principi affermati dalla giurisprudenza in relazione alla decisione implicita sulla giurisdizione e sulle questioni preliminari di merito non operano, invece, in relazione alle questioni di rito cd. fondanti, inerenti alle condizioni stesse dell'esercizio dell'azione e, quindi, determinanti affinchè il processo possa concludersi con una decisione nel merito non inutiliter data (Cass. civ., Sez. Un., 4 marzo 2016, n. 4248). Così, la decisione della causa nel merito non comporta la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione ad agire ove tale quaestio iuris, pur avendo costituito la premessa logica della statuizione di merito, non sia stata sollevata dalle parti, posto che una questione può ritenersi decisa dal giudice di merito soltanto ove abbia formato oggetto di discussione in contraddittorio (Cass civ., Sez. Un., 20 marzo 2019, n. 7925; Cass. civ., 31 ottobre 2017, n. 25906). I principi sopra riportati in ordine alla fattispecie della “ragione più liquida” sono stati, però, interpretati ed applicati restrittivamente da altro, più recente, filone giurisprudenziale, secondo cui l'ordine di trattazione delle questioni, imposto dall'art. 276, comma 2, c.p.c., mentre lascia libero il giudice di scegliere, tra varie questioni di merito, quella che ritiene “più liquida”, gli impone, per contro, di esaminare per prime le questioni pregiudiziali di rito rispetto a quelle di merito. La violazione di tale regola costituisce una causa di nullità del procedimento che è, tuttavia, sanata se non venga fatta valere con l'impugnazione o, nel caso in cui la parte che ne risulti svantaggiata sia quella vittoriosa in primo grado ed appellata, con l'appello incidentale (Cass. civ., 26 novembre 2019, n. 30745). In base a tale tesi, quindi, il giudice non potrebbe, in ossequio al principio della “ragione più liquida”, omettere di pronunciarsi sulle questioni pregiudiziali di rito ed esaminare direttamente una o più questioni di merito, in quanto, prima di entrare nel merito di una domanda, dovrebbe, ad es., valutare l'ammissibilità della stessa sotto il profilo della tempestività; in caso contrario, il giudice incorrerebbe in un error in procedendo, che andrebbe fatto valere come motivo d'impugnazione. La “ragione più liquida” potrebbe, in sostanza, operare solo tra varie questioni ed eccezioni di merito, senza alcun superamento del preventivo esame delle questioni pregiudiziali di rito. La medesima giurisprudenza ha, altresì, sostenuto che il convenuto, nell'articolare il suo atteggiamento difensivo, potrebbe espressamente indicare al giudice un ordine di preferenza dell'esame delle sue difese e, quindi, anche rispetto alle sue eccezioni di merito, se ne ha proposte più di una. E ciò in quanto il convenuto, nel graduare la richiesta di esame delle proprie difese, potrebbe avere uno specifico interesse, in relazione anche alle possibili ricadute della decisione su altre controversie fra le parti o su controversie fra il convenuto ed i terzi. Tale graduazione, secondo la giurisprudenza (Cass. civ., Sez. Un., 12 maggio 2017, n. 11799, in motivazione, al paragrafo 9.3.3.2), non sembra vietata, proprio perché l'ordinamento, nell'art. 276, comma 2, c.p.c., stabilisce un ordine di esame e decisione delle questioni, distinguendo soltanto fra le questioni e, dunque, le eccezioni, pregiudiziali di rito e, genericamente, il “merito”, mentre non stabilisce un ordine all'interno dell'esame di quest'ultimo (e, quindi, della pluralità di eccezioni, in ipotesi proposte). In definitiva, dall'ultimo orientamento della Suprema Corte si desume che il giudice, mentre deve necessariamente seguire un criterio di decisione che gli impone di decidere prima le questioni di rito, in quanto esse pregiudicano astrattamente la possibilità di decidere nel merito, viceversa è libero di decidere sul merito, individuando la questione posta a base della decisione. Tuttavia, se la parte eccipiente richieda l'esame gradato di eccezioni inerenti al merito, si deve ritenere che il potere del giudice ne risenta, sicché egli dovrebbe osservare nell'esame tale graduazione, se risponda ad un interesse, e ciò anche in ossequio al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. Meno recentemente si era già rilevato che, in applicazione del principio dispositivo, il giudice è tenuto ad esaminare le questioni nell'ordine voluto dalle parti, ad eccezione di quelle rilevabili d'ufficio (Cass. civ., 31 gennaio 1984, n. 739).
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