La piscina seminterrata è soggetta alle distanze legali?

Adriana Nicoletti
15 Giugno 2020

La nozione di costruzione è un concetto unico ed inderogabile che, secondo la legge, consiste in una struttura avente le caratteristiche di consistenza, solidità ed immobilizzazione dal suolo, senza identificarsi nel concetto di edificio. La piscina, a meno che non sia rimovibile, rientra in tale àmbito e, pertanto, è soggetta al rispetto delle distanze legali come definite nel codice civile. Ma, a tale fine, occorre sempre distinguere tra strutture completamente interrate nel suolo e manufatti parzialmente incorporati nel piano del terreno.
Massima

L'art. 889 c.c., attendendo a limitazioni imposte al diritto di proprietà, non può non avere carattere di tassatività. Ciò vieta ogni applicazione analogica, ma non certo un'interpretazione estensiva nella quale rientra certamente la piscina, che va definita come una costruzione in muratura, in genere almeno in parte affondata nel terreno, nella quale si raccoglie e si conserva l'acqua e che viene utilizzata per un uso prettamente ludico. Ad essa, pertanto, si applica, ai fini del rispetto delle distanze legali, l'art. 889 c.c., il quale non richiede un accertamento in ordine alla sussistenza di una reale pericolosità ed effettiva dannosità della piscina stessa.

Il caso

Due proprietari di un immobile proponevano, dinanzi al Tribunale competente, azione per regolamento dei confini nei confronti dei proprietari di altro edificio limitrofo lamentando che questi, innalzando un muro, avevano sconfinato nell'area di pertinenza degli attori e, contestualmente, asserendo che i convenuti, nell'installazione di una piscina, avevano violato le distanze legali, ai sensi dell'art. 889 c.c. Veniva così chiesto che, accertati gli abusi, parte avversa fosse condannata alla remissione in pristino della situazione quo ante che, per quanto concerneva il muro, consisteva nella restituzione ai legittimi proprietaridella parte di terreno abusivamente occupata; alla demolizione del muro di confine ed alla sua ricostruzione nella originaria collocazione. Il tutto oltre il riconoscimento del risarcimento dei danni patiti per lo sconfinamento e per il mancato rispetto delle distanze legali nella costruzione della piscina.

Si costituivano in giudizio i convenuti, che chiedevano il rigetto delle domande avversarie, negando lo sconfinamento, in quanto la ri-determinazione del limite tra le due proprietà era stata stabilita in via amichevole mentre, per quanto concerne la piscina, richiamato un precedente giudizio che ne aveva escluso la potenzialità dannosa, veniva contestata l'applicabilità dell'art. 889 c.c. in quanto attinente a manufatto in concreto non pericoloso.

Istruita la causa con prove testimoniali ed esperimento di consulenza tecnica d'ufficio, il Tribunale accoglieva solo in parte le domande degli attori (in favore dei quali era stato riconosciuto lo sconfinamento senza adottare le conseguenti decisioni, così come i convenuti non erano stati condannati, per entrambi i fatti, al richiesto risarcimento).

Avverso tale sentenza proponevano appello i soccombenti, che riproducevano le stesse difese formulate nel giudizio di prime cure, mentre la parte vittoriosa, con l'appello incidentale, insisteva per la restituzione del terreno occupato ed il richiesto risarcimento dei danni.

La Corte territoriale, in accoglimento dell'appello incidentale, condannava gli appellanti principali a rilasciare la porzione immobiliare occupata, a demolire il muro ed a ricostruirlo a proprie cure e spese secondo le indicazioni del CTU. Riconosceva, infine, in favore dei primi il risarcimento del danno, in via equitativa, solo per la violazione delle distanze legali rispetto al confine, trattandosi di danno in re ipsa.

La questione

La prima questione affrontata, concernente la violazione del confine tra le due proprietà immobiliari, di mero fatto, è stata risolta dalla Corte d'Appello sulla base delle risultanze istruttorie. La seconda, attinente alla violazione delle distanze legali, ha richiesto un'analisi più approfondita della fattispecie per accertare se anche la costruzione di una piscina rientri nell'ambito di applicazione dell'art. 889 c.c.

Le soluzioni giuridiche

La difesa dell'appellante in merito all'azione di regolamento di confini si fondava sulla circostanza che lo sconfinamento, accertato in entità minima ma solo nel giudizio di secondo grado (infatti, il giudice del gravame aveva accolto la concorde contestazione delle parti quanto all'eccessiva quantificazione di tale “invasione” determinata dal CTU), sarebbe stato frutto di un accordo tra le parti. Le prove testimoniali, invece, erano state considerate dalla Corte concordanti nell'escludere tale consenso ed in parte incomplete e contraddittorie. Altre, invece, addirittura contrarie,avendo un teste dichiarato che l'intervento di costruzione del muro a rettifica del confine era stato ordinato solo dalla parte convenuta. Questo dato di fatto ha portato all'accoglimento della domanda attrice.

Per quanto concerne, invece, la questione inerente alla violazione delle distanze legali nella costruzione della piscina il giudice di secondo grado ha ritenuto che la piscina rientra nella nozione di costruzione e ad essa si applica, in via estensiva, l'art. 889 c.c., che prevede il rispetto della distanza di due metri dal fondo vicino. Tutto ciò a prescindere da qualsiasi accertamento sulla sussistenza della pericolosità e della concreta dannosità della struttura, che non è richiesto dalla citata normativa.

Osservazioni

L'azione di regolamento di confini, disciplinata dall'art. 950 c.c. si applica non solo ai fondi rustici ma anche a quelli urbani, edificati o meno, essendo la parola “fondo” indicativa dell'unità immobiliare come area suscettibile di tutte le sue possibili utilizzazioni (Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2017, n. 25354). Tale azione di accertamento richiede che attore e convenuto alleghino e forniscano qualsiasi mezzo di prova idoneo ad individuare l'esatta linea di confine, mentre il giudice, del tutto svincolato dal principio actore non probante reus absolvitur, deve determinare il confine in relazione agli elementi che gli sembrano più attendibili, ricorrendo in ultima analisi alle risultanze catastali, aventi valore sussidiario (Cass. civ., sez. II, 24 aprile 2018, n. 10062). Quindi assumono rilevanza determinante i titoli di acquisto delle rispettive proprietà, frazionamenti o lottizzazioni la cui mancanza può giustificare il ricorso ad altri mezzi di prova come, appunto, le mappe catastali. Il titolo di acquisto, infatti, non mette in discussione la proprietà immobiliare ma è necessario per determinarne l'estensione in relazione al fondo confinante.

Parimenti residuale è, in questo quadro, la prova testimoniale poiché - come ritenuto dalla giurisprudenza - in ossequio al principio della forma scritta per la costituzione, il trasferimento e la modifica di diritti reali, previsto dall'art. 1350 c.c., che rende di norma inammissibili per irrilevanza, ai fini della determinazione dell'oggetto degli inerenti titoli, di questa può tenersi conto solo qualora sulla base degli oggettivi elementi forniti dai titoli e dal frazionamento in essi richiamato, sia risultato comunque incerto il confine (Cass. civ., sez. II, 12 novembre 2007, n. 23500).

Ora, richiamati questi principi di carattere generale, dalla motivazione della sentenza è emerso che la parte convenuta non aveva assolutamente assolto il proprio onere documentale della prova, essendosi limitata ad affermare (salvo poi essere smentita dalle risultanze processuali) che lo “sconfinamento” nell'altrui proprietà era stato concordato con gli attori. Né tale accordo era stato provato per scritto, il ché sarebbe stato sufficiente per dimostrare che il regolamento amichevole della linea di confine tra i due immobili avrebbe eliminato alla radice la questione. Tale vulnus difensivo, invece, era stato colmato dalla CTU che aveva effettuato le esatte e dettagliate verifiche, con l'ausilio degli adeguati strumenti ai quali si erano aggiunte le necessarie ispezioni catastali.

Per concludere sul punto, comunque, si evidenzia che il giudice - sempre secondo la giurisprudenza - non può fondare la sua decisione su di una consulenza tecnica di ufficio basata, a sua volta, esclusivamente sulla situazione dei luoghi come rappresentata nelle mappe catastali, considerando queste prevalenti nei confronti di prove testimoniali concordanti (Cass. civ., sez. II, 4 agosto 1990, n. 7873).

Più articolata la questione concernente la violazione delle distanze legali ex art. 889 c.c. ritenuto applicabile anche per la piscina, costituita da un blocco prefabbricato e seminterrato, rispetto alla quale il giudicante ha ritenuto di prescindere da qualsivoglia accertamento in merito alla effettiva pericolosità del manufatto.

Va evidenziato che l'art. 889, comma 1, c.c., nell'àmbito della proprietà fondiaria, è stato posto a salvaguardia della sicurezza e dell'igiene di determinati manufatti (pozzi, cisterne, fosse di latrina o di confine), che devono essere distanziati dal confine del vicino di almeno due metri, da calcolare a partire dal perimetro interno dell'opera. Ad avviso della giurisprudenza questo elenco di opere, pur se tassativo, non impedisce all'interprete di attribuire alle parole del legislatore un significato più ampio di quello letterale, mentre esclude l'applicazione analogica della stessa disposizione (Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1994, n. 10146). Partendo da tale principio, quindi, la sentenza in esame ha ampliato l'oggetto della norma fino a ricomprendervi la piscina, in quanto rientrante nella nozione di costruzione per essere un manufatto consistente, stabile ed immobilizzato rispetto al suolo, ancorché non completamente interrato, con la conseguente violazione delle disposizioni in materia di distanze legali.

Appare, tuttavia, che la Corte, pur applicando estensivamente il dettato oggettivo della norma, non abbia tenuto conto della giurisprudenza della Suprema Corte in ordine alla c.d. presunzione di pericolosità pur invocata dagli appellanti.

Preme rilevare, in via preventiva, che la piscina in oggetto non sarebbe stata mai in regola con le norme in materia di distanze legali, anche se non fosse stato ritenuto applicabile ad essa l'art. 889 c.c. poiché, trattandosi di costruzione, il manufatto avrebbe dovuto, comunque, soggiacere all'applicazione dell'art. 873 c.c. il quale prevede una distanza di rispetto di tre metri dal confine.

Detto questo, il giudice distrettuale ha affermato che la disciplina dettata dall'art. 889 c.c. si deve applicare alla piscina seminterrata, non richiedendo la norma un'indagine sulla effettiva pericolosità e sulla concreta dannosità della struttura. In realtà, secondo la giurisprudenza, si parla di presunzione assoluta di dannosità, che non ammette prova contraria, per le opere indicate nella rubrica dell'art. 889 c.c. (Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1995, n. 12491; Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1975, n. 3749), mentre per le opere non contemplate espressamente in detta norma, ma che pur hanno attitudine potenziale a recare danno, la presunzione assoluta non è invocabile ed è pertanto necessario accertare in concreto, sulla base delle loro specifiche caratteristiche, le ragioni della loro potenziale pericolosità, che le rendano assimilabili a taluna delle opere previste sottoponendole a pari trattamento (Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1986, n.3643).

L'inconciliabilità tra merito e legittimità appare evidente e questo potrebbe indurre l'appellante/soccombente a ricorrere in Cassazione per violazione di norma di diritto, anche se la condanna per la piscina era stata limitata al riconoscimento di un danno di assoluta minima entità.

Da chiedersi, infine, se le stesse distanze debbano essere rispettate anche per la piscina completamente interrata nel terreno. Sul punto, la giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che la piscina, quando sia completamente incassata nel terreno e, quindi, sia priva di opere (ad esempio: il bordo) che non si la innalzino oltre il livello dello stesso, non risulta rilevante ai fini della violazione delle distanze legali, non configurando la stessa un corpo edilizio idoneo a creare dannose intercapedini e a pregiudicare la salubrità dell'ambiente collocato tra gli edifici (T.A.R. Campania,2 luglio 2015, n. 3520). La normativa sulle distanze legali, infatti, essendo diretta ad evitare la formazione di stretti e dannosi spazi per evidenti ragioni di igiene, aerazione e luminosità, comporta la sua inapplicabilità relativamente ad un manufatto completamente interrato, quale è una simile piscina (T.A.R. Lombardia, 20 dicembre 1988, n. 428).

Guida all'approfondimento

Bordolli, Condominio ed art. 889 c.c.: analisi dei principali problemi, in Immob. & proprietà, 2010, 15

Celeste, Limiti legali alla proprietà nell'interesse privato e diritto soggettivo al rispetto delle distanze nelle costruzioni, in Riv. giur. edil., 2004, II, 27

Flores, L'uso abusivo di mappe catastali nell'azione di regolamento di confini - L'esame dell'incertezza matematica in assenza di altre prove, in Riv. giur. scuola, 2006, 1067

Gallucci, Nelle cause per il regolamento dei confini bisogna dare importanza prioritaria al contenuto degli atti di acquisto, in Condominioweb.com, 2013

Giagnotti, Scatta il risarcimento dei danni se la piscina non rispetta le distanze legali, in Condominioweb.com, 2020

Palombella, La piscina è una “costruzione”: occorre rispettare le distanze, ma si potrebbe fare a meno delle autorizzazioni, in Dirittoegiustizia.it, 2011

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