Criterio di spese per il consumo di acqua calda condominiale
23 Giugno 2020
Ad una mia cliente che ha fatto rogito di una casa si è vista venire addebitata una bolletta di acqua calda consumata condominiale del 2016 per consumi condominiali risalenti ad un tempo in cui Lei non era proprietaria di quella casa ma in mano al costruttore. La divisione di quanto pagare, non potendosi determinare in base al consumo, è stata fatta in base ai millesimi di appartenenza. Voglio sapere se c'è una disposizione che prevede la divisione pro capite in base ai millesimi di proprietà. È lecito il criterio adoperato dall'amministratore?
In mancanza di ogni ulteriore elemento necessario ai fini della legittimità della spesa di appartenenza, focalizzando l'attenzione sulle domande dell'autore, si conviene quanto segue. In argomento, giova ricordare che oggi, in materia di ripartizione delle spese di riscaldamento, raffrescamento e di produzione di acqua calda sanitaria (ACS), si fa riferimento alla normativa Uni 10200, in vigore da fine 2018 e intitolata “Impianti termici centralizzati di climatizzazione invernale, estiva e produzione di acqua calda sanitaria - Criteri di ripartizione delle spese”. Essa contiene i criteri secondo cui dividere le suddette quote negli immobili equipaggiati con impianto centralizzato e chiarifica in che modo esse debbano essere ripartite proporzionalmente a quanto ciascuno ha effettivamente consumato. L'obiettivo di questa normativa è diminuire gli sprechi e incoraggiare l'ottimizzazione dei consumi. Invero, dopo aver installato i sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore, le spese di riscaldamento – come dispone l'art. 9, comma 5, lett. d, d.lgs. n. 102/2014 – vanno ripartite tra i singoli condòmini in base ai criteri stabiliti dalla norma Uni 10200: ciascun utente paga secondo l'effettivo consumo registrato. Si tratta di una disposizione inderogabile, che non può essere messa in discussione da un regolamento condominiale di natura contrattuale, né modificata dall'assemblea di condominio. La Uni 10200 distingue due tipi di consumo connesso al riscaldamento: - I consumi volontari prevedono una quota variabile e si riferiscono alle abitudini dei singoli condòmini, che attraverso le termovalvole regolano, nel rispetto dei limiti di legge, la temperatura dei caloriferi. - I consumi involontari, al contrario, non dipendono dalle azioni degli utenti e riguardano soprattutto le dispersioni di calore dell'impianto. Questi consumi vanno suddivisi in base ai millesimi di riscaldamento calcolati da un tecnico abilitato e tengono conto del fabbisogno energetico delle singole unità immobiliari, cioè la quantità di energia che ogni appartamento dovrebbe prelevare per mantenere una temperatura interna costante di 20 °C durante l'intero periodo in cui c'è riscaldamento. La norma Uni prevede poi che le tabelle di fabbisogno siano utilizzate – oltre che per ripartire i consumi involontari – per suddividere i costi gestionali e tutte le spese relative al godimento (ma non alla conservazione) del servizio. Come osservato dai tecnici in materia, nel calcolare il fabbisogno, il tecnico deve considerare solo le parti comuni e le loro eventuali modifiche (la realizzazione di un cappotto termico, la coibentazione del tetto, eccetera), escludendo le migliorie che riguardano gli interni delle singole unità immobiliari (per esempio, la sostituzione degli infissi o l'isolamento delle pareti), che sono considerate opere irrilevanti ai fini della redazione della tabella. Se lo stesso generatore, oltre che al riscaldamento, è adibito alla produzione di acqua calda sanitaria, è necessario stabilire la quantità di energia prodotta per tale scopo. In casi come questi - come suggerito dal Comitato Termotecnico Italiano - la miglior soluzione è installare due contatori generali che misurino l'energia utilizzata per il riscaldamento e i consumi di acqua calda sanitaria. Il passo successivo consiste nel suddividere l'energia utile totale fra consumi volontari e involontari, e quindi ripartire l'energia utile volontaria in base alle letture dei contatori installati e l'energia utile involontaria in base ai millesimi di riscaldamento. Tuttavia, esistono dei casi in cui non è tecnicamente possibile applicare la norma Uni 10200, o il suo utilizzo non è proporzionato in termini di costi rispetto all'obiettivo del risparmio energetico. Ciò si verifica quando «siano comprovate, tramite apposita relazione tecnica asseverata, differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l'edificio polifunzionale superiori al 50 per cento». In casi simili, in presenza di una relazione tecnica che attesti la differenza di fabbisogno termico, l'assemblea può decidere di suddividere le spese calcolando almeno il 70% di consumo volontario e ripartendo la restante percentuale in proporzione ai metri cubi, ai metri quadri o ai millesimi di proprietà. Premesso quanto innanzi esposto, ai fini di una corretta risposta al quesito in esame, una ripartizione basata su vecchi sistemi non rispetterebbe i citati requisiti previsti dalla legge; tuttavia, occorre anche considerare che secondo alcuni autori, se una perizia accerta che non si possono installare i contatori individuali, si dovrà far riferimento alla giurisprudenza. In tema, i giudici di legittimità hanno sostenuto che, salva diversa convenzione, la ripartizione delle spese della bolletta dell'acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, deve essere effettuata, ai sensi dell'articolo 1123, comma 1, c.c., in base ai valori millesimali; sicché è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che, adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell'unità immobiliare, esenti dalla contribuzione i condòmini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell'anno (Cass. civ. sez. II, 1° agosto 2014, n. 17557. La presente pronuncia, però, riguardava un cosa diverso: difatti, il nostro caso riguarda l'acqua calda sanitaria (ACS); nel caso del citato provvedimento, invece, si è trattato di ripartizione di acqua potabile). In conclusione, come abbiamo visto, le spese relative al consumo dell'acqua devono essere ripartite in base all'effettivo consumo se questo è rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche; inoltre, è possibile andare in deroga incaricando un professionista per la redazione dell'asseverazione. Diversamente, se non esistono parametri di consumo volumetrico e l'assemblea decidesse di utilizzare la ripartizione in "millesimi di proprietà", occorrerebbe valutare la legittimità della delibera (se esistente). Anche in questa circostanza, tuttavia, resta fermo il diritto del condomino a impugnare il voto dell'assemblea che approva il rendiconto usando un criterio di riparto delle spese ritenuto illegittimo. |