Il diritto societario al tempo del Coronavirus

Umberto Tombari
Alessandro Luciano
09 Luglio 2020

Nell'ambito della disciplina d'urgenza prevista in ragione dell'emergenza sanitaria sussistente sul territorio nazionale, i decreti-legge cc.dd. “Cura Italia” e “Liquidità” hanno previsto alcune disposizioni in materia di diritto societario funzionali, per un verso, a favorire l'efficiente funzionamento degli organi sociali e, per altro verso, a limitare gli effetti negativi che la crisi economica e finanziaria conseguente alla pandemia potrebbe determinare con riguardo alle imprese societarie.
Introduzione: diritto societario ed emergenza sanitaria

Nell'ambito della disciplina d'urgenza prevista in ragione dell'emergenza sanitaria sussistente sul territorio nazionale, i decreti-legge cc.dd. “Cura Italia” (d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con la l. 24 aprile 2020, n. 27) e “Liquidità” (d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con la l. 5 giugno 2020, n. 40) hanno previsto alcune disposizioni in materia di diritto societario funzionali, per un verso, a favorire l'efficiente funzionamento degli organi sociali (e, in particolare, dell'assemblea) e, per altro verso, a limitare gli effetti negativi che la crisi economica e finanziaria conseguente alla pandemia potrebbe determinare con riguardo alle imprese societarie. Scopo di questo scritto è esaminare brevemente tali disposizioni, soffermandosi su alcune tra le più rilevanti questioni interpretative che le medesime pongono.

L'art. 106 del Decreto Cura Italia: la riunione assembleare al tempo del Covid-19

Il disposto dell'art. 106, Decreto Cura Italia prevede alcune regole volte a facilitare lo svolgimento delle riunioni assembleari convocate entro il 31 luglio 2020 (ovvero, se successiva, entro la data in cui sarà in vigore l'emergenza sanitaria). Più in particolare:

- l'assemblea ordinaria è convocata entro 180 giorni dalla chiusura dell'esercizio in deroga alle previsioni ex art. 2364, comma 2, e 2478-bis c.c. o alle diverse disposizioni statutarie (art. 106, comma 1, Decreto Cura Italia);

- ai sensi dell'art. 106, comma 2, Decreto Cura Italia, l'avviso di convocazione può prevedere, anche in deroga allo statuto, l'espressione del voto in via elettronica o per corrispondenza e l'intervento alla riunione mediante mezzi di telecomunicazione, così come che la riunione si svolga, anche esclusivamente, tramite mezzi di telecomunicazione (su questa disciplina v. Luciano, Riunione assembleare ed emergenza sanitaria: brevi considerazioni sulla disciplina ex art. 106, comma 2, Decreto Cura Italia, in questo Portale).

Nulla è previsto per gli organi sociali diversi dall'assemblea (e, in particolare, per il consiglio di amministrazione), ma è probabile che i principi appena espressi siano applicabili anche ai medesimi [in questo senso: Assonime, Decreto-legge del 17 marzo 2020 n. 18: le disposizioni in materia di svolgimento delle assemblee (art. 106), su assonime.it; Busani, Assemblee e Cda in audio-video conferenza durante e dopo COVID-19, in Società, 2019, 406 s. Maggiori dubbi sono stati espressi al riguardo da Irrera, Le assemblee (e gli altri organi collegiali) della società ai tempi del Coronavirus (con una postilla in tema di associazioni e fondazioni), in Il diritto dell'emergenza: profili societari, concorsuali, bancari e contrattuali, a cura di Irrera, Torino, 2020, 76 s.];

- il terzo comma dell'art. 106, Decreto Cura Italia prevede che le s.r.l. possono consentire che l'espressione del voto avvenga per iscritto o tramite consultazione scritta, anche in deroga a quanto previsto dall'art. 2479, comma 4, c.c. o dallo statuto. Questa disposizione pone numerose questioni interpretative.

In primo luogo, laddove si ritenga che l'espressa deroga al disposto dell'art. 2479, comma 4, c.c. riguardi il medesimo nella sua integralità, dovrebbe concludersi che durante il periodo di vigenza della disciplina emergenziale, per un verso, tramite la “collegialità attenuata” di cui all'art. 2479, comma 3, c.c. si potrebbe modificare lo statuto e decidere in merito alle operazioni che variano sostanzialmente l'oggetto sociale, ovvero che modificano in modo rilevante i diritti dei soci. Per altro verso, si impedirebbe agli amministratori, o a tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale, di richiedere l'applicazione del metodo assembleare.

In realtà, sembra maggiormente aderente alle intenzioni del legislatore – nonché, più in generale, alla ratio della disciplina in tema di s.r.l. e di adozione delle decisioni dei soci in questo tipo – ritenere che il richiamo da parte dell'art. 106, comma 3, Decreto Cura Italia all'art. 2479, comma 4, c.c. valga a derogare unicamente alla prima parte di tale disposizione e si limiti, pertanto, a consentire il ricorso al metodo “semplificato” di cui al terzo comma di tale articolo anche in assenza di una previsione statutaria che vi acconsenta espressamente [sul punto, tuttavia, si registrano opinioni contrastanti: in senso contrario a quanto sostenuto in questa sede cfr. Busani, op. cit., 405 s., secondo cui la disposizione emergenziale in esame derogherebbe totalmente al disposto dell'art. 2470, comma 4, c.c., consentendo, quindi, anche di modificare l'atto costitutivo senza che a tal fine sia necessaria una deliberazione assembleare. In argomento v. altresì Irrera, op. cit., 70 (a parere del quale in ragione della disciplina in argomento, da una parte, soci ed amministratori non possono chiedere l'applicazione del metodo assembleare; dall'altra, le modifiche dell'atto costitutivo devono comunque essere deliberate dall'assemblea); Assonime, Q&A sulle assemblee a porte chiuse – Qual è l'ambito oggettivo di applicazione delle decisioni dei soci di srl tramite consultazione scritta o consenso espresso per iscritto?, in assonime.it (per la quale la necessità di rispettare le formalità del verbale notarile ex art. 2480 c.c. renderebbero perlomeno “auspicabile” che le modifiche dell'atto costitutivo avvengano nel rispetto del procedimento assembleare “semplificato” ex art. 106, secondo comma, Decreto Cura Italia). Cfr altresì N. Atlante-Maltoni-C. Marchetti-Notari-Roveda (a cura di), Le disposizioni in materia societaria nel Decreto-legge COVID-19 (Decreto legge 17 marzo 2020, n. 18. Profili applicativi, 30 marzo 2020, su federnotizie.it), secondo i quali “ammesso ma non concesso che il riferimento alla deroga del quarto comma dell'art. 2479 c.c. implichi la possibilità di avvalersi, durante il limitato periodo di applicazione dell'art. 106, delle decisioni extra assembleari anche per le modificazioni statutarie – resta fermo ed indiscutibile che la decisione di modificare lo statuto deve comunque passare tramite una verbalizzazione notarile del processo decisionale realizzato mediante consultazione per iscritto o consenso scritto”].

Altra questione problematica concerne la possibilità che allo “strumento” decisionale semplificato in esame si ricorra unicamente qualora lo statuto non preveda alcunché al riguardo, ovvero anche laddove questo espressamente neghi questa facoltà. Il tenore letterale dell'art. 106, comma 3, Decreto Cura Italia – in ragione del quale al predetto metodo può ricorrersi anche “in deroga (…) alle diverse disposizioni statutarie” – e il favor per l'assunzione delle decisioni dei soci, che è alla base delle regole emergenziali in esame, consente di aderire alla più ampia interpretazione da ultimo menzionata.

- ai sensi del quarto comma dell'art. 106, Decreto Cura Italia, le società quotate (nonché quelle ammesse alla negoziazione su sistemi multilateriali di negoziazioni e le s.p.a. “aperte”) possono designare il rappresentante ex art. 135-undecies t.u.f. anche qualora lo statuto disponga diversamente. Alle predette società è concesso altresì di stabilire nell'avviso di convocazione che la riunione si svolga unicamente tramite il predetto rappresentante (al quale sono conferibili anche deleghe ai sensi dell'art. 135-novies t.u.f. in deroga all'art. 135-undecies, comma 4, t.u.f.).

In tale ultima ipotesi, tutte le proposte di deliberazione su ciascun punto all'ordine del giorno devono essere pubblicate prima della riunione, non potendo essere presentante direttamente in occasione di quest'ultima (sul punto, così come relativamente all'esercizio del diritto di formulare domande prima dell'adunanza ai sensi dell'art. 127-ter t.u.f. nel vigore della disciplina emergenziale, cfr. Consob, Comunicazione n. 3/2020 del 10 aprile 2020; Assonime, Q&A sulle assemblee a porte chiuse – Convocazione dell'assemblea, cit.).

Le società potranno avvalersi congiuntamente della facoltà di ricorrere al rappresentante designato e di consentire la partecipazione a distanza ex art. 106, comma 2, Decreto Cura Italia, consentendo al singolo azionista di optare per lo strumento partecipativo preferito (cfr. Consiglio Notarile di Milano, Massima 24 marzo 2020, n. 188, secondo la quale “in caso di utilizzo congiunto di rappresentante designato esclusivo e partecipazione a distanza, risulteranno appunto collegati da remoto tutti gli aventi diritto, e cioè, tipicamente, i componenti degli organi sociali, il rappresentante designato, e il segretario o notaio”. Nel medesimo senso: N. Atlante-Maltoni-C. Marchetti-Notari-Roveda, op. cit.).

Al rappresentante designato ex art. 135-undecies t.u.f., nonché alla descritta possibilità che la riunione assembleare si svolga soltanto in presenza di quest'ultimo, possono ricorrere altresì le banche popolari, le BCC, le cooperative e le mutue assicuratrici, anche in deroga alle disposizioni di legge e statutarie che prevedono limiti al numero di deleghe conferibili al medesimo soggetto (cfr. art. 106, comma 6, Decreto Cura Italia).

Con tutta probabilità, alla disciplina suesposta – considerata nel suo complesso – può ricorrersi anche con riguardo alle assemblee già convocate, modificando il relativo avviso (cfr. Irrera, op. cit., 73; Assonime, Q&A sulle assemblee a porte chiuse – Come integrare l'avviso di convocazione dell'assemblea già pubblicato, cit.).

Il “congelamento” della disciplina sul capitale sociale (art. 6, Decreto Liquidità)

Da tempo si è maturata la convinzione che nei contesti di crisi delle imprese societarie le regole in materia di capitale sociale – e, in particolare, quelle che ne impongono la riduzione qualora questo diminuisca di oltre un terzo ed obbligano a sciogliere la società se il medesimo scende al di sotto del minimo di legge [cfr. artt. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482-bis, commi 4, 5 e 6, 2482-ter, 2484, comma 1, n. 4), 2454-duodecies, c.c.] – possano disincentivare i tentativi di risanamento o determinare una cessazione prematura dell'impresa. Per tali ragioni la legge fallimentare (art. 182-sexies), ugualmente al Codice della Crisi (artt. 64 e 89), prevede il “congelamento” delle predette regole per le società che hanno avviato un tentativo di risanamento o hanno presentato domanda per l'ammissione al concordato preventivo, ovvero di omologazione degli accordi di ristrutturazione (ugualmente è disposto per le società che si trovano nelle more del procedimento di composizione assistita della crisi ex art. 19 Cod. Crisi: cfr. art. 20, comma 4, Cod. Crisi).

Il disposto ex art. 6 Decreto Liquidità “estende” siffatto “congelamento” a qualsiasi ipotesi in cui la riduzione del capitale di oltre un terzo o al di sotto del minimo legale si sia realizzata negli esercizi chiusi entro il 31 dicembre 2020. Di conseguenza, si “libera” la società in crisi patrimoniale – e, quindi, l'assemblea e gli amministratori di questa, ognuno per gli aspetti di competenza – dal tradizionale obbligo di scegliere tra la ricapitalizzazione e lo scioglimento della compagine.

La ratio della disciplina in esame è chiaramente rintracciabile nella volontà di mitigare gli effetti delle crisi d'impresa determinate dall'emergenza sanitaria. Tuttavia il legislatore ha correttamente stabilito di non dare rilievo alle cause di tali crisi e, in particolare, alla riconducibilità delle medesime alla pandemia. Occorre quindi ritenere che di questa disciplina di favore godano tutte le imprese societarie che si trovano nelle condizioni ex art. 6, Decreto Liquidità, a prescindere dalle specifiche circostanze che hanno influito sul deterioramento della loro situazione patrimoniale (così Ventoruzzo, Continuità aziendale, perdite sul capitale e finanziamenti soci nella legislazione emergenziale da Covid-19, in Società, 2020, 533).

Considerato che il disposto in esame è molto chiaro nello stabilire che la “sterilizzazione” delle regole in tema di capitale avviene soltanto per le fattispecie verificatisi a partire dall'entrata in vigore del medesimo, le relative cause di scioglimento continuano ad operare qualora risultino integrate prima del 9 aprile 2020 (cfr. Presti-M. Rescigno, Le novità del diritto commerciale nella legislazione d'emergenza sanitaria, Bologna, 2020. Sul punto v. anche Busani, Il 2020 come anno “di grazia” per le perdite da COVID-19, in Società, 2020, 539 ss.; Salamone, Crisi patrimoniali e finanziarie nella legislazione emergenziale del Paese di Acchiappacitrulli. Note sugli articoli 5-10 d.l. n. 23/3030 in materia di diritto delle società di capitali e procedure concorsuali, in dirittifondamentali.it, 1 maggio 2020, 22).

Ugualmente a quanto occorre ritenere con riguardo alla generale disciplina in tema di crisi d'impresa (v., ad esempio, R. Sacchi, Sul così detto diritto societario della crisi: una categoria concettuale inutile o dannosa?, in NLCC, 2018, 1294 ss.), anche relativamente alla normativa emergenziale in esame deve concludersi che la mancata menzione tra le norme “congelate” degli artt. 2446, comma 1 e 2482-bis, commi 1, 2 e 3, c.c. (rispettivamente in tema di s.p.a. ed s.r.l.) – i quali, per quanto più interessa, impongono di riunire l'assemblea affinché questa sia informata della riduzione del capitale di oltre un terzo e per consentirle di adottare gli “opportuni provvedimenti” – ha un significato oltremodo chiaro: anche nel vigore della normativa eccezionale gli amministratori continuano ad essere gravati, oltre che del dovere di convocare l'assemblea, anche del compito di rilevare la condizione applicativa del medesimo, ovvero la riduzione del capitale di oltre un terzo in conseguenza di perdite (v. Relazione Illustrativa del Decreto Liquidità, sub art. 6. Sul punto cfr. anche Consiglio Notarile di Milano, Massima 16 giugno 2020, n. 191).

La “sospensione” della causa di scioglimento ex art. 2484, comma 1, n. 4) determina uguale effetto con riguardo alla “limitazione” dei poteri degli amministratori ex art. 2486, comma 1, c.c. In altri termini, considerato che l'obbligo di gestione conservativa di cui alla disposizione da ultimo menzionata trova giustificazione nella cessazione dell'attività e nella successiva liquidazione della società, la continuazione dell'impresa nonostante la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo fa sì che gli amministratori possano (rectius, debbano) continuare a perseguire finalità speculative. Lo scopo della disciplina emergenziale, del resto, va rintracciato nell'esigenza di “sterilizzare” le conseguenze solitamente determinate, sul piano del diritto societario, dalle crisi patrimoniali (tanto che – come si chiarirà ultra – l'art. 7 del Decreto Liquidità consente a tal fine di “fingere” che la continuità aziendale sussista, sebbene i fatti depongano nel senso opposto).

Occorre tuttavia chiarire come a quanto sopra non consegua che il subentro di una crisi patrimoniale rappresenti un elemento del tutto “neutrale” in rapporto alla funzione amministrativa esercitata nel contesto emergenziale: nell'ambito di quest'ultimo, tuttavia, tale condizione “degrada” da possibile causa di scioglimento della società a mero elemento oggettivo del quale, ugualmente a qualsiasi altro che caratterizza la medesima, l'amministratore diligente deve tenere conto ai sensi del disposto ex art. 2392, comma 1, c.c. Se tanto è vero, qualora l'organo amministrativo ritenga che non ci siano margini per risanare l'impresa, potrebbe configurarsi nei suoi confronti il dovere di proporre ai soci lo scioglimento della società (cfr. Salamone, op. cit., 19 ss.), salvo ritenere, nei casi più gravi, che risulti integrata la fattispecie ex art. 2484, comma 1, n. 2), c.c. (la configurabilità della causa di scioglimento per impossibilità di conseguire l'oggetto sociale in presenza di una crisi dell'impresa societaria è, come noto, particolarmente controversa. Sul punto sia consentito rinviare a Luciano, La gestione della s.p.a. nella crisi pre-concorsuale, Milano, 2016, 168 ss.).

La “presunzione di continuità aziendale” ex art. 7, Decreto Liquidità

Ai sensi dell'art. 7, Decreto Liquidità, per i bilanci di esercizio in corso al prossimo 31 dicembre (ovvero chiusi anteriormente al 23 febbraio 2020 e non ancora approvati), la valutazione delle voci nella prospettiva della continuazione dell'impresa (art. 2423-bis, comma 1, n. 1, c.c.) può comunque essere operata, se sussistente nell'ultimo bilancio (chiuso prima del 23 febbraio 2020). Sul punto occorre fornire adeguata informazione nella nota integrativa.

Lo scopo di tale disciplina consiste nel “creare una sorta di presunzione o, meglio, finzione di continuità aziendale” (Ventoruzzo, op. cit., 526) finalizzata ad evitare che il sopraggiungimento di avvenimenti che implicherebbero un giudizio differente (ovvero di non continuità) imponga di formare il bilancio in base ai valori di liquidazione.

La valutazione di continuità aziendale ai sensi dell'art. 7 Decreto Liquidità è facoltativa per l'organo amministrativo e, quindi, il ricorso alla medesima è discrezionale. Considerato che la disciplina emergenziale non comporta una “sospensione” delle generali regole di diritto societario – e, in particolare, di quelle in tema di doveri e responsabilità degli amministratori – occorre ritenere che la scelta di applicare (o meno) la predetta “finzione” non si sottragga ad un successivo giudizio da effettuare, come ordinariamente avviene, sulla base dei parametri della business judgment rule. Qualora dunque siffatta scelta si sia rivelata pregiudizievole per la società o per i suoi creditori – e la medesima sia stata, ad esempio, irragionevole, in quanto assunta pur sapendo che la continuità aziendale era destinata con certezza a venire meno, poiché i soci avevano reso nota la loro volontà di cessare l'attività, a prescindere dall'emergenza sanitaria – non può escludersi che gli amministratori siano chiamati a rispondere del loro operato ai sensi degli artt. 2392 ss. c.c. (in argomento cfr. Ventoruzzo, op. cit., 528 ss.).

La disapplicazione della disciplina ex artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. (art. 8, Decreto Liquidità)

Anche per la previsione dell'art. 8, Decreto Liquidità il legislatore emergenziale ha “preso spunto” dalla normativa in tema di crisi d'impresa (art. 182-quater l. fall.) e stabilito che ai finanziamenti erogati in favore della società entro il 31 dicembre 2020 non si applica la disciplina ex art. 2467 e 2497-quinquies c.c. in tema di postergazione (o restituzione) dei finanziamenti “anomali”. Nel bilanciare l'esigenza di favorire il finanziamento delle imprese in crisi e di evitare che si perpetrino abusi ai danni dei creditori, il legislatore ha quindi chiaramente propeso per la prima, “congelando” un principio di “corretto finanziamento” delle società di rilievo così centrale da essere generalmente ritenuto applicabile anche alle s.p.a. (cfr., ad esempio, Cass., 20 giugno 2018, n. 16291).

In questo senso, la norma emergenziale solleva qualche dubbio: considerato che la disciplina derogata è funzionale proprio ad evitare che le imprese in crisi siano finanziate dai soci tramite capitale di debito, invece che per mezzo di capitale di rischio, sarebbe forse stato opportuno agevolare maggiormente l'erogazione di conferimenti, piuttosto che l'indebitamento delle società.

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