Se opera la presunzione di comunione, il condominio è dispensato dalla probatio diabolica

17 Luglio 2020

Analizzando una fattispecie peculiare, il Supremo Collegio ha avuto modo di chiarire che, quando un condomino pretenda l'appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell'art. 1117 c.c., è onere dello stesso condomino, onde vincere detta presunzione, dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che, a tal fine, sia rilevante il proprio titolo di acquisto, o quello del relativo proprio dante causa, ove non si tratti - come nel caso concreto analizzato nella sentenza in commento - dell'atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall'iniziale unico proprietario che non si era riservato l'esclusiva titolarità dell'area.
Massima

La “presunzione legale” di proprietà comune di parti del complesso immobiliare in condominio, che si sostanzia sia nella destinazione all'uso comune della res, sia nell'attitudine oggettiva al godimento collettivo - sulla base di una valutazione da compiere nel momento in cui ha luogo la formazione del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali - dispensa il condominio dalla prova del suo diritto e, in particolare, dalla c.d. probatio diabolica, di solito gravante su colui che agisce, in quanto tenuto a provare la proprietà risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino all'acquisto a titolo originario, oppure dimostrando il compimento dell'usucapione.

Il caso

La causa originava dalla domanda proposta da un Condominio nei confronti di uno dei partecipanti, volta ad ottenere l'accertamento della proprietà condominiale del sedime di determinati mappali, derivanti dal frazionamento operato dall'originario venditore; in particolare, tale area, adibita dall'attore a parco alberato ed area di manovra, era stata interessata da una recinzione, dalla costruzione di un muro e da altri interventi di sistemazione.

Il convenuto aveva dedotto che il proprio titolo riportava l'acquisto effettuato dal dante causa, il quale aveva, a sua volta, comprato dal costruttore, chiedendo perciò accertarsi la sua proprietà, acquisita per contratto o per usucapione.

L'adìto Tribunale aveva accolto le domande del Condominio, dichiarando l'area di proprietà comune, sul rilievo fondante che la vendita prospettata dal convenuto era relativa a cosa di cui l'alienante non poteva più disporre, trattandosi di area condominiale.

Il condomino aveva proposto gravame, respinto però dalla Corte d'Appello, la quale aveva desunto la prova della proprietà dell'area rivendicata sulla base della comune provenienza degli immobili dall'unico proprietario originario.

Il soccombente aveva proposto ricorso per cassazione, muovendo plurime censure all'impugnata sentenza.

La questione

Si trattava di verificare la fondatezza delle domande, principale del Condominio e riconvenzionale del condomino, concernenti il riconoscimento della proprietà dell'area in contesa, sulla base del corretto riparto degli oneri probatori a carico degli odierni contendenti.

Le soluzioni giuridiche

Gli ermellini hanno sottolineato che le doglianze mosse dal ricorrente non rivelano “immediata e piena riferibilità alle rationes decidendi” su cui poggia la pronuncia della Corte d'Appello, limitandosi a censurare una serie di profili che risultano inidonei a determinare la cassazione della sentenza impugnata.

Invero, le censure de quibus vertono tutte: 1) sulla distribuzione dell'onere della prova della proprietà del mappale nei rapporti tra Condominio e condomini rivendicanti, da un lato, e convenuto, dall'altro, il quale vanta un proprio titolo di derivazione contrattuale; 2) sull'inopponibilità per difetto di trascrizione dei titoli di acquisto degli altri condomini; 3) sull'indeterminatezza dell'oggetto di tali titoli, per mancato espresso riferimento all'area in contesa.

I motivi - ad avviso dei giudici di Piazza Cavour - non si confrontano così con l'art. 1117 c.c., che è invece la “norma di legge dirimente” della concreta fattispecie e posta alla base delle ragioni, in fatto e in diritto, della decisione impugnata.

La Corte d'Appello, e prima ancora il Tribunale, avevano fatto risalire la costituzione del Condominio ad una determinata data ed avevano individuato l'area de qua come parte comune, giacché pertinenza scoperta delle unità immobiliari, in parte successivamente destinata ad autorimesse.

Si aveva riguardo, in particolare, ad uno spazio esterno adiacente ai cinque fabbricati del Condominio, adibito a parco alberato e ad area di manovra per i veicoli, dunque astrattamente utilizzabile per consentire l'accesso agli stessi edifici, e perciò da qualificare come cortile, ai fini dell'inclusione nelle parti comuni dell'edificio elencate dall'art. 1117 c.c.

Sul punto, si è rammentato che l'area esterna di un edificio condominiale, riguardo alla quale manchi un'espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio, va ritenuta di presunta natura condominiale, ai sensi dell'art. 1117 c.c. (v., tra le più recenti, Cass. civ., sez. II, 14 giugno 2019, n. 16070; Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2018, n. 4687; Cass. civ., sez. II, 8 marzo 2017, n. 5831; Cass. civ., sez. II, 31 agosto 2017, n. 20612; Cass. civ., sez. II, 4 settembre 2017, n. 20712).

Si intende, peraltro, come cortile, agli effetti dell'art. 1117 c.c., qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, ma anche comprensiva dei vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate degli edifici - quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi - sebbene non menzionati espressamente nel medesimo art. 1117 c.c. (v., tra altre, Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2000, n. 7889).

La situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 ss. c.c. - precisano le toghe del Palazzaccio - si attua sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall'originario unico proprietario ad altro soggetto.

Secondo le emergenze documentali menzionate dai giudici del merito, il Condominio era sorto nel giugno 1982, allorché le unità abitative con i relativi terreni pertinenziali erano state vendute dalla Società costruttrice e si era, quindi, avuto l'atto di frazionamento dell'iniziale unica proprietà; originatasi a tale epoca la situazione di condominio edilizio, dallo stesso momento doveva intendersi operante la presunzione legale ex art. 1117 c.c. di comunione pro indiviso di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero - in tale momento costitutivo del condominio - destinate all'uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio; mancando, però, nel titolo originario una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente alla suddetta Società la proprietà dell'area scoperta, quest'ultima non poteva poi validamente disporre della stessa area cortilizia come proprietario unico di detto bene.

E', infatti, consolidato l'orientamento della Suprema Corte che spetta al condomino, il quale pretenda l'appartenenza esclusiva di un bene, quale appunto un cortile, compreso tra quelli elencati espressamente o per relationem dall'art. 1117 c.c., dare prova della sua asserita proprietà esclusiva derivante da titolo contrario, non essendo determinanti, a tal fine, né le risultanze del regolamento di condominio, né l'inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino, né i dati catastali; in difetto di tale prova, infatti, deve essere affermata l'appartenenza dei suddetti beni indistintamente a tutti i condomini (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 7 maggio 2010, n. 11195; Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2002, n. 5633; Cass.civ., sez. II, 15 giugno 2001, n. 8152; Cass. civ., sez. II, 4 aprile 2001, n. 4953).

Osservazioni

In argomento, appare utile riportare i principi richiamati nella motivazione della sentenza in commento ed utilizzati dal supremo consesso decidente per confutare le doglianze del condomino ricorrente.

In primo luogo, l'individuazione delle parti comuni - come, nella specie, i cortili o qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti o sia destinata a spazi verdi, zone di rispetto, parcheggio di autovetture - operata dall'art. 1117 c.c. non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali (v., per tutte, Cass. civ., sez. un., 7 luglio 1993, n. 7449, il cui arresto nomofilattico, peraltro, non è stato accolto del tutto favorevolmente dalla dottrina, che vi ha intravisto un superamento del concetto di presunzione di comunione enucleabile dal disposto codicistico).

In secondo luogo, la comproprietà delle parti comuni dell'edificio indicate nell'art 1117 c.c. sorge nel momento in cui più soggetti divengono proprietari esclusivi delle varie unità immobiliari che costituiscono l'edificio, sicché, per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprietà esclusiva - i quali comprendono pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, le parti comuni - la situazione condominiale è opponibile ai terzi dalla data dell'eseguita formalità (v. la remota, ma sempre attuale, Cass. civ. sez. II, 9 dicembre 1974, n. 4119).

Nella fattispecie in esame, non avevano, quindi, alcun rilievo il contenuto degli atti traslativi invocati dall'originario convenuto non potendo essi valere quale titolo contrario ex art. 1117 c.c., né validamente disporre della proprietà esclusiva dell'area oggetto di lite, ormai compresa fra le proprietà comuni, rimanendo nulla, al contrario, la clausola, contenuta nel contratto di vendita di un'unità immobiliare di un condominio, con la quale venga esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune delle parti comuni (argomentando ex Cass.civ. sez. II, 29 gennaio 2015, n. 1680).

Né la circostanza che gli atti di vendita tra la Società costruttrice ed i diversi condomini acquirenti delle singole unità immobiliari, come le correlate note di trascrizione, non contenessero espressa menzione del trasferimento della comproprietà dell'area comune di cui sopra è in alcun modo sufficiente a superare la presunzione posta dall'art. 1117 c.c., la quale, al contrario, comporta che all'atto stesso consegua l'alienazione, unitamente alla porzione esclusiva, della corrispondente quota di condominio su dette parti comuni.

Stando, infatti, al consolidato orientamento dei giudici di legittimità, una volta accertata la sussistenza di una situazione di condominio di edifici, le vicende traslative riguardanti i piani o le porzioni di piano di proprietà individuale estendono i loro effetti, secondo il principio accessorium sequitur principale, alle parti comuni necessarie per la struttura o destinate per la funzione al servizio degli immobili di proprietà solitaria (Cass. civ., sez. II, 6 marzo 2019, n. 6458; Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2011, n. 22361; Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1993, n. 4931).

Guida all'approfondimento

Cappai, Il condominio: la presunzione di comunione e le parti dell'edificio funzionalmente ibride, in Resp. civ. e prev., 2014, 733

De Tilla, Presunzione di comunione e titolo contrario, in Arch. loc. e cond., 2012, 297

Garufi, Condominio e parti comuni: quando è applicabile (e quando no) la presunzione di comproprietà di cui all'art. 1117 c.c., in Dirittoegiustizia.it, 2010

Rizzo, Spazi destinati a parcheggio e presunzione di comunione ex art.1117 c.c., in Notariato, 1998, 507

Maienza, Le Sezioni Unite “cancellano” la presunzione legale di comunione ex art. 1117 c.c., in Corr. giur., 1993, 1186

Maglia, La presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. non esiste?, in Arch. loc. e cond., 1993, 711

Frigerio, Presunzione di comproprietà delle cose comuni e frazionamento catastale, in Nuova giur. civ. comm., 1991, I, 715

Terzago, In tema di presunzione legale ex art. 1117 c.c., in Vita notar., 1985, 161

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