La S.C. chiarisce i presupposti della chiusura anticipata dell'espropriazione forzata immobiliare per infruttuosità

22 Luglio 2020

Tra le diverse questioni processuali affrontate dalla Suprema Corte nella pronuncia in esame, quella di maggiore attualità, in mancanza di precedenti sulla stessa nella giurisprudenza di legittimità, attiene ai presupposti in presenza dei quali, in considerazione della ratio della norma, il giudice dell'espropriazione immobiliare può disporre la chiusura anticipata della procedura esecutiva per infruttuosità ex art. 164-bis disp. att. c.p.c.
Massima

In tema di espropriazione immobiliare, la peculiare ipotesi di chiusura anticipata della procedura ai sensi dell'art. 164-bis disp. att. c.p.c. ricorre nell'ipotesi in cui il giudice dell'esecuzione abbia applicati o tentati ovvero motivatamente esclusi tutti gli istituti processuali volti alla massima possibile fruttuosità della vendita del bene pignorato e nondimeno risulti, in base ad un giudizio prognostico basato su dati obiettivi anche raccolti nell'andamento pregresso del processo, che il bene sia in concreto invendibile o che la somma ricavabile nei successivi sviluppi della procedura possa dar luogo ad un soddisfacimento soltanto irrisorio dei crediti azionati ed a maggior ragione se possa consentire soltanto la copertura dei successivi costi di esecuzione.

Il caso

Nell'ambito di una procedura esecutiva immobiliare i debitori esecutati chiedevano al giudice di non porre in vendita al prezzo di Euro 270.000,00 il bene pignorato, prezzo derivante da una serie successivi ribassi nel corso di tentativi di vendita del prezzo cd. base fissato a fronte di una perizia che aveva stimato il valore dello stesso bene nell'importo, considerevolmente più elevato, di Euro 780.000,00 deducendo la necessità, per evitare un eccessivo depauperamento del proprio patrimonio, che il giudice valutasse, stante la crisi del mercato immobiliare, di porre il cespite per un periodo in amministrazione giudiziaria nonché di disporre l'estinzione della procedura esecutiva che, in ogni caso, alla vendita del bene al prezzo cui era pervenuto non sarebbe stata in grado di soddisfare le pretese creditorie azionate nella stessa. Tale deduzione era ribadita dagli istanti anche dopo l'emanazione ad opera del d.l. n. 132/2014, conv. in l.n. 162/2014, dell'art. 164-bis disp. att. c.p.c. che ha attribuito al giudice dell'esecuzione il potere di disporre, anche d'ufficio, la chiusura anticipata della procedura di espropriazione immobiliare “quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo”.

L'istanza non era considerata dal giudice dell'esecuzione che, senza un rigetto espresso della stessa, poneva in vendita ed aggiudicava il bene. Il decreto di trasferimento in favore dell'aggiudicatario era quindi oggetto di opposizione ex art. 617 c.p.c.

Nella fase di merito di tale opposizione, il Tribunale adito rigettava la stessa adeguandosi, in primo luogo, quanto al prezzo “giusto” di vendita ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità per la quale è possibile sospendere per il giudice dell'esecuzione la vendita ex art. 586 c.p.c. solo ove la riduzione del prezzo rispetto a quello “giusto” sia derivata da interferenze illecite nella procedura di vendita forzata (es. la classica “turbativa d'asta).

Con riferimento alla questione fondata sulla necessità di disporre la chiusura anticipata della procedura esecutiva ai sensi dell'art. 164-bis disp. att. c.p.c., il Tribunale sottolineava, a dispetto della posizione degli opponenti, che l'istituto non tutela anche l'interesse del debitore e che, in ogni caso, nella fattispecie concreta, gli esiti della vendita avrebbero potuto assicurare una fruttuosità, almeno parziale, dell'esecuzione immobiliare.

I debitori esecutati proponevano contro tale decisione (resa in unico grado di merito in quanto su opposizione agli atti esecutivi) ricorso per cassazione.

La S.C. nel rigettare il ricorso svolge alcune importanti considerazioni sul sistema delle vendite forzate e sulle finalità della procedura esecutiva.

La questione

Tra le diverse questioni processuali affrontate dalla Suprema Corte nella pronuncia in esame, quella di maggiore attualità, in mancanza di precedenti sulla stessa nella giurisprudenza di legittimità, attiene ai presupposti in presenza dei quali, in considerazione della ratio della norma, il giudice dell'espropriazione immobiliare può disporre la chiusura anticipata della procedura esecutiva per infruttuosità ex art. 164-bis disp. att. c.p.c.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione, prima di esaminare le censure dei ricorrenti concernenti lo svolgimento della procedura esecutiva, effettua alcune importanti considerazioni che consentono di inquadrare le questioni prospettate.

In particolare, la S.C. ricorda che, come più volte affermato, in sede di interpretazione delle garanzie dell'equo processo civile dalla stessa Corte europea dei diritti dell'uomo, la tutela esecutiva costituisce componente indefettibile dell'effettività della tutela giurisdizionale, sicché, sebbene nell'espropriazione debba essere assicurato il minor aggravio possibile per il debitore, finalità dell'esecuzione forzata è soddisfare i diritti dei creditori, diritti nel prisma dei quali devono essere considerate le norme dedicate all'espropriazione forzata ed i poteri attribuiti al giudice dell'esecuzione nell'ambito della stessa.

Ciò premesso, per quanto specificamente rileva in questa sede, rispetto al motivo di ricorso concernente i presupposti per la chiusura anticipata dell'espropriazione immobiliare per infruttuosità ai sensi dell'art. 164-bis disp. att. c.p.c.

In primo luogo, e su un piano generale, la Corte di cassazione condivide le argomentazioni del Tribunale quanto alla finalità della norma, evidenziate peraltro nella stessa Relazione al d.l. n. 132/2014, non già nella tutela del debitore esecutato ad evitare un depauperamento della propria sfera patrimoniale, come invece dedotto dai ricorrenti, bensì nella tutela dell'interesse dell'amministrazione della giustizia ad evitare, con inutile dispendio di risorse processuali, l'indefinita prosecuzionedi procedure esecutive inidonee a consentire il soddisfacimento degli interessi dei creditori.

Pertanto, sottolinea la S.C., nell'applicare la norma la valutazione che è chiamato ad effettuare il giudice dell'esecuzione è quella di evitare che proseguano procedure esecutive manifestamente inidonee a produrre un apprezzabile soddisfacimento dell'interesse dei creditori come avviene, ad esempio, quando i costi di un nuovo tentativo di vendita sarebbero maggiori del presumibile valore di realizzo dei beni.

Invero, costituirebbe un'eterogenesi dei fini del processo esecutivo, non più consentita nell'ordinamento a seguito dell'emanazione dell'art. 164-bis disp. att. c.p.c., ridurne la finalità a quella di «generare soltanto altri costi, aumentando il carico della debitoria preesistente che aveva invece lo scopo istituzionale di soddisfare».

Questo implica, prosegue la Corte di legittimità nella pregevole motivazione della decisione, che prima di disporre la chiusura anticipata della procedura esecutiva ex art. 164 disp. att. c.p.c. il giudice sperimenti fattivamente tutte le potenzialità offerte dalla disciplina normativa per consentire una vendita del bene ad un prezzo che possa soddisfare, almeno in parte, le ragioni dei creditori, utilizzando ad esempio le modalità della custodia “attiva” o potenziando le forme di pubblicità o, ancora, emettendo, ove non avvenuto, l'ordine di liberazione del bene.

Inoltre, prima di disporre la chiusura anticipata della procedura, il giudice dovrà valutare l'opportunità di una rinnovazione della stima del cespite, considerando anche fatti nuovi o imprevisti, ovvero l'utilità dell'amministrazione giudiziaria, istituto quest'ultimo, peraltro, utilizzabile solo nelle ipotesi in cui la riduzione di prezzo del bene sia dovuta a circostanze di carattere contingente (traducendosi, in mancanza, la misura in un ulteriore inutile costo per la procedura).

Solo una volta che il giudice dell'esecuzione abbia operato queste complesse valutazioni ed operato fattivamente nel senso indicato potrà allora disporre la chiusura anticipata della procedura esecutiva nelle seguenti ipotesi: quando il bene sia invendibile; quando dall'aggiudicazione possa trarsi un prezzo utile solo ai costi della nuova vendita o agli oneri futuri dalla procedura; ove la vendita consenta di soddisfare i creditori, per sorte capitale ed interessi solo in maniera irrisoria.

Osservazioni

La decisione in commento – oltre a segnalarsi per essere la prima, in sede di legittimità, ad affrontare la delicata e discussa questione dei presupposti entro i quali il giudice dell'esecuzione può disporre la chiusura anticipata della procedura esecutiva per infruttuosità – è condivisibile laddove in base ad una corretta ricostruzione delle finalità dell'espropriazione forzata contempera in modo ragionevole l'interesse dell'amministrazione della giustizia ad evitare la prosecuzione di procedimenti esecutivi sine die con l'indiscusso principio per il quale dominus dell'esecuzione è il creditore titolato.

Ciò implica che il potere di cui all'art. 164-bis disp. att. c.p.c. – norma che non brilla per chiarezza quanto ai presupposti ampi ai quali sembra ancorare le valutazioni discrezionali del giudice dell'esecuzione a riguardo – debba essere esercitato con estrema cautela, nel senso di disporre la chiusura anticipata della procedura solo nelle ipotesi-limite nelle quali, come ha evidenziato la S.C., si andrebbero con il prezzo di aggiudicazione a coprire esclusivamente i nuovi costi della procedura ovvero si andrebbero a soddisfare i creditori in modo irrisorio.

Solo sotto quest'ultimo profilo, sarebbe stata opportuna qualche precisazione ulteriore da parte della Corte di cassazione, in quanto tanto in dottrina quanto nella giurisprudenza di merito che ha esaminato la questione, sono emersi modi molto diversi di intendere le inadeguate modalità di soddisfazione dei creditori, talvolta parametrando le stesse al valore dei crediti rispetto a quello nel quale il bene è stato posto in vendita. Paradossali sarebbero, con evidenza, rispetto ai diritti dello stesso ceto creditorio, le conseguenze dell'impostazione per la quale la chiusura anticipata della procedura esecutiva andrebbe disposta ogni qual volta la vendita non possa soddisfare il credito che nella misura del 10%-15%: ciò significherebbe, ad esempio, chiudere per infruttuosità una procedura nella quale deve essere posto in vendita un bene all'importo di 200.000,00 euro, anche al primo tentativo, sol perché i crediti azionati nella procedura superino un milione di euro!

Come effetti delle pronunce dichiarative di illegittimità costituzionale, problema solo dei rapporti esauriti e qui no, necessità nuova norma di ricominciare daccapo giudizio di fatto per il quale la Corte è inidonea, non operando che come giudice di legittimità istituzionalmente deputato allo svolgimento della propria funzione nomofilattica.

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