Titolo esecutivo giudiziale, mutamenti nella giurisprudenza euro-unitaria e poteri del giudice dell'esecuzione
27 Luglio 2020
Massima
Valuti la Corte di giustizia dell'Unione europea se e a quali condizioni gli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e l'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE ostino rispetto alla circostanza per cui, nell'ambito dell'ordinamento nazionale, a fronte di un giudicato implicito sulla mancata vessatorietà di una clausola contrattuale è precluso al giudice dell'esecuzione, chiamato a decidere su un'opposizione all'esecuzione proposta dal consumatore, rilevare tale vessatorietà e se una simile preclusione possa ritenersi esistente anche là dove, in relazione al diritto vivente in essere al momento della formazione del giudicato, la valutazione della vessatorietà della clausola era impedita in ragione della non qualificabilità del fideiussore come consumatore. Il caso
Un istituto bancario instaurava un procedimento di espropriazione immobiliare sulla base di un decreto ingiuntivo non opposto, emesso in favore della banca procedente e nei confronti, tra l'altro, dei due debitori esecutati nella qualità di fideiussori di una società. Nell'ambito della predetta procedura intervenivano, inoltre, ulteriori istituti bancari, tutti sulla base di titoli esecutivi costituiti da decreti ingiuntivi non opposti, emanati sulla base di altri contratti di fideiussione stipulati dai medesimi debitori esecutati. Il giudice dell'esecuzione disponeva l'acquisizione dei contratti di fideiussione e di altra documentazione relativa alla qualità soggettiva delle parti, da ultimo ritenendo che uno dei due debitori esecutati fosse qualificabile come consumatore sulla base della più recente e sopravvenuta giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (su cui si veda CGUE, 14 settembre 2016, C-534/15, Dumitras; CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Tarcàu e, nella giurisprudenza di legittimità, Cass. civ., 13 dicembre 2018, n. 32225; all'orientamento precedente possono invece essere ascritte le seguenti pronunce: CGUE, 17 marzo 1998, C-45/96, Dietzinger; e nell'ordinamento italiano, Cass. civ., 9 agosto 2016, n. 16827; Cass. civ., 29 novembre 2011, n. 25212). Alla luce di ciò, il debitore-consumatore proponeva opposizione all'esecuzione, contestando la validità dei titoli esecutivi azionati dai creditori, in quanto nella documentazione contrattuale posta alla base dei decreti ingiuntivi non opposti sarebbero state presenti numerose clausole vessatorie, ai sensi dell'art. 33, comma 2, lett. t) e u), d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (cd. codice del consumo). La questione
A fronte dell'opposizione promossa dal debitore esecutato, il giudice dell'esecuzione ha ritenuto di dover preliminarmente verificare se il mancato esperimento da parte del debitore dei rimedi cognitivi finalizzati a far valere un'eccezione relativa alla (sopravvenuta) applicabilità di una norma di origine euro-unitaria in materia di clausole vessatorie, precluda al giudice dell'esecuzione il compito di verificare, per la prima volta, la validità del titolo su cui si fonda l'esecuzione forzata. Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale di Milano ha quindi ricostruito brevemente il quadro normativo interno, con particolare riferimento, innanzitutto, agli effetti della mancata proposizione dell'opposizione a decreto ingiuntivo, da cui, come noto, deriva l'acquisizione dell'autorità di giudicato sia della pronuncia esplicita oggetto della decisione che in relazione alle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico (tra molte, Cass. civ., 24 settembre 2018, n. 22465, Cass. civ., 28 novembre 2017, n. 28318; Cass. civ., 26 giugno 2015, n. 13207). Inoltre, il Tribunale ha esaminato il rapporto esistente tra i rimedi esperibili dal debitore esecutato in sede cognitiva avverso il titolo esecutivo giudiziale e l'opposizione all'esecuzione, là dove, secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte, la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere fondata su vizi di formazione del provvedimento solo quando questi ne determinino l'inesistenza giuridica, atteso che gli altri vizi e le ragioni di ingiustizia della decisione possono essere fatti valere, ove ancora possibile, solo nel corso del processo in cui il titolo è stato emesso (Cass. civ., 18 febbraio 2015, n. 3277; Cass. civ., 21 aprile 2011, n. 9205). Di conseguenza, il Tribunale ha ripercorso con dovizia di richiami la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea in tema di limiti all'autonomia degli Stati membri nella disciplina del processo (§ 3), di doveri del giudice in materia di tutela del consumatore (§ 4) e di cedevolezza del giudicato (§ 5), per poi arrivare a dubitare della compatibilità dell'ordinamento nazionale con gli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e con l'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, segnatamente nella parte in cui si ritiene precluso al debitore di far valere in sede esecutiva (e, quindi, al giudice dell'esecuzione di conoscere) motivi di contestazione che si sarebbero dovuti proporre in sede di impugnazione, anche in presenza di un diritto vivente che di fatto impediva al debitore/consumatore di sollecitare in precedenza un controllo sulla validità di clausole ritenute vessatorie. In considerazione di quanto precede, il giudice dell'esecuzione ha quindi deciso di effettuare un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE sulle due questioni compendiate nella massima riportata in epigrafe. Osservazioni
L'ordinanza in commento, ponendosi in linea di continuità con i principi affermati dalle decisioni della Corte di giustizia 16 febbraio 2016, C-49/14, Zambrano, e 21 giugno 2016, C-122/14, Aktiv Kapital Portflolio As, pare auspicare un ulteriore intervento della giurisprudenza europea, finalizzato a garantire la massima tutela dei consumatori a discapito dell'istituto del giudicato. Nel caso che ha dato luogo alla prima delle pronunce sopra richiamate e che costituisce il leading case sull'argomento, la Corte di giustizia era stata interrogata sulla compatibilità del divieto di rilevare l'abusività di una clausola contrattuale nella fase esecutiva, anche se successiva al procedimento monitorio, che una modifica al codice di procedura civile spagnolo aveva riservato al Secretario Judicial, ausiliario paragonabile al cancelliere, precludendo al debitore di chiedere l'intervento del giudice al di fuori del caso in cui ritenesse non corretto l'importo richiesto dall'istante. In quell'occasione, pur ritenendo che l'obbligo di un controllo nella fase esecutiva poteva affermarsi solo «a titolo di eccezione e in mancanza di una soluzione migliore», la Corte aveva consentito il superamento del giudicato sul presupposto per cui, prima dell'instaurazione del processo esecutivo, non vi era stato un giudice abilitato a eseguire il controllo di abusività. La pronuncia in questione, pur afferendo ad un'eventualità del tutto peculiare e in via di principio inidonea a conferire valore dirompente alla sentenza in questione, ha posto però con forza il problema, per la prima volta, anche agli studiosi e agli operatori della materia processuale, della possibilità che si ammetta il superamento del giudicato in tutti quei casi in cui risulti dagli atti che un giudice, pur avendone la possibilità, non abbia concretamente affrontato il problema dell'abusività. I predetti principi potrebbero essere applicati al caso esaminato dal Tribunale di Milano, atteso che, secondo l'orientamento dell'epoca della stessa Corte di giustizia dell'UE, il debitore ingiunto non era qualificabile come consumatore e non aveva dunque potuto chiedere l'applicazione della disciplina relativa alle clausole vessatorie mediante la proposizione dell'opposizione di cui agli artt. 645 ss. c.p.c. In senso contrario, si potrebbe, tuttavia, ritenere che, nel caso in esame, il giudice dell'esecuzione non possa sindacare la validità delle clausole contenute nel negozio sulla cui base era stato emanato il decreto ingiuntivo non opposto, atteso che, come affermato dalla medesima Corte di giustizia, la valenza esegetica retroattiva di cui godono le proprie sentenze interpretative non può travolgere il giudicato formatosi su una determinata questione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto europeo (CGUE, 10 luglio 2014, C-213/13, Impresa Pizzarotti; CGUE, 16 marzo 2006, C-234/04, Kapferer).
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