Rapporti fiscali tra consorzio e consorziate

25 Agosto 2020

In caso di aggiudicazione di commessa pubblica ad un'associazione temporanea di imprese, seguita dalla costituzione di società consortile, alla società consorziata, che partecipa con una determinata percentuale all'associazione, va attribuito, nella medesima percentuale, a titolo di ricavi, il corrispettivo pagato dalla stazione appaltante...
Massima

In caso di aggiudicazione di commessa pubblica ad un'associazione temporanea di imprese, seguita dalla costituzione di società consortile, alla società consorziata, che partecipa con una determinata percentuale all'associazione, va attribuito, nella medesima percentuale, a titolo di ricavi, il corrispettivo pagato dalla stazione appaltante, con obbligo di indicare in bilancio le rimanenze di ogni anno, mentre i costi, ove contestati dall'Agenzia delle Entrate, devono essere dimostrati dal contribuente nella loro esistenza, inerenza e quantificazione, senza la cui dimostrazione non possono essere attribuiti alla società consorziata, nemmeno nella medesima percentuale dei ricavi.

Il caso

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza in commento, ha chiarito molti, rilevanti, profili in tema di effetti e rapporti fiscali tra consorzio e consorziate.

Nel caso di specie, la società contribuente partecipava ad una associazione temporanea di imprese per la costruzione di una discarica.

L'Associazione temporanea si aggiudicava la commessa pubblica e le imprese del raggruppamento costituivano quindi, per l'esecuzione dei lavori, una società consortile, al fine di operare come unico centro di costi per la realizzazione dell'opera.

La società consortile evidenziava nella propria contabilità, oltre ai costi sostenuti, che sarebbero stati poi ad essa rimborsati dalle società che componevano l'ATI, anche la valorizzazione dell'opera mediante stati di avanzamento lavori. Le imprese associate, invece, non indicavano nella loro contabilità le quote proporzionali di dette valorizzazioni, costituenti componenti positive per ciascuna società.

La Guardia di finanza, quindi, rilevava, a carico della società contribuente oggetto di verifica, la quota di incremento del valore delle rimanenze, per più di due milioni di euro, pari alla differenza tra il valore dell'opera contabilizzato l'anno precedente ed il valore della stessa come risultante all'ottavo stato di avanzamento dei lavori.

L'Agenzia delle Entrate emetteva poi avviso di accertamento, determinando un maggiore reddito e liquidando maggiori imposte Irpeg, Iva ed Irap, oltre alle sanzioni.

La contribuente impugnava l'avviso di accertamento, rilevando che i rapporti delle società "consorziate" dovevano essere regolati con l'emissione di fatture con cui le stesse si ripartivano i costi ed i relativi ricavi solo al verificarsi dei presupposti per l'emissione delle stesse fatture, non avendo la normativa previsto un regime di imputazione delle rimanenze della società consortile per "trasparenza".

La Commissione Tributaria Provinciale riteneva legittima l'attribuzione alla contribuente di ricavi per una il 37% della quota di partecipazione all'ATI, attribuendole però anche parte dei costi di competenza, assegnati alla contribuente nella medesima misura del 37%.

La società proponeva quindi appello avverso tale decisione, affermando, tra le altre, che non dovevano essere annotati costi e ricavi in contabilità nella misura del 37%.

L'Agenzia delle Entrate, per conto suo, proponeva appello incidentale, sostenendo, tra le altre, che i costi erano fittizi e, quindi, indeducibili, sicché non potevano essere ribaltati in capo alle società consorziate.

La Commissione Tributaria Regionale rigettava entrambi gli appelli.

Avverso tale sentenza la società contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, che i giudici però ritenevano infondato.

La questione

Con il raggruppamento temporaneo di imprese non si crea un soggetto giuridico nuovo ed autonomo rispetto ai partecipanti, come nel caso del consorzio con attività esterna di cui all'art. 2602 c.c., in quanto i singoli partecipanti mantengono ciascuno la propria piena autonomia, avendo il contratto contenuto atipico ai sensi dell'art. 1322 c.c., con effetti obbligatori inter partes, ma non verso i terzi (tanto che non può essere dichiarato il fallimento del raggruppamento temporaneo), mantenendo le singole imprese associate autonoma personalità giuridica (Cass., 30 gennaio 2003, n. 1396).

L'appalto, dunque, non diventa "comune" alle imprese riunite, in quanto ciascuna di esse conserva la piena autonomia operativa nella realizzazione della parte di opera che le compete.

L'ATI non costituisce pertanto un'impresa unitaria, che esercita la propria attività in modo indipendente sopportando individualmente il relativo rischio (e quindi, non configurando un unitario soggetto passivo Iva, non può neppure avvalersi del metodo del reverse charge ai fini dell'assolvimento di detta imposta - Cass., 23 novembre 2018, n. 30354).

Le imprese riunite (o associate) possono, comunque, costituire tra loro una società consortile, che si limita tuttavia solo alla esecuzione delle opere, mentre il contratto di appalto resta fermo tra la stazione appaltante e l'ATI, che lo stipula tramite la mandataria dell'associazione temporanea, che opera in virtù di mandato collettivo, gratuito ed irrevocabile.

Resta, in ogni caso, la responsabilità solidale delle società che fanno parte dell'ATI (sia della mandataria che delle mandanti) e i lavori eseguiti dalla società consortile restano riferiti alle singole imprese riunite secondo le rispettive quote di partecipazioni alla società. E nei rapporti con la stazione appaltante le società dell'ATI hanno quindi diritto al compenso in relazione alle rispettive quote di partecipazione.

Quanto ai profili fiscali, con riferimento alla società consortile, essa sostiene i costi per l'esecuzione dell'opera aggiudicata all'ATI, ma riceve da ciascuna delle società consorziate la quota parte delle spese sostenute. In tal modo, la società consortile, proprio per la sua natura mutualistica, avrà un bilancio sempre chiuso in pareggio.

Pertanto, la società consortile deve "ribaltare" i costi sostenuti per l'esecuzione delle opere alle società consorziate, emettendo le relative fatture attive. La società consortile non deve infatti conseguire l'utile dell'opera da dividere tra le imprese riunite, né correre l'alea dell'opera stessa, in quanto il risultato finale dell'operazione, in utile o in perdita che sia, per quanto sopra detto, si produce direttamente in capo alle imprese riunite (o in associazione).

Le società consorziate, invece, hanno come ricavi il compenso che proviene dalla stazione appaltante come corrispettivo delle opere realizzate dalla società consortile (Cass., 24 febbraio 2015, n. 3651; Cass., 29 ottobre 2008, n. 25944; Cass., 2 novembre 2001, n. 13582), e deducono i costi relativi ai pagamenti effettuati in favore della società consortile per le opere da essa realizzate, potendo anche dedurre i costi sostenuti per ripianare le perdite della società consortile se e nella misura in cui siano correttamente imputati al conto profitti e perdite, e sempre che ne sia certa l'esistenza e comprovata l'inerenza (Cass., 29 ottobre 2008, n. 25944).

Il conto economico della società consortile viene pertanto, in sostanza, inciso, nel "dare", dai costi dei beni e servizi acquisiti per eseguire l'oggetto dell'appalto e, nell'avere", dai contributi o compensi periodici versati dalle imprese a copertura di tali costi, sostenuti dalla società.

Le soluzioni giuridiche

Tanto premesso, secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato.

Evidenziano infatti i giudici di legittimità che, a differenza di quanto deduceva la contribuente, le società consorziate sono comunque tenute ad indicare nella propria contabilità le opere man mano realizzate con i vari stati di avanzamento dei lavori.

Era dunque errata la tesi della ricorrente, secondo cui solo dal momento della ricezione delle fatture passive provenienti dalla società consortile le consorziate procedono alle necessarie indicazioni in bilancio.

In realtà, rileva la Cassazione, poiché il contratto intercorre tra la stazione appaltante e l'ATI, con sottoscrizione del contratto da parte della mandataria dell'associazione temporanea di imprese, mentre la società consortile si limita alla esecuzione dei lavori senza subentrare in alcun modo nel rapporto negoziale con la stazione appaltante (né a titolo di subappalto né di cessione del contratto), allora i costi sono sempre costituiti dai contributi o compensi versati alla società consortile ed i ricavi dalle somme corrisposte dal committente sulla base dei corrispettivi pattuiti, sicchè il risultato positivo o negativo dell'opera si realizza comunque in capo alle singole imprese.

Conseguentemente, i lavori in corso di esecuzione vanno indicati, per la quota di spettanza di ciascuna società consorziata, facente parte dell'ATI, nelle proprie rimanenze finali. E pertanto, il giudice di appello aveva correttamente affermato che, poiché le opere realizzare dalla società consortile ammontavano ad Euro 2.539.452,25, era legittimo attribuire alla società consorziata, facente parte, come detto, dell'ATI nella misura del 37%, proprio il 37% dei ricavi, pari ad Euro 939.597,33.

La Corte di Cassazione accoglieva invece il ricorso incidentale l'Agenzia delle Entrate, in quanto il ribaltamento dei costi proporzionali (37%) alla quota di partecipazione nella società consortile non era nella specie condivisibile, in quanto dal processo verbale di constatazione della Guardia di finanza emergeva che si trattava di costi fittizi, e quindi indeducibili, non risultando da elementi certi.

I giudici di legittimità rilevano a tal proposito che, se i ricavi potevano conteggiarsi nella proporzione di partecipazione della contribuente all'ATI, e quindi nella misura del 37%, non era invece possibile collegare i costi a tali ricavi nella medesima misura proporzionale, in quanto i costi erano stati contestati nella loro esistenza.

Pertanto, una volta contestata da parte della Agenzia delle Entrate l'esistenza e l'inerenza di tali costi, era onere della contribuente fornire adeguata dimostrazione non solo della loro esistenza, ma anche della loro inerenza all'attività svolta dalla società quale società consortile.

Osservazioni

Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali, giova anche evidenziare quanto segue.

Il tema della disciplina fiscale applicabile alle società consortili, con particolare riguardo alla questione del "ribaltamento" sulle società consorziate dei costi e ricavi derivanti dalla esecuzione delle commesse, è già stato esaminato dalla Cassazione con la sentenza S.U. n.12190 del 19.4.2016, che ha stabilito i seguenti principi di diritto:

1) la funzione mutualistica dei Consorzi, desumibile dall'art.2602 c.c., non è ostativa allo svolgimento, da parte della società consortile, di una distinta attività commerciale con scopo di lucro;

2) nel caso in cui sussista una differenza tra quanto fatturato dal Consorzio al terzo committente e quanto fatturato dalla società consorziata esecutrice dei lavori al Consorzio, è onere della consorziata fornire la prova dettagliata che tale differenza non è ascrivibile ad una quota di ricavi occultati mediante compensazione tra consorzio e consorziata, anziché essere riaccreditati al consorziato, ma è costituita da costi delle spese di gestione generale ripartiti tra i singoli consorziati ed addebitata ad essi in occasione della commissione dei lavori, oppure da costi di specifici servizi forniti dal consorzio al consorziato, oppure da provvigioni dovute dal consorziato mandante al consorzio mandatario senza rappresentanza;

3) con specifico riguardo all'Iva, poi, a norma dell'art.3, comma 3, ult. periodo e art.13, comma 2, lett.b) d.P.R. 26 ottobre 1972 n.633, deve esservi piena corrispondenza tra la base imponibile fatturata dal Consorzio al terzo committente e quella fatturata dall'impresa consorziata al Consorzio mandatario, salvo la rilevanza fiscale della eventuale provvigione, qualora il contribuente dimostri che la stessa sia stata formalmente pattuita.

Il “ribaltamento” dei costi dal consorzio alle imprese consorziate, affinché sia fiscalmente legittimo, deve comunque avvenire previa specifica individuazione della natura e causale degli stessi costi, in particolare sotto il profilo dell'inerenza.

Del resto, per concludere, nel mandato senza rappresentanza, come appunto quello proprio dei consorzi, anche da un punto di vista civilistico, il mandatario (consorzio) è un soggetto giuridicamente autonomo dal mandante (consorziata) ed agisce in nome proprio, acquistando quindi diritti ed assumendo obblighi direttamente nei confronti del contraente, anche se il contratto riguarda interessi propri del mandante.

Tale “separazione” è poi ancora più netta laddove venga costituita una società consortile, perché questa, a differenza del semplice consorzio, è retta dalla disciplina tipica della forma societaria adottata, differenziandosi dalle altre società per il solo fatto di avere un particolare oggetto sociale, quale appunto quello relativo all'attività consortile.

E il rapporto tra la società consortile e ciascuna impresa socia è riconducibile ad un normale rapporto fra socio e società, anche sotto il profilo dell'inerenza.I riflessi fiscali delle operazioni poste in essere dai consorzi devono essere quindi esaminati caso per caso, sulla base del contenuto dell'atto costitutivo e in dipendenza della natura attribuibile alle operazioni compiute, laddove, in via generale, come confermato anche dalla pronuncia in commento, da un punto di vista contabile si assisterà al riaddebito alle consorziate dei costi, sostenuti dal consorzio in nome proprio e per loro conto, e all'accredito dei ricavi conseguiti dal consorzio, in nome proprio e per conto delle consorziate, in proporzione delle rispettive quote di partecipazione.

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