Il condominio é responsabile per i danni causati dai beni ed impianti comuni in custodia, salvo che non provi il caso fortuito

Nicola Frivoli
23 Settembre 2020

Il giudice del gravame è stato chiamato a riformare la pronuncia di prime cure in ordine ai danni subiti da alcuni condomini per il crollo del solaio di copertura di uno stabile a causa della cattiva esecuzione di lavori espletati dall'impresa appaltatrice dei lavori ed in forza della responsabilità per custodia del condominio.
Massima

In tema di contratto di appalto in condominio, sullo stato di manutenzione dell'edificio e del solaio, la compagine condominiale risponde a titolo di responsabilità ex art. 2051 c.c., per mancata custodia del bene comune, non avendo fornito la prova liberatoria del caso fortuito.

Il caso

Un condominio appellava la sentenza di primo grado, del Tribunale competente, indicando motivo del gravame quello che le opere realizzate dall'impresa appellata non fossero state eseguite a regola d'arte, eccependo l'erronea interpretazione delle risultanze istruttorie da parte del giudice adito, in virtù del crollo del solaio, nel corso dell'esecuzione dei lavori, che ne sarebbe la prova evidente.

Tale crollo avrebbe, altresì, creato danni agli appartamenti sottostanti di diversi condomini.

Nella pronuncia di prime cure, veniva confermato il decreto ingiuntivo emesso in favore della ditta appaltatrice, e rigettata la spiegata domanda riconvenzionale del condominio, circa la riduzione del prezzo dell'appalto per un importo pari a quello ingiunto, o di una diversa somma che sarebbe stata accertata in corso di causa.

Si costituiva l'impresa-appellata, nei termini di legge, il quale eccepiva l'infondatezza dell'assunto di parte appellante poiché i motivi del gravame erano da considerarsi non accoglibili, chiedendo la conferma della sentenza impugnata, alla luce di due contratti di appalto stipulati con la compagine condominiale, quello iniziale per il rifacimento del manto di impermeabilizzazione della guaina del terrazzo, il secondo contratto, conseguente il crollo del solaio, riguardavano la demolizione e rifacimento del detto lastrico solare.

L'oggetto del gravame verteva sull'approfondimento della CTU tecnica espletata e sulle responsabilità susseguenti in capo alla ditta appaltatrice e sulla responsabilità per custodia del condominio sui beni comuni.

La Corte distrettuale pugliese rigettava l'appello, confermando la sentenza di primo grado, condannando, altresì, l'appellante a rifondere le spese processuali in favore dell'appellato.

La questione

Si trattava di accertare e verificare la sussistenza dei motivi di riforma della pronuncia di prime cure emessa dal Tribunale barese: tali aspetti sono stati esaminati dal giudice del gravame, il quale ha ritenuto del tutto infondati i motivi di doglianza dell'appellante-condominio.

Dunque, la sentenza di primo grado veniva confermata e rigettato l'appello richiesto dalla compagine condominiale-appellante, con condanna a rifondere le spese processuali in favore dell'impresa-appellata.

Le soluzioni giuridiche

In linea di principio, è stata ritenuta corretta l'affermazione contenuta nella pronuncia della Corte distrettuale pugliese, secondo cui è stata dichiarata l'infondatezza dei motivi posti a fondamento dell'appello proposto dall'appellante-condomino, con soccombenza, in capo a quest'ultimo, delle spese processuali.

Infatti, il giudice del gravame, da un attento esame della fase istruttoria espletata, in particolare dal riesame della CTU tecnica, ha rilevato, l'infondatezza dell'appello proposto dal condominio e la conferma della pronuncia di primo grado del Tribunale competente.

La decisione si è fondata sul principio che la relazione tecnica d'ufficio, depositata da tecnico incaricato, è legittima e non ci sono motivi di riserva sul contenuto.

Infatti, è emerso, senza ombra di dubbio, che il crollo del solaio sia imputabile alla ditta appaltatrice, per i lavori non eseguiti a regola d'arte e per i susseguenti danni causati ai condomini sottostanti alla copertura dello stabile, per la negligenza dell'impresa che non ha puntellato il detto solaio indebolendo della struttura.

Per quanto ne consegue le cause del crollo, ed i conseguenti danni, sono stati correttamente individuati e quantificati dal primo giudice che ne ha posto la responsabilità a carico dell'impresa.

Inoltre, il Tribunale barese ha ritenuto responsabile, ex art. 2051 c.c., il condominio perché non ha fornito la prova liberatoria, avendone l'onere, di aver vigilato sullo stato di manutenzione del fabbricato e sul solaio, già gravemente compromesso da copiose precipitazioni, come segnalato da diversi condomini. Il tardivo avvio dei lavori di manutenzione costituisce un concorrente profilo di responsabilità, atteso che l'attento monitoraggio del solaio ed il pronto intervento di ripristino delle parti degradate avrebbe in ogni caso evitato danni nelle singole unità.

Va precisato che il condominio, inteso, ovviamente, come l'insieme dei condomini, esso è certamente custode dei beni comuni” esemplificativamente indicati dall'art. 1117 c.c. (ad esempio, tetto, fondamenta, muri maestri, suolo, impianti comuni). Tra i beni comuni, dei quali il condominio è custode, rientrano gli impianti ed i servizi comuni. In ordine a tali beni, pertanto, qualora si verifichi un danno a terzi, il condominio ne risponde ai sensi dell'art 2051 c.c. Per completezza, la custodia è quella situazione di disponibilità di fatto e di diritto che consente al custode di poter escludere chiunque dal controllo e dall'utilizzo della cosa, assumendo egli solamente i rischi derivanti dalla cosa stessa L'art 2051 c.c. prevede un'ipotesi di responsabilità oggettiva e il custode può andarne esente solo se prova il caso fortuito, intesi come ogni fatto estraneo alla sfera del custode, dotato di impulso causale autonomo che sia imprevedibile ed inevitabile da parte del custode, comprensivo, altresì delle ipotesi del fatto del terzo e del comportamento colposo del danneggiato, restando a carico del custode l'ipotesi della causa ignota. Il custode-condominio, quindi, ha l'onere di provare una causa che avendo i requisiti dell'autonomia, dell'eccezionalità, dell'imprevedibilità, dell'inevitabilità integri il caso fortuito (Cass. civ., sez. II, 12 luglio 2011, n. 15291; Cass.civ., sez. III, 9 marzo 2010, n. 5658).

La decisione presa nella fattispecie posta al vaglio del giudice del gravame, il condomino-appellante non ha fornito alcuna prova liberatoria in ordine all'aver vigilato sullo stato di manutenzione dell'edificio e, in particolare, del solaio (ex art. 1130, n.4, c.c., esercitato, di regola, a mezzo dell'amministratore) è sicuramente condivisibile.

In conclusione, la responsabilità del condominio, come detto, trova fondamento nel negligente esercizio della custodia della parte comune da cui il danno da riparare ha avuto origine e l'inosservanza dei connessi doveri conservativi fanno capo anche alla compagine condominiale (Cass. civ., sez.un., 21 novembre 2011, n.24406).

Osservazioni

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia (art. 2051 c.c.), quindi, ha carattere oggettivo e funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta (Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2005, n. 5326).

Ciò significa che, per il configurarsi della fattispecie di cui all'art. 2051 c.c., è sufficiente la sussistenza del nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, mentre non rileva la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia non presuppone, né implica, uno specifico obbligo di custodia analogo a quello previsto per il depositario, dovendosi considerare che la funzione di detta norma è quella di imputare la responsabilità a chi di fatto si trova nella condizione di controllare i rischi della cosa.

Proprio per ciò, va precisato che l'art. 1130, comma 1, n. 4), c.c. fa riferimento agli “atti conservativi relativi alle parti comuni”, attraverso tale disposizione l'amministratore deve tutelare il diritto di proprietà dei condomini sui beni e gli impianti comuni, da atti o fatti compiuti da terzi o dai condomini stessi, che possono pregiudicare o mettere in pericolo il diritto stesso.

L'amministratore, pertanto, in forza dei poteri di azione e rappresentanza processuale conferitigli dal successivo art. 1131 c.c., può agire nei confronti di chi utilizzi in proprio il bene comune e ne faccia un uso non consentito; di chi compia atti idonei a compromettere l'integrità del bene; di chi imbratti o deteriori la cosa comune; di chi turbi o minacci il pacifico godimento comune dei beni e servizi, ecc. In questo senso si era affermato che l'amministratore del condominio non è legittimato a concludere il contratto di assicurazione del fabbricato se non abbia ricevuto l'autorizzazione da una deliberazione dell'assemblea dei partecipanti alla comunione (Cass. civ., sez. II, 3 aprile 2007, n. 8233).

Va ribadito la piena libertà di azione dell'amministratore, a prescindere da qualsiasi preventiva autorizzazione assembleare, in tutte le ipotesi in cui occorra tutelare le ragioni dei condomini inerenti alle parti comuni, riconoscendo che l'amministratore è abilitato non solo a chiedere i provvedimenti cautelari (Cass. civ., sez. II, 1 ottobre 2008, n. 24391) o ad esperire le azioni a difesa del possesso (Cass. civ., sez. II, 15 maggio 2002, n. 7063 con riferimento all'azione di reintegrazione relativa a parti comuni dell'edificio; Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2007, n. 16631), ma anche a promuovere le azioni giudiziali ordinarie nei confronti di chi pretenda di acquistare diritti spettanti ai condomini o contro il condomino che abusi della cosa comune (Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1986, n. 6593).

La tutela dei diritti dei condomini si esplica anche sul piano penale e consente all'amministratore di promuovere le relative azioni anche nei confronti di coloro che si rendano responsabili di danneggiamento o imbrattamento dei beni condominiali (Cass. pen., 26 gennaio 2001, n. 19678; Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2002, n. 9055).

In particolare, con riguardo alle azioni contro l'appaltatore per gravi difetti dell'immobile si è rilevato che costituisce principio pacifico che l'amministratore del condominio, anche se privo della preventiva autorizzazione dell'assemblea, è legittimato a proporre l'azione di cui all'art. 1669 c.c., relativa ai gravi difetti di costruzione che possono pregiudicare le parti comuni dell'edificio (Cass. civ., sez, II, 1 agosto 2006, n. 17484).

Ne consegue la responsabilità dell'amministratore di condominio nel caso di inerzia dall'esercizio di tutela della proprietà dei beni comuni e per non aver vigilato sullo stato di manutenzione dell'edificio gestito.

Guida all'approfondimento

Nasini, Responsabilità per parti comuni in custodia, in Condominioelocazione.it, 1 giugno 2020;

Celeste - Chiesi - Di Marzio - Nicoletti, Codice del condominio, Milano, 2018;

Frivoli - Tarantino, I beni comuni in condominio e i diritti dei condomini, Milano, 2016.

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