IMU e prima casa: il lavoro non giustifica la residenza ‘esterna’ di un coniuge

La Redazione
28 Settembre 2020

Legittimo l'avviso di accertamento compiuto da una società di riscossione che opera per conto del Comune. Impossibile riconoscere l'esenzione prevista per l'abitazione principale. Decisiva la constatazione che l'uomo è residente in un Comune limitrofo.

Moglie residente nell'immobile appena acquistato e adibito a casa principale della famiglia. Marito residente però in un diverso appartamento in un paese limitrofo. La giustificazione proposta, cioè esigenze legate al lavoro dell'uomo, non regge, e consente al Comune di recuperare l'IMU non versata dalla donna.

Terreno di scontro è l'IMU elativa a un immobile e non percepita dal Comune. Sotto esame, in particolare, l'anno di imposta 2013.

Inevitabile l'avviso di accertamento nei confronti della donna proprietaria dell'immobile e lì residente in modo ufficiale. A ritenere legittima la pretesa avanzata dall'ente locale provvedono i giudici tributari provinciali.

Di parere opposto, invece, sono i giudici tributari regionali, i quali ritengono «sussistente il presupposto per l'aliquota agevolata IMU da abitazione principale» poiché «la contribuente aveva la residenza anagrafica all'interno dell'immobile e la residenza anagrafica del coniuge in altro Comune è giustificata da esigenze lavorative».

A portare la questione in Cassazione è la società che si occupa delle riscossioni per conto del Comune.

I legali ritengono erronea la decisione presa dalla Commissione tributaria regionale, essendo stata «riconosciuta l'esenzione malgrado l'immobile non fosse stato adibito a dimora abituale dell'intero nucleo familiare». E a questo proposito viene osservato che «la residenza del marito in altro Comune, peraltro limitrofo, non avrebbe consentito neppure presuntivamente di configurare il requisito della dimora abituale dei due coniugi nell'immobile» oggetto del contenzioso.

Dalla Cassazione riconoscono la legittimità della posizione assunta dalla società di riscossione.

Per i Giudici «il tenore letterale della norma è chiaro», stabilendo che «l'imposta municipale propria non si applica al possesso dell'abitazione principale e delle sue pertinenze» e precisando che «per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, in cui il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente». Ciò comporta la necessità che «in riferimento all'unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente», osservano i Giudici.

In questo caso si è potuto accertare che «solo la moglie ha la propria residenza anagrafica nel Comune» ove è ubicato l'immobile mentre «il coniuge, non legalmente separato, ha residenza e dimora abituale in altro Comune».

Corretta, quindi, la pretesa avanzata dall'ente locale. E legittima la successiva azione compiuta dalla società di riscossione.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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