Diniego di transazione fiscale: quale giurisdizione?
Stanislao De Matteis
07 Ottobre 2020
Prima della novellazione dell'art. 182-ter l.fall. ad opera del comma 81 dell'art. 1 della L. 11 dicembre 2016, n. 232 , il ricorso alla transazione fiscale era facoltativo, in ragione del chiaro dato testuale desumibile dall'incipit dell'art. 182-ter l.fall., secondo cui il debitore, con il piano, può proporre il pagamento parziale o dilazionato di tributi o contributi.Il debitore, ove annoverasse debiti tributari, previdenziali e contributivi, poteva perciò presentare due differenti tipi di concordato preventivo, uno principale, che prescinde da un previo accordo con il fisco o con l'ente gestore di forme di previdenza e assistenza obbligatoria, l'altro speciale, che include la transazione fiscale.
Quadro storico
Prima della novellazione dell'art. 182-ter l.fall. ad opera del comma 81 dell'art. 1 della L. 11 dicembre 2016, n. 232 , il ricorso alla transazione fiscale era facoltativo, in ragione del chiaro dato testuale desumibile dall'incipit dell'art. 182-ter l.fall., secondo cui il debitore, con il piano, può proporre il pagamento parziale o dilazionato di tributi o contributi.
Il debitore, ove annoverasse debiti tributari, previdenziali e contributivi, poteva perciò presentare due differenti tipi di concordato preventivo, uno principale, che prescinde da un previo accordo con il fisco o con l'ente gestore di forme di previdenza e assistenza obbligatoria, l'altro speciale, che include la transazione fiscale.
Il concordato con transazione fiscale era, dunque, una speciale figura di concordato preventivo, sia perchè viene in rilievo solo quando vi siano debiti tributari o previdenziali, sia perchè, anche in presenza di tali debiti, è possibile un concordato preventivo senza transazione fiscale; in presenza di un rapporto di specialità tra le due fattispecie di concordato preventivo non è però possibile estendere alla fattispecie generale, del concordato senza transazione fiscale, la disciplina della fattispecie speciale, del concordato con transazione fiscale.
Pertanto il debitore, aveva a sua disposizione due ipotesi di concordato preventivo: una, principale, che prescinde da un previo accordo con gli enti titolari dei corrispondenti crediti; l'altra, speciale, che include la transazione 182-ter l.fall
La scelta tra l'uno e l'altro procedimento dipenderà dall'eventuale esigenza imprescindibile di ottenere il voto favorevole di quegli enti, in ragione delle dimensioni dei loro crediti, oltre che di offrire certezza ai creditori tutti circa l'effettiva consistenza del debito previdenziale/assistenziale e, di conseguenza, circa le concrete prospettive di attuabilità del piano concordatario.
Come si è anticipato, l'art. 182-ter L.fall. è stato interamente riformulato dal comma 81 dell'art. 1 della L. 11 dicembre 2016, n. 232 (c.d. Legge di stabilità 2017), a cominciare dalla rubrica della norma, che ora si intitola “Trattamento dei crediti tributari e contributivi”, in luogo della precedente “Transazione fiscale”, a testimonianza del perduto carattere transattivo dell'istituto, rendendo obbligatorio, anziché facoltativo, l'avvio del procedimento ivi disciplinato quando la proposta di concordato del debitore abbia ad oggetto debiti tributari e/contributivi, come plasticamente risulta dal comma 1 della disposizione novellata.
È stato così superato il dogma, di matrice giurisprudenziale, della facoltatività della transazione fiscale.
La transazione fiscale si presenta, dunque, come indefettibile qualora il debitore intenda negoziare una falcidia o una rateazione del debito.
Criteri di regolazione
A seguito della novellazione che ha interessato l'art. 182-ter l.fall., sono ora previsti due peculiari criteri al fine di regolare la valutazione dell'Agenzia delle Entrate.
Trattasi,
del criterio della comparazione fra il soddisfacimento dei crediti erariali previsto dalla transazione ed il soddisfacimento conseguibile mediante altre soluzioni; e
del criterio del divieto di trattamento deteriore dei crediti erariali rispetto a quelli assistiti da una causa di prelazione di grado inferiore e ai crediti chirografari.
L'errata applicazione di questi criteri costituisce specifico motivo di impugnazione del rigetto della proposta di transazione fiscale, tale da comportare l'illegittimità di quest'ultimo.
In questo contesto, dovrebbe ammettersi la ricorribilità giurisdizionale di un eventuale diniego di transazione.
I profili di doglianza possono essere vari.
Un primo aspetto potrebbe essere la violazione di legge, qualora il diniego sia motivato in relazione ad elementi di valutazione non previsti dall'art. 182-ter. Si pensi, ad esempio, ad un ipotetico criterio di “meritevolezza” del contribuente, che potrebbe asseritamente mancare in caso di cronica posizione di morosità oppure perché la morosità proviene da condotte fiscali frodatorie o particolarmente aggressive. Orbene, la legge non consente di discriminare in base alla genesi qualitativa del debito fiscale. Ciò nel senso che un diniego non può essere motivato in base ad un giudizio di disvalore sul contribuente e sulle ragioni che hanno condotto all'indebitamento con il Fisco.
Altra violazione di legge potrebbe essere concretizzata dal diniego motivato in relazione ad asseriti dubbi sulla composizione dell'attivo liquidabile, non potendosi sapere se potrebbero essere esperibili, in un'ipotetica sede concorsuale, azioni revocatorie e di responsabilità, laddove l'art. 182-ter l.fall. impone, invece, una mera valutazione prognostica sui possibili esiti liquidatori solo in relazione allo stato dei beni esistenti e al loro stimabile valore normale.
Non possono poi escludersi il difetto assoluto di motivazione o la presenza di una motivazione incoerente, contraddittoria o apparente. Infatti, sembra profilarsi da un lato un difetto di motivazione, laddove viene erroneamente ricostruito l'iter logico-giuridico “a monte” del provvedimento, dall'altro anche un'oggettiva infondatezza, laddove si considerino anche i profili quantitativi relativi alla comparazione fra la soluzione concordataria e quelle alternative.
Perimetro giurisdizionale
Sussiste, quindi, la necessità di chiarire i perimetri della giurisdizione (civile, amministrativa e tributaria) che vanno ben al di là della tradizionale distinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo.
In via di principio, è ormai pacifico che il giudice tributario possa risolvere, in via incidentale, senza autorità di giudicato, ogni questione pregiudiziale alla pretesa fatta valere nell'ambito delle controversie rientranti nella propria giurisdizione con le sole eccezioni delle questioni in materia di falso e sullo stato o capacità delle persone diversa dalla capacità di stare in giudizio.
Sotto l'aspetto legislativo, nonostante i reiterati interventi da parte del legislatore in materia, resta il principio generale enunciato dall'art. 182-ter l.fall. - sostituito, da ultimo, con l'art. 1, comma 81, Legge 11 dicembre 2016, n. 232, a decorrere dal 1° gennaio 2017 - secondo cui “con il piano di cui all'art. 160 il debitore, esclusivamente mediante proposta presentata ai sensi del presente articolo, può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, se il piano ne prevede la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, terzo comma, lettera d)”.
È indubbio che la formulazione dell'art. 182-ter l.fall. non offra elementi determinanti ai fini della individuazione di una soluzione che soddisfi i principi fondamentali previsti dal quadro giuridico di riferimento.
Sotto il profilo procedurale, il diniego “è approvato” con atto del Direttore dell'Ufficio e solo successivamente espresso mediante voto contrario in sede di adunanza dei creditori.
Diniego di autotutela
Secondo una prima opzione interpretativa, contro il provvedimento di diniego dell'Amministrazione finanziaria non è proponibile alcuna azione giudiziaria, sia per la mancanza di un interesse legittimo in capo al debitore, sia per l'impossibilità di assimilare il provvedimento di cui trattasi ad una domanda di definizione agevolata del rapporto tributario, “posto che questa locuzione pare riferibile agli atti che ineriscono alla determinazione della pretesa fiscale e del conseguente debito tributario che invece nell'ottica della transazione fiscale è già compitamente determinato, discutendosi esclusivamente in ordine all'eventuale abbandono di una porzione del credito tributario, alla luce delle sue concrete prospettive di esazione e degli altri interessi pubblici”, quali “l'interesse del sistema economico e sociale alla conservazione dell'impresa, nella sua dimensione ‘istituzionale', e dei posti di lavoro che questa garantisce”. In giurisprudenza, cfr. CTP La Spezia 9.11.2011, n. 202, in Mass. Comm. Trib. Liguria 2011, 324, sulla base del rilievo che il diniego espresso dall'Agenzia nei confronti di una proposta di transazione fiscale non rientra tra gli atti previsti dall'art. 19 D.Lgs. n. 546/1992 né nella nozione di cui all'art. 2 del medesimo decreto.
Secondo altra parte della dottrina e della giurisprudenza più recente (CTP Milano 14.2.2014, n. 1541, Fa 2014, 1222 ss.)*, il provvedimento in discorso sarebbe impugnabile innanzi alle commissioni tributarie, trattandosi di un atto assimilabile al rigetto della domanda di definizione agevolata del rapporto tributario di cui al primo comma, lett. h), dell'art. 19 d.lgs. n. 546/1992, ovvero al diniego di autotutela.
*In evidenza
Nel vigore della vecchia transazione sui ruoli di cui all'
art. 3, terzo comma, D.L. n. 138/2002
, la competenza delle Commissioni tributarie a sindacare la legittimità della risposta negativa dell'Agenzia delle Entrate era stata affermata da C Stato, IV, 10.9.2008, n. 4341, FA CDS 2008, 2383;
TAR Lazio, Latina, I 11.6.2008, n. 717
, FA
TAR 2008, 1775
;
TAR Lombardia, Milano, I 7.2.2007, n. 191
, FA
TAR 2007, 400
.
Altri sono, invece, dell'avviso che tale scrutinio rientri nelle prerogative del giudice amministrativo in quanto il debitore sarebbe titolare di un interesse legittimo all'accoglimento della richiesta (TAR Calabria, Catanzaro, ord. 27.7.2012, n. 424; CTR Roma 27.4.2010, n. 138, GM 2010, 2317. Nel vigore dell'abrogata transazione dei ruoli, la giurisdizione del giudice amministrativo era stata affermata da CTP Roma 8.3.2007, n. 45, Gtrib 2007, II, 773).
Si è anche ritenuto che le citate valutazioni di merito, espresse tramite il voto in sede di adunanza dei creditori, formino parte di un accordo stipulato con tutti i creditori dal commissario giudiziale, sia pure destinato ad essere sottoposto all'omologazione del Tribunale, per cui la natura tributaria del diniego espresso dall'Amministrazione rimarrebbe confinata solo all'interno del rapporto fra imprenditore ed Amministrazione stessa sicché la giurisdizione andrebbe riferita al giudice ordinario. Più precisamente, la transazione fiscale, partecipando della stessa natura del concordato preventivo, ne condividerebbe le sorti anche sotto il profilo della sottoposizione al sindacato del tribunale fallimentare nell'ambito delle attività di controllo sulle condizioni di ammissibilità della procedura e di verifica della sua legittimità sostanziale che preludono al giudizio di omologazione.
Deve ritenersi ampiamente superata la questione dell'impugnabilità del diniego per carenza d'interesse del privato: questi propone la transazione perché confida di potere risolvere la crisi d'impresa o di cessare l'attività secondo assetti più convenienti per la massa di creditori; in tale contesto, il diniego non può dunque essere arbitrario.
L'interesse ad agire del privato è, dunque, ben presente nello sfondo della proposta di transazione fiscale. E ciò soprattutto alla luce della novella che, nel rendere necessario l'istituto, ne ha inevitabilmente rimarcato il carattere amministrativo, procedimentale e dunque funzionale e servente rispetto ad interessi pubblici giuridicamente rilevanti.
Il carattere necessario del procedimento amministrativo costituisce perciò un forte elemento ricostruttivo nel senso della correlata giustiziabilità delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte.
Giurisdizione e competenza
Ciò premesso, la giurisdizione appartiene al giudice tributario.
La possibilità di pervenire alla transazione fiscale da parte dell'Erario è, infatti, condizionata da valutazioni che non possono prescindere dalle ragioni del soddisfacimento della pretesa impositiva, dovendo comunque essere effettuato un giudizio valutativo circa il miglior grado di soddisfazione che la stessa pretesa troverebbe per il tramite della via transattiva rispetto all'eventuale fallimento, con conseguenti valutazioni di merito ed opportunità rispetto alle quali non è possibile l'esercizio di un sindacato del giudice amministrativo.
La discrezionalità dell'Erario di disporre del proprio credito nel senso e nei limiti innanzi indicati nonè connessa, infatti, all'esercizio di un potere pubblico autoritativo nel senso tradizionale del termine, quanto alla valutazione, del tutto economica, inerente alla pretesa tributaria e alla modalità di soddisfazione della medesima (CDS sent. 4021/2016).
Esclusa la giurisdizione del giudice amministrativo, va esclusa anche quella del giudice ordinario.
In quest'ultimo senso non depone il riferimento (contenuto a pag. 7 del ricorso dell'Agenzia delle Entrate) alla nuova disciplina del Codice della crisi d'impresa, la cui entrata in vigore è stata differita all'1.9.2021.
Sebbene sia esatto affermare che gli artt. 48, comma 5, e 80, comma 3, CCI consentono al giudice di commutare il voto contrario dell'amministrazione finanziaria in un voto favorevole, sempre che risulti decisiva (“determinante”, alla luce del correttivo) al fine del raggiungimento delle percentuali del 60% (o del 30% in taluni casi) dei crediti stabilite per la omologabilità dell'accordo stesso (ovvero, con riguardo al concordato preventivo, al fine del raggiungimento delle maggioranze previste dall'art. 177 l.fall.*, è altrettanto certo che le indicate previsioni abbiano carattere innovativo e come tali sono senz'altro inapplicabili con riguardo all'interpretazione dell'attuale legge fallimentare.
*In evidenza
La predette disposizioni paiono, quindi, confermare che, nell'esame delle proposte di transazione fiscale, l'azione dell'Amministrazione finanziaria è “vincolata” nel senso sopra precisato, tant'è che, con riguardo al caso in cui i vincoli che la condizionano e delimitano non siano rispettati, è previsto uno specifico rimedio giurisdizionale, consistente nell'attribuzione al giudice fallimentare del potere/dovere di assumere, in conformità alle suddette disposizioni, la decisione che l'Agenzia delle entrate ha omesso di adottare ovvero di modificare quella da quest'ultima erroneamente adottata.
Come, infatti, recentemente precisato da Cass. Civ., SS.UU. n. 12476/2020 (§ 4 della motivazione) il CCI è testo in generale non applicabile - per scelta del legislatore - alle procedure (come quella in esame) aperte anteriormente alla sua entrata in vigore (art. 390, comma 1, CCI), e la pretesa di rinvenire in esso norme destinate a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare potrebbe essere ammessa se (e solo se) si potesse configurare - nello specifico segmento - un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro. Ma così non è per ciò che attiene alla questione che rileva.
Tutto ciò premesso, il punto di partenza per la determinazione della giurisdizione va individuato, infatti, nel principio secondo cui la giurisdizione delle Commissioni presuppone la natura tributaria della controversia, essendo stata dichiarata l'illegittimità della norma che riservava alle Commissioni anche la cognizione delle sanzioni comunque irrogate dagli Uffici finanziari (Corte Cost. 130/2008).
Ne consegue che, pacificamente, si può ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall'ente impositore che, con l'esplicitazione delle concrete ragioni che la sorreggono, portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria.
È incontestabile, poi, che la formale denominazione della pretesa sia del tutto irrilevante, ferma restando l'esigenza di individuare comunque gli atti impugnabili davanti al giudice tributario. Ne consegue che, se l'atto impugnato è finalizzato all'accertamento del rapporto d'imposta, di diritto soggettivo, esso è sottoposto alla giurisdizione delle commissioni tributarie. In merito può essere sufficiente ricordare che, secondo l'orientamento della Suprema Corte, il contribuente può rivolgersi al giudice tributario ogni qual volta abbia interesse a contestare la convinzione espressa dall'Amministrazione in ordine alla disciplina del rapporto tributario (Cass. Civ., SS.UU. 16776/2005).
La devoluzione alla giurisdizione tributaria delle vertenze sul concreto rapporto fiscale risponde, invero, ad marcato trend normativo e giurisprudenziale. La giurisdizione tributaria, infatti, assume sempre più carattere generale ed omnicomprensivo, anche considerata l'ulteriore novella di cui al D.L. n. 203/2005, art. 3-bis, aggiunto dalla L. di conversione 2 dicembre 2005, n. 248.
Si è detto in dottrina che la nuova formulazione dell'art. 2 D.Lgs. n. 546/1992 realizza l'emancipazione qualitativa della giurisdizione tributaria verso una dimensione ontologicamente esclusiva. Nella giurisprudenza amministrativa si è affermata, poi, una chiara auto-limitazione entro confini contenuti, che ha valorizzato la natura esclusiva e tendenzialmente generale della giurisdizione tributaria.
Sotto altro profilo non assume alcun rilievo la natura discrezionale dei provvedimenti richiesti al fisco, perchè la giurisdizione tributaria si configura come giurisdizione di carattere generale, che si radica in base alla materia indipendentemente dalla specie dell'atto impugnato. Il che ha comportato, ad esempio, la devoluzione alle commissioni persino delle controversie relative agli atti di esercizio dell'autotutela, in quanto l'art. 103 Cost. non prevede una riserva assoluta di giurisdizione in favore del giudice amministrativo per la tutela degli interessi legittimi, ferma restando la necessità di una verifica da parte del giudice tributario in ordine alla riconducibilità dell'atto impugnato alle categorie indicate dall'art. 19 D.lgs. n. 546/1992, che non attiene alla giurisdizione, ma alla proponibilità della domanda (Cass. SU 7388/2007) e indica, con elencazione suscettibile d'interpretazione estensiva, la tipologia degli atti oggetto d'impugnazione (Cass. SU 3774/2014), tra i quali non figura espressamente il diniego tacito o espresso alla transazione fiscale.
Si è conseguentemente affermato “La controversia inerente il diniego dell'istanza di transazione fiscale proposta ex art. 3, comma 3, del D.L. n. 138/2002 (applicabile “ratione temporis”) appartiene alla giurisdizione del giudice tributario, avendo ad oggetto una procedura di definizione dei ruoli posta nella fase di esecuzione dei carichi fiscali ed a nulla rilevando la natura discrezionale del provvedimento richiesto, in quanto quella tributaria si configura come giurisdizione a carattere generale, che si radica indipendentemente dalla specie dell'atto impugnato, ferma la riconducibilità di quest'ultimo alle categorie indicate dall'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, che non attiene alla giurisdizione ma alla proponibilità della domanda ed indica, con elencazione suscettibile di interpretazione estensiva, la tipologia degli atti suscettibili d'impugnazione” (Cass. Civ., SS.UU. n. 25632/2016).
In conclusione
In conclusione, la giurisdizione del giudice tributario sussiste ed il contribuente ha diritto di ricorrervi ogniqualvolta la controversia ha ad oggetto un provvedimento di rigetto di un debito di natura tributaria, “a nulla rilevando che la decisione su tale istanza, spettante all'Agenzia delle entrate, debba essere assunta in base a considerazioni estranee alla materia tributaria, atteso che la giurisdizione, ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, deve essere attribuita, in ragione esclusiva, dell'oggetto della controversia”.
La giurisdizione del giudice tributario, infatti, ha carattere pieno ed esclusivo, estendendosi non solo all'impugnazione del provvedimento impositivo, ma anche alla legittimità di tutti gli atti del procedimento, tenendo conto che l'art. 7, comma 4, dello Statuto del contribuente “si limita ad attribuire alla giurisdizione del giudice amministrativo, secondo i normali criteri di riparto, l'impugnazione di atti amministrativi a contenuto generale o normativo, ovvero di atti di natura provvedi mentale che costituiscano un presupposto dell'esercizio della potestà impositiva” (Cass. 11082/2010; Cass. Civ. 7665/2016).