La liquidazione delle spese processuali per la fase monitoria del giudizio di equa riparazione e la pluralità delle parti

14 Ottobre 2020

Nel giudizio di equa riparazione ai sensi della legge n. 89/2001 la fase monocratica avanti al consigliere designato della corte di appello è assimilabile al procedimento monitorio ai fini della liquidazione delle spese processuali? L'aumento del compenso previsto per la difesa in giudizio di una pluralità di soggetti aventi la stessa posizione processuale consegue di diritto o è rimesso alla discrezionalità del giudice?
Massima

Nei giudizi di equa riparazione ai sensi della legge n. 89/2001 le spese processuali relative alla fase monocratica avanti al consigliere designato della corte di appello devono essere liquidate secondo i parametri della tabella n. 8 allegata al d.m. n. 55/2014, concernente i procedimenti monitori.

Gli aumenti del compenso dell'avvocato previsti dall'art.4, comma 2,d.m. n. 55/2014, in caso di difesa di pluralità di soggetti aventi identica posizione processuale, hanno carattere discrezionale, anche se è necessario motivare l'esclusione di tali incrementi.

Il caso

In un giudizio di equa riparazione per l'irragionevole durata del processo, ai sensi della legge n. 89/2001, in sede di rinvio dalla cassazione, è riconosciuto dalla corte di appello un indennizzo pari ad € 2.000,00, oltre interessi legali, a carico del Ministero della giustizia, in favore di ciascuno dei quattro ricorrenti; a titolo di rimborso delle spese processuali, sono poi liquidate, con distrazione ai difensori, le somme di € 250,00 per la fase monitoria e di € 900,00 per il giudizio di legittimità, oltre le spese vive e gli oneri accessori ex lege. Il decreto è impugnato per cassazione dagli stessi originari ricorrenti, limitatamente al capo relativo alla regolazione delle spese processuali, mediante la formulazione di due motivi: 1) in violazione dell'art.91 c.p.c. non sono state rimborsate le spese dei giudizi di opposizione e di rinvio; 2) in violazione degli artt. 91 c.p.c. e 2233, comma 2, c.c. è stata applicata la tabella n. 8 allegata al d.m. n. 55/2014 (Procedimenti monitori)), in luogo della tabella n. 12 (Giudizi innanzi alla corte di appello), nella liquidazione delle spese per la fase monitoria avanti al consigliere designato. La cassazione accoglie il primo motivo e respinge il secondo, annullando il decreto con rinvio ulteriore alla corte di merito.

La questione

Nel giudizio di equa riparazione ai sensi della legge n. 89/2001 la fase monocratica avanti al consigliere designato della corte di appello è assimilabile al procedimento monitorio ai fini della liquidazione delle spese processuali?

L'aumento del compenso previsto per la difesa in giudizio di una pluralità di soggetti aventi la stessa posizione processuale consegue di diritto o è rimesso alla discrezionalità del giudice?

Le soluzioni giuridiche

Il primo motivo del ricorso per cassazione è considerato senz'altro fondato in quanto in sede di rinvio il giudice deve provvedere, anche di ufficio, alla regolazione delle spese di “tutte le fasi del giudizio di merito”, mentre nel caso di specie la liquidazione è stata circoscritta alla fase monitoria ed a quella di legittimità, così non considerando l'iniziale giudizio di opposizione ex art. 5-ter, legge n. 89/2001 e quello di rinvio dalla cassazione.

In ordine al secondo motivo si ritiene, invece, che la atipicità del procedimento monitorio avanti al consigliere designato della corte di appello rispetto quello ordinario ex artt. 633 e ss. c.p.c. non è tale da escludere l'applicazione della tabella n. 8 allegata al d.m. n. 55/2014, relativa, appunto, ai procedimenti monitori.

Viene, infatti, considerata, da un lato, priva di “peculiare valenza” la diversa disciplina riservata al decreto che respinga, in tutto od in parte, il ricorso, laddove nel monitorio ordinario è sempre ammissibile “la riproposizione della domanda” ai sensi dell'art. 640, comma 3, c.p.c. mentre nel giudizio di equa riparazione tale riproposizione resta preclusa, essendo, invece, onere della parte proporre eventuale opposizione ai sensi dell'art.5-ter l. n. 89/2001.

Dall'altro è ritenuto che caratterizzi piuttosto “in forma pregnante” entrambi i procedimenti l'assenza del contradditorio, quale connotato che circoscrive “la misura dell'impegno professionale” del difensore e, quindi, il relativo “costo economico”.

In conformità, pertanto, alla tabella n. 8 allegata al d.m. n. 55/2014 – così come aggiornato dal d.m. n. 37/2018 – il minimo del compenso professionale è calcolato in € 225,00 (450 – 225), avuto riguardo al valore medio secondo lo scaglione di riferimento (fino ad € 5.200,00) ed alla massima diminuzione, pari al 50%, consentita dall'art.4, comma 1, d.m. 55/2014, con conseguente esclusione della lamentata violazione dei “minimi tariffari” nella liquidazione operata dalla corte di appello (pari ad € 250,00).

Viene, infine, escluso che la pluralità dei soggetti aventi la stessa posizione processuale implichi automaticamente un aumento del compenso professionale dell'avvocato ai sensi dell'art.4, comma 2, d.m. 55/2014, in quanto gli incrementi consentiti “di regola” al riguardo ("il compenso unico può di regola essere aumentato") sono rimessi comunque alla valutazione discrezionale del giudice; si precisa, tuttavia, che sarebbe stato deducibile l'eventuale difetto di motivazione sulla esclusione di tali aumenti.

Osservazioni

Merita, in primo luogo, senz'altro condivisione la soluzione giuridica del problema relativo alla natura della fase monocratica del giudizio di equa riparazione, ai fini della liquidazione delle spese processuali, in quanto idonea a commisurare il compenso dell'avvocato al limitato impegno che la fase monitoria richiede, in assenza di udienza e contraddittorio, piuttosto che ad altri parametri - come il grado di resistenza del decreto di rigetto, in tutto od in parte, della domanda - che non incidono apprezzabilmente sulla effettiva complessità della fase iniziale del procedimento ex legge n. 89/2001.

Piuttosto è da osservare che il problema della natura di tale fase verosimilmente non si sarebbe posto se la Corte d'appello, in sede di rinvio dalla cassazione, non avesse trascurato di liquidare le spese processuali anche per l'originario giudizio di opposizione al decreto monitorio e per il successivo giudizio di rinvio; è noto, infatti, che ai fini della liquidazione delle spese processuali, la natura contenziosa del processo camerale per l'equa riparazione, già affermata in relazione alla previgente tariffa di cui al d.m. n. 127/2004, è stata ribadita anche in relazione alla tariffa di cui al d.m. n. 55/2014 (Cass. civ. sez. VI – II, sent. 14 novembre 2016, n. 23187), con la conseguenza che, per la liquidazione dei compensi professionali spettanti all'avvocato, trova applicazione la tabella n. 12 allegata al d.m. n. 55/2014 (Cass. civ. sez. VI- II, ord. 21 giugno 2019, n, 16770, ove opportunamente si precisa, tuttavia, che i relativi parametri, diversamente dalle pregresse tariffe, costituiscono soltanto criteri orientativi per l'individuazione della misura economica "standard" della prestazione professionale).

Nell'ulteriore giudizio di rinvio, pertanto, il compenso per la fase monitoria è destinato verosimilmente ad essere affatto marginale rispetto a quello dovuto per i tre pregressi giudizi di merito – uno di opposizione e due di rinvio - da stimare senz'altro secondo i parametri propri dei procedimenti contenziosi avanti alla corte di appello (tab. 12 d.m. 55/2014).

Non va, poi, trascurata l'argomentazione finale della sentenza in esame, relativa al carattere discrezionale degli aumenti di compenso previsti in caso di difesa di una pluralità di soggetti pur aventi identica posizione processuale: l'art. 4, comma 2, d.m. 55/2014 è, infatti, formulato in termini piuttosto ambigui in quanto prevede “di regola” il potere di riconoscere tali incrementi da parte del giudice ("il compenso unico può di regola essere aumentato"), in tal senso insinuando il dubbio che gli incrementi siano “di regola” senz'altro da applicare.

L'interpretazione che sembra accolta – sia pure in termini meramente assertivi – è invece che permane, nel caso di specie, il carattere discrezionale degli incrementi del compenso: sia pure con la chiosa che sarebbe stata verosimilmente indispensabile una qualche motivazione della esclusione di quanto “di regola” previsto.

Chiosa, appunto, da non sottovalutare in quanto l'espressione “di regola” piace particolarmente al regolatore dei parametri dei compensi per gli avvocati e la reitera frequentemente nel d.m. n. 55/2014 (così all'art. 2, comma 2; all'art. 4, commi 1, 1-bis, 3, 6, 10-bis; all'art. 5, comma 6; all'art. 6; all'art. 8, comma 2; all'art. 9; all'art. 10, comma 2; all'art. 11)