La scelta di riprendere il lavoro a seguito di un ordine giudiziale di reintegrazione è irreversibile

Ilaria Leverone
15 Ottobre 2020

In caso di illegittimità del licenziamento, il diritto riconosciuto al lavoratore dall'art. 18 comma 5 l. n. 300/1970 di optare fra la reintegrazione nel posto di lavoro e l'indennità sostitutiva, in quanto esercizio di diritto potestativo che nasce dalla declaratoria di illegittimità del licenziamento ed ha natura di atto negoziale autonomo, non soggiace agli effetti espansivi della sentenza di riforma previsti dall'art. 336, c.p.c.

In caso di illegittimità del licenziamento, il diritto riconosciuto al lavoratore dall'art. 18 comma 5 l. n. 300/1970 di optare fra la reintegrazione nel posto di lavoro e l'indennità sostitutiva, in quanto esercizio di diritto potestativo che nasce dalla declaratoria di illegittimità del licenziamento ed ha natura di atto negoziale autonomo, non soggiace agli effetti espansivi della sentenza di riforma previsti dall'art. 336, c.p.c..

Ne consegue che, ove in esecuzione della sentenza di primo grado che abbia dichiarato l'illegittimità del licenziamento e disposto la reintegrazione nel posto di lavoro, il lavoratore rinunci all'indennità sostitutiva di cui al citato art. 18 comma 5 e scelga di riprendere il lavoro, tale scelta, al pari di quella per l'indennità sostitutiva, è irreversibile e consuma in via definitiva il diritto di opzione.

Così la Cassazione, con ordinanza n. 22063/20, depositata il 13 ottobre.

Il caso. La Suprema Corte affronta il caso di un lavoratore che, dopo aver ottenuto una pronuncia di accertamento dell'illegittimità del licenziamento subito e la conseguente reintegra nel posto di lavoro, aveva dapprima ripreso servizio e, poi, dopo qualche giorno, a causa di un ripensamento, aveva preteso di ottenere dall'azienda il pagamento dell'indennità sostitutiva alla reintegrazione. Tale ultima richiesta era stata azionata mediante decreto ingiuntivo, opposto dal datore di lavoro ed il Tribunale di Roma aveva escluso la sussistenza del diritto del ricorrente ad optare a favore dell'indennità sostitutiva, sul presupposto dell'ormai intervenuta ripresa dell'attività lavorativa. Anche la Corte d'Appello di Roma aveva raggiunto la medesima conclusione, rilevando altresì che l'intervenuta riforma della sentenza che aveva sancito l'illegittimità del trasferimento alla sede di Roma avesse privato di pregio le argomentazioni circa l'inconfigurabilità di una reintegrazione formale, dovendo giuridicamente questa avvenire nella sede effettiva. Il lavoratore in cassazione ha invece sostenuto che tale ripensamento era intervenuto prima dello scadere del termine di 30 giorni che l'art. 18 comma 5 St. lav. concede al lavoratore per esercitare la predetta opzione all'indennità sostitutiva e, dunque, la ripresa del servizio sarebbe stata irrilevante, anche in considerazione del fatto che nel caso di specie era sorta contestazione in merito alle funzioni assegnategli dall'azienda.

Il ripensamento è precluso al lavoratore. La Suprema Corte ha per prima cosa rilevato che la Corte di merito aveva accertato l'effettività dell'intervenuta reintegrazione del lavoratore che, a seguito dell'invito del datore di lavoro, si era presentato presso la sede aziendale, aveva ricevuto in dotazione degli strumenti di lavoro ed era stato assegnato ad una precisa struttura. Solo dopo una decina di giorni, non gradendo le mansioni che gli erano state assegnate, egli aveva manifestato l'opzione per l'indennità sostitutiva. Ciò posto, rilevano gli Ermellini, l'effettiva accettazione dell'invito datoriale preclude il successivo ripensamento, rendendo tardiva la richiesta di opzione, a nulla rilevando i presunti inadempimento datoriali, che non interferiscono affatto sulla ripresa della collaborazione lavorativa, potendo gli stessi solo costituire autonome ragioni di tutela in altre sedi.

Gli effetti espansivi della riforma della sentenza sul diritto all'opzione. La Corte di Cassazione ritiene che l'opzione prevista dall'art. 18, comma 5, St. lav. non è insensibile alle vicende della sentenza con cui è stata dichiarata l'illegittimità del licenziamento ed ordinata la reintegrazione ma, al contrario, tanto il diritto alla reintegrazione quanto all'indennità sostitutiva presuppongono l'accertamento dell'illegittimità del licenziamento e ne seguono la sorte. Ciò che invece esula dagli effetti espansivi della sentenza di riforma è solo il diritto del lavoratore di scegliere tra la prosecuzione del rapporto e la sua definitiva estinzione, mediante il pagamento dell'indennità sostitutiva. E ciò per la forte connotazione negoziale del diritto di opzione, diritto che, una volta esercitato, non è più suscettibile di revoca ne riviviscenza.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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