Variazioni nella giurisprudenza di legittimità sull'interpretazione della portata del limite di mille euro per la cd. pace fiscale
20 Ottobre 2020
Massima
L'art. 4 del d.l. n. 119/2018, convertito, con modificazioni, nella legge n. 136/2018, si deve interpretare nel senso che, qualora la cartella esattoriale evidenzi più carichi, il limite di valore cui è correlato l'annullamento previsto dalla norma non si correla a ciascun carico, ma alla somma di essi e, se la natura dei carichi è diversa (tributaria, sanzioni amministrative), alla somma dei carichi omogenei. Il caso
Tizio opponeva ex art 615 c.p.c. una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria per il mancato pagamento di quattro cartelle esattoriali relative a sanzioni per violazione del Codice della Strada. Il Giudice di pace accoglieva l'opposizione sul presupposto della nullità delle notifiche effettuate ex art. 143 c.p.c. al di fuori dei presupposti legittimanti. Il tribunale, in sede di appello, accoglieva parzialmente le censure sollevate dagli appellanti, reputando valide le notifiche con riferimento a due delle quattro cartelle. In sede di ricorso in Cassazione il ricorrente depositava memoria assumendo la cessazione parziale della materia del contendere in relazione ad una delle due cartelle di pagamento oggetto di contestazione, perché nelle more i crediti portati da una delle due cartelle ancora in contestazione sarebbero stati automaticamente annullati ex lege ai sensi dell'art. 4 , d.l. 23 ottobre 2018 n. 119 (poi convertito) in quanto relativi a singole partite o carichi di importo inferiore ad € 1.000 ed affidati all'Agende della Riscossione prima del 31/12/2010. Più precisamente, il debito complessivo risultava da una serie di carichi che, singolarmente considerati, sarebbero stati di importo inferiore a mille euro, cioè al limite indicato dalla norma per il c.d. annullamento, ma che complessivamente superavano i € 20.000. La questione
Con l'ordinanza in esame la Suprema Corte ha fornito un'interpretazione dell'articolo 4 del d.l. n. 119/2018 (cd. pace fiscale) convertito nella legge n. 136/2018 il quale, al primo comma, prevede che «i debiti di importo residuo, alla data di entrata in vigore del presente decreto, fino a mille euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 10 gennaio 2000 al 31 dicembre 2010, ancorché riferiti alle cartelle per le quali è già intervenuta la richiesta di cui all'articolo 3, sono automaticamente annullati. L'annullamento è effettuato alla data del 31 dicembre 2018 per consentire il regolare svolgimento dei necessari adempimenti tecnici e contabili...». La Corte di cassazione respinge la richiesta, avanzata dal ricorrente, di dichiarazione di cessazione della materia del contendere ritenendo, in contrasto con quanto già statuito dalla V Sezione della stessa Corte, che l'importo di € 1.000 cui la norma si riferisce vada valutato prendendo in considerazione non il singolo carico di ruolo ma l'importo complessivo portato dalla cartella esattoriale. A detta conclusione la Corte giunge attraverso un'interpretazione strettamente letterale della norma, fondando di fatto la decisione sull'utilizzo del plurale (“debiti di importo residuo”) da parte del legislatore e rafforzando l'iter argomentativo anche con ragioni di ordine teleologico, basate sulla ratio della disposizione e sul rispetto del principio di uguaglianza. Le soluzioni giuridiche
La questione interpretativa del cd. “limite” dei € 1000 di cui all'art. 4 del d.l. n. 119/2018 (cd. pace fiscale) convertito nella legge n. 136/2018 era stata già affrontata recentemente dalla stessa Corte di cassazione che era giunta, tuttavia, a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle di cui all'ordinanza oggetto di commento. Con la sentenza n. 11817/2020, infatti, i giudici di legittimità, con sintetica motivazione, avevano ritenuto che il limite di cui alla richiamata norma avrebbe dovuto essere «riferito al "singolo carico affidato", sicché nell'ambito operativo della norma rientrano tutte quelle cartelle, anche di importo complessivo ben superiore a € 1000,00, il cui singolo carico affidato all'agente della riscossione non superi l'importo di mille euro. Per "carico" si intende, infatti, la singola partita di ruolo, cioè (l'insieme dell'imposta, delle sanzioni e degli interessi accessori. Ne discende che oggetto del condono è il singolo debito e non l'importo complessivo della cartella. Ovviamente l'importo del debito residuo di € 1000,00 per singolo carico va calcolato alla data di entrata in vigore del decreto (24 ottobre 2018)».In sostanza, nel citato precedente, la Suprema Corte aveva ritenuto di porre l'accento sul riferimento, contenuto nella disposizione, all'espressione – che, almeno in apparenza, non lasciava adito a grandi dubbi - “singolo carico affidato” ritenendo dunque che, anche per cartelle di importo ben superiore ai mille euro, potesse operare l'annullamento ex lege purché il singolo carico portato dalla cartella non superasse il detto importo. Come detto la decisione in commento valorizza, al contrario, il riferimento ai debiti residui e dunque all'uso del plurale da parte del legislatore. Secondo la Suprema Corte «non si può dubitare che la norma in esame, quando allude ai "debiti residui", si riferisce ad una posizione debitoria risultante da una cartella di pagamento, cioè allude ad una pretesa dell'esattore espressa in essa: lo fa manifesto il riferimento alle “cartelle per le quali è già intervenuta la richiesta di cui all'articolo 3”. Il riferimento alle cartelle al plurale implica che l'emergenza dei "debiti residui" certamente è una condizione che può riguardare distinte cartelle. Si allude cioè a posizioni debitorie che eventualmente risultino da più cartelle e, sotto tale profilo, certamente il riferimento al valore di euro mille va inteso nel senso che il cd. "annullamento" entro questo limite si correla al valore complessivo dei carichi di ciascuna cartella. L'ancoraggio all'emergenza del debito da una cartella di pagamento sottende che il legislatore ha inteso riferire la fattispecie di c.d. annullamento all'ipotesi in cui il debito sia stato evidenziato in una cartella di pagamento, sicché questa ipotesi, nel caso di soggetto che sia stato destinatario di più cartelle, si correla ad ognuna di esse. Viceversa, con riferimento ai debiti risultanti dalla singola cartella il detto importo non può essere atomisticamente correlato a ciascun carico, ma si deve intendere correlato invece al debito che dal cumulo fra i singoli carichi fiscali eventualmente risultanti dalla singola cartella emerge a carico del debitore». I giudici di legittimità si preoccupano anche di chiarire per quali ragioni il riferimento al “singolo carico” contenuto nell'articolo 4 non possa ritenersi determinante. In verità, l'espressione in questione aveva portato gli interpreti della norma ad affermare che per “carico” dovesse intendersi la singola partita di ruolo, cioè l'insieme dell'imposta, delle sanzioni e degli interessi accessori, per cui oggetto di annullamento avrebbe dovuto considerarsi il singolo debito inferiore ad € 1.000,00, senza alcun riferimento all'importo complessivo della cartella. Secondo la Suprema Corte, tuttavia, detta lettura della disposizione sarebbe errata poiché «la norma assume come oggetto di disciplina "i debiti di importo residuo [....] risultanti dai singoli carichi" e, dunque, parla al plurale di "debiti"“ per cui sarebbe “palese che in tal modo, cioè appunto con l'uso del plurale, sottende che il "residuo" rilevante agli effetti del c.d. annullamento possa e debba (naturalmente se la cartella non sia elativa ad un singolo carico) risultare dai più debiti, scilicet dai più "carichi" che la cartella contiene (….) e ciò proprio perché "debiti residui" non possono che risultare dal cumulo dei singoli carichi esistenti nella cartella, cioè dal cumulo dei debiti che li costituiscono”. All'argomento letterale la Corte, motivando espressamente contro il precedente giurisprudenziale di diverso avviso, aggiunge anche alcune considerazioni relative alla ratio legis. Afferma, infatti, che “essendo la misura di cui all'art. 4 del d.l. una misura deflattiva del contenzioso ed ancorandosi alla cartella, è palese che la sua ratio, in quanto collegata al valore modesto del debito residuo, ha senso ed appare giustificata solo se si considera tale importo con riguardo al dovuto in base alla cartella, se espressione di distinti debiti, cioè di diversi carichi. L'ancoraggio della misura di cd. annullamento alla cartella, cioè a pretese creditorie in essa espressa, si presta ad un'applicazione rispettosa dell'intentio legis e del principio di eguaglianza soltanto se il fatto oggettivo assunto come presupposto risulta ciò che la cartella come manifestazione della pretesa di riscossione esprime nel suo complesso».
Osservazioni
L'ordinanza in commento fornisce una interpretazione della norma che, ad avviso di scrive, non risulta ancorata ad elementi determinanti, per cui occorrerà verificare se la giurisprudenza di merito si uniformerà a quanto espresso dalla Sesta sezione o riterrà di discostarsi; circostanza quest'ultima che potrebbe portare ad ulteriori pronunciamenti e chiarimenti da parte dei giudici di legittimità. L'utilizzo del plurale nel riferimento ai debiti, in seno alla norma, non sembra pesare tanto quanto l'espressione “singoli carichi affidati” che appare più chiaramente manifestare l'intenzione del legislatore di riferire l'annullamento alla singola partita di ruolo. A ciò si aggiunga che anche le argomentazioni relative alla ratio legis, su cui la Suprema Corte si sofferma, non appaiono insuperabili. Quanto alla finalità della norma quale “misura deflattiva del contenzioso” essa avrebbe dovuto condurre ad un'interpretazione estensiva, mentre la lettura della norma fornita dalla Cassazione appare in senso contrario, di fatto limitando l'annullamento alle sole ipotesi di cartelle di importo inferiore ad € 1.000. Anche il riferimento al principio di uguaglianza («Si aggiunga che l'esegesi qui prospettata non può essere considerata determinativa di un effetto incoerente, là dove, se un soggetto sia stato destinatario di distinte cartelle per singoli carichi ognuno collocantesi nel limite del valore residuo di mille euro, gli consente di beneficiare dell'annullamento (perché il valore di ogni cartella, per quanto rileva siccome specificato dalla norma, si colloca al di sotto di quell'importo), mentre, se i carichi risultino dalla stessa cartella non glielo consente in ragione del cumulo. E' sufficiente osservare che il dato oggettivo dell'essersi manifestata la pretesa di riscossione con la stessa cartella o con distinte cartelle non può essere considerato irrilevante e la sua implicita considerazione non è lesiva del principio di eguaglianza, in quanto la stessa norma dell'art. 4 (vedi i commi 2 e 3) disciplina le conseguenze a carico dell'ente titolare della pretesa dell'annullamento dal punto di vista dell'attività prestata dall'esattore»)non appare dirimente perché non è noto quali siano a monte le ragioni che conducono l'Agente della Riscossione a cumulare più carichi nella medesima cartella o, al contrario, a notificare al contribuente una cartella per ogni singolo carico; la sola scelta dell'Agente della Riscossione (già effettuata all'epoca dell'affidamento dei carichi) rischia, dunque, di favorire a posteriori una categoria di soggetti, ovvero quelli che hanno ricevuto più notifiche di cartelle di modesto importo con evidente parcellizzazione del credito, rispetto a chi abbia ricevuto una sola cartella ma portante diversi debiti di importi inferiori a € 1.000. La non solidità dell'interpretazione ancorata al dato letterale ovvero all'uso del plurale sembra emergere anche dalla precisazione della Suprema Corte - che di fatto costituisce un'eccezione rispetto a quanto precedentemente affermato - relativa ai carichi omogenei. Secondo i giudici di legittimità «Si può semmai considerare che, nell'ipotesi in cui la cartella esponga pretese di distinta natura, come tributi, sanzioni amministrative di varia specie, la nozione di debito ai fini dell'individuazione del limite del valore di 1000 €, stante la ontologica diversità di ciascuna categoria di carico e, dunque, di debito, giustifichi che detto limite debba operare per ciascuna categoria. E ciò perché si tratta di debiti di categoria diversi e, dunque, non cumulabili fra loro. Ma non è questa la sede per approfondire il problema». Nell'ipotesi in questione, infatti, anche se la cartella supera i mille euro diventa astrattamente possibile un'opera di “spacchettamento” dei carichi (non consentita negli altri casi), sulla scorta della loro natura omogenea (e sempre, ovviamente, che i crediti di natura omogenea, cumulati, non superino i mille euro). |