I limiti alla proponibilità della domanda riconvenzionale nel processo civile
26 Ottobre 2020
Massima
Qualora la domanda riconvenzionale non ecceda la competenza del giudice della causa principale, a fondamento di essa può porsi anche un titolo non dipendente da quello fatto valere dall'attore, purché sussista con questo un collegamento oggettivo che consigli il “simultaneus processus” secondo la valutazione discrezionale del medesimo giudice il quale, tuttavia, è tenuto a motivare l'eventuale diniego di autorizzazione della detta riconvenzionale, senza limitarsi a dichiararla inammissibile esclusivamente per la mancata dipendenza dal titolo già dedotto in giudizio. Il caso
Le parti debitrici, fideiussori di una società fallita, proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da Credito Valtellinese s.p.a. e, al contempo, uno degli opponenti proponeva domanda riconvenzionale volta ad ottenere la condanna dell'istituto di credito al pagamento di una somma di denaro, oltre al risarcimento dei danni e accessori, per l'illegittima escussione e il conseguente realizzo di un pegno precedentemente concesso sul proprio conto corrente personale. Il Tribunale rigettava l'opposizione proposta, dichiarando, altresì, inammissibile la domanda riconvenzionale per difetto dei presupposti di cui all'art. 36 c.p.c. Le parti soccombenti proponevano appello, che la Corte d'appello di Milano rigettava con sentenza dell'11 gennaio 2018. Difatti, la Corte constatava, in primo luogo, che il titolo della domanda riconvenzionale era diverso da quello della domanda principale; in secondo luogo, escludeva la sussistenza di un collegamento obiettivo idoneo a fondare il simultaneus processus ai sensi dell'art. 111 Cost., «stante l'evidente diversità e molteplicità dei rapporti giuridici dedotti, nonché l'evidente diversità dei soggetti giuridici coinvolti». La questione
Parte attrice proponeva ricorso per cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell'art. 36 c.p.c. In particolare, rilevava come la riconvenzionale dedotta si fondasse su un titolo già introdotto nella causa come eccezione e, in aggiunta, come la Corte d'appello, nell'applicare la disposizione, avesse disatteso i principi elaborati dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, dovendosi dichiarare ammissibile anche la domanda riconvenzionale fondata su un titolo diverso. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte dichiara fondato il ricorso. Infatti, la Corte rileva come la domanda riconvenzionale risultasse fondata su titolo già appartenente alla causa come mezzo di eccezione di compensazione, constatando dunque la violazione dell'art. 36 c.p.c. da parte del giudice di merito. Inoltre, con la sentenza in commento la Corte di cassazione, allineandosi ad una giurisprudenza ormai granitica (cfr. Cass. civ., sez. III, 4 luglio 2006, n. 15271), ribadisce come l'art 36 c.p.c. e i conseguenti requisiti di ammissibilità della domanda riconvenzionale debbano essere interpretati in maniera non restrittiva. Infatti - nonostante, nella fattispecie in esame, si trattasse di causa connessa ai sensi dell'art. 36 c.p.c., in quanto la domanda riconvenzionale proposta era relativa al controcredito eccepito in compensazione del credito attoreo (sussistendo, dunque, identità di causa petendi tra domanda ed eccezione) - la Corte di cassazione afferma, anche in questa occasione, la facoltà per il soggetto convenuto di introdurre nella cognizione del giudice della causa principale una riconvenzionale non fondata su titoli già introdotti per domanda o per eccezione, qualora sussista un collegamento obiettivo tra le due domande che renda opportuno il simultaneus processus, ribadendo che il giudice di merito è tenuto a valutare se sussista o meno tale collegamento tra le domande mediante l'esercizio del proprio potere discrezionale, il quale deve essere debitamente motivato. Tale onere di motivazione diviene ancor più pregnante nel caso in cui il giudice neghi la riunione, in ragione di quella che viene definita «una implicita presunzione di opportunità del processo simultaneo, come strumento finalizzato tanto all'accelerazione procedurale quanto alla coerenza dell'esito», cosicché, ove non adempiuto, può costituire motivo di ricorso per cassazione. Osservazioni
Nella pronuncia in oggetto, dunque, il giudice di legittimità si sofferma sull'interpretazione letterale dell'art. 36 c.p.c., per poi focalizzarsi sull'ammissibilità delle domande riconvenzionali non connesse. Al riguardo, preme ricordare che l'art. 36 c.p.c.– nel disciplinare la domanda riconvenzionale – impone di configurare quest'ultima come un'azione, proposta dalla parte convenuta, tesa ad un allargamento oggettivo del processo, in quanto – mediante la sua proposizione - viene chiesta al giudice un'autonoma pronuncia giudiziaria, cosicché il convenuto assume a sua volta il ruolo di attore. Essa si distingue dall'eccezione poiché è volta non a ostacolare la domanda di parte attrice ma a chiedere ed ottenere una pronuncia giudiziale su un diritto soggettivo di cui il convenuto vanta di essere titolare e, proprio ai fini dell'accertamento di esso, propone una specifica domanda nell'ambito di un processo già pendente. Da un punto di vista sistematico, l'art. 36 c.p.c. si colloca nella sezione del codice di procedura civile inerente alle “modificazioni della competenza per ragioni di connessione”, cosicché tale norma consente, a determinate condizioni, la trattazione e la decisione dell'intera causa presso il giudice competente per territorio in ordine alla domanda principale al fine di garantire il simultaneus processus. In sintesi, nei casi in cui la riconvenzionale dipenda «dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione», l'art. 36 c.p.c. ammette che vengano derogate le regole ordinarie relative alla competenza per territorio. Alla luce di un'interpretazione letterale della norma, si deduce che la riconvenzionale deve dipendere da fatti che siano collegati con i fatti costitutivi della domanda principale o con i fatti estintivi, modificativi o impeditivi introdotti in causa in forma di eccezione. In quest'ultimo caso - ove ricorra la dipendenza dal titolo che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione - si manifesta, con tutta evidenza, un caso di incompatibilità tra causa principale e causa riconvenzionale, costituendo quest'ultima uno sviluppo logico di una deduzione avanzata a fini difensivi. Caso emblematico, d'altronde, è quello che concerne la fattispecie in esame e, vale a dire, il controcredito che può essere opposto in via di eccezione di compensazione ed insieme essere fatto valere in via di riconvenzionale. Nonostante, dunque, la Corte potesse rimanere nei limiti di quanto disposto dall'art. 36 c.p.c., concernendo la fattispecie domanda connessa, essa, ad abundantiam, decide di focalizzarsi, altresì, sull'ammissibilità delle domande non connesse, ribadendo principi più volte affermati dalla giurisprudenza. Secondo un orientamento dominante, quindi, costituendo l'art. 36 c.p.c. norma sulla competenza, essa non indica le uniche riconvenzionali ammissibili. Infatti, quanto alle domande non connesse, in linea generale, la giurisprudenza di legittimità ritiene che, qualora non vengano in gioco problemi di competenza per territorio, la riconvenzionale possa essere proposta anche al di fuori dei casi di connessione specifica ex art. 36 c.p.c., ove sia - comunque - sussistente un collegamento obiettivo che renda opportuna la celebrazione del processo simultaneo. A sostegno di tale interpretazione, parte della dottrina ha invocato l'art. 104 c.p.c., il quale ammette che parte attrice possa cumulare contro il medesimo convenuto più domande non connesse oggettivamente, salvo il potere di separazione previsto dal comma 2. In questo modo, anche in assenza di una disposizione specifica, l'interpretazione della Cassazione garantisce così la parità delle armi, in via suppletiva, attribuendo al convenuto una facoltà processuale già garantita all'attore dall'art. 104 c.p.c. Altra dottrina, per contro, alla piena analogia di ratio con il cumulo oggettivo unilaterale di domande obietta che, in tal caso, il cumulo è frutto di una scelta consapevole dell'attore, mentre, nel caso della riconvenzionale, si tratterebbe di un'imposizione processuale del convenuto. Occorre rilevare come parte della giurisprudenza abbia interpretato la stessa nozione di connessione ai sensi dell'art. 36 c.p.c. in modo estensivo, nel senso che le due domande non devono dipendere da un unico ed identico titolo, dovendosi interpretare il requisito della dipendenza tra domande quale comunanza della situazione o del rapporto giuridico dal quale traggono fondamento le contrapposte pretese delle parti (cfr. Cass. civ., 17 maggio 2010, n. 12030; Cass. civ., 5 giugno 2009, n. 12985). Si evidenzia, altresì, che, nel caso sottoposto al vaglio della Corte, era l'opponente ad aver proposto domanda riconvenzionale. Per contro, ove sia l'opposto a proporre la riconvenzionale, egli - sostanzialmente attore - soggiace ai limiti derivanti dalla domanda fatta valere con il ricorso per decreto ingiuntivo. Infatti, la renconventio reconventionis può essere dichiarata ammissibile solo ove dipenda dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla stessa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale (Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2020, n. 6091; Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 2019, n. 5415) In conclusione, la sentenza, dando continuità ad orientamento ormai consolidato, si presenta “opportuna”, privilegiando esigenze di economia processuale, in sintonia con il disposto di cui all'art. 111 Cost., al di là dello stretto rigore letterale della norma. Nel contempo, il principio di diritto in essa sancito si rivela tutt'altro che irragionevole, vista la collocazione sistematica della norma in questione, e, anzi, in linea con le soluzioni adottate dalla maggior parte degli Stati Europei, in quanto è comunque richiesta l'esistenza di un collegamento obiettivo tra la domanda principale e quella riconvenzionale, inibendo così l'introduzione nel processo di domande totalmente sconnesse. Ora, le problematiche che possono derivare da tale orientamento concernono proprio la valenza della valutazione discrezionale cui è deputato il giudice di merito, tenuto conto che quello del “collegamento obiettivo” costituisce criterio dai contorni incerti, che può dare adito a criticità interpretative. In tale contesto, assume un'importanza fondamentale l'onere di motivazione, in modo che siano sempre intellegibili le argomentazioni sottese a tale valutazione e vengano evitati arbitri. Ciò, anche tenuto conto del fatto che, ove supportata da adeguata motivazione, tale valutazione non è sindacabile in sede di legittimità, costituendo questione di merito preclusa all'esame della Corte di cassazione.
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