La legittimazione dell'amministratore all'azione di rivendica di un locale caldaia sottoposto alla vendita all'asta

Maurizio Tarantino
28 Ottobre 2020

Le azioni reali da esperirsi contro i singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio condominiale che esulino dal novero degli atti meramente conservativi, possono essere esperite dall'amministratore solo previa autorizzazione dell'assemblea, ex art. 1131 primo comma c.c., adottata con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c..

Questo il contenuto dell'ordinanza della Corte di Cassazione, sez. II Civile, n. 21533/20, depositata il 7 ottobre.

La vicenda. Il Giudice delegato del fallimento aveva disposto la vendita all'asta del locale caldaia sito al piano seminterrato pervenuto al fallito per l'acquisto in forza di atto notarile del suolo sul quale era stato costruito il fabbricato in cui era ricompreso detto locale. Atteso che il Condominio aveva avuto il possesso pacifico, ininterrotto e non viziato del locale caldaia, aveva interesse a rivendicare il proprio diritto di proprietà esclusiva sul predetto locale. Per i motivi esposti, in sede di opposizione di terzo (ex art. 619 c.p.c.), il ricorrente Condominio aveva chiesto al Giudice adito la rivendica della proprietà del bene. Costituendosi in giudizio, il “Fallimento Ditta Beta” eccepiva l'improcedibilità del ricorso in quanto l'amministratore del condominio non aveva prodotto la delibera assembleare con cui gli era stato conferito il mandato a promuovere l'azione giudiziaria. Sia in primo che in secondo grado, i Giudici del merito dichiaravano l'inammissibilità dell'opposizione.

Le contestazioni. Avverso la pronuncia in esame, il Condominio proponeva ricorso in Cassazione eccependo che il Tribunale aveva ritenuto compresenti il difetto di legittimazione attiva dell'amministratore nonché il difetto in capo al medesimo della legittimazione ad processum. La Corte distrettuale, a sua volta, dichiarava inammissibile l'appello, in ragione del fatto che: il Condominio non aveva censurato entrambe le suddette rationes decidendi, ma solo la legitimatio ad processum; mentre la carenza di legitimatio ad causam non era stata adeguatamente contestata, in quanto anche l'azione di accertamento della proprietà è un'azione reale, e rispetto alle azioni reali l'amministratore non aveva la legittimazione.

La legittimazione dell'amministratore. Preliminarmente, la S.C. ha osservato che l'amministratore può costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell'assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere (come in effetti avvenuto) la necessaria ratifica del suo operato da parte dell'assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione (Cass. n. 8774/2020). Dunque, nel caso in questione, ai fini dell'azione, non era più controverso tra le parti che era intervenuta la delibera autorizzativa adottata con la necessaria maggioranza, non di natura meramente conservativa, ma avente la funzione di accertare la natura condominiale di un bene. Pertanto era legittima la legittimazione dell'amministratore, come autorizzato dall'assemblea, non essendo necessaria una deliberazione unanime, né la partecipazione al giudizio di tutti i condomini (Cass. n. 14797/2014).

La qualificazione dell'azione. Secondo i Giudici di legittimità, la Corte distrettuale aveva erroneamente escluso che il Condominio, in qualsiasi critica tesa a contrastare la situazione inerente al difetto di legitimatio ad causam, avesse impugnato tale ratio decidendi, tanto più considerando l'azione di rivendica e l'azione di accertamento della proprietà come inquadrate nell'ambito delle azioni reali. A tal proposito, gli Ermellini hanno osservato che le azioni reali da esperirsi contro i singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio condominiale che esulino dal novero degli atti meramente conservativi, possono essere esperite dall'amministratore solo previa autorizzazione dell'assemblea, ex art. 1131 comma 1, c.c., adottata con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c. Ove si tratti, invece, di azioni a tutela dei diritti esclusivi dei singoli condomini, la legittimazione dell'amministratore trova il suo fondamento soltanto nel mandato a lui conferito da ciascuno dei partecipanti alla comunione, e non anche nel predetto meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale, atteso che il potere di estendere il dominio spettante ai singoli condomini in forza degli atti di acquisto delle singole proprietà (come nel caso di specie, relativo a domanda di rivendica proposta dall'amministratore per usucapione di un'area finitima al fabbricato) era del tutto estraneo al meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale e può essere conferito, pertanto, solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascuno dei condomini interessati (Cass. n. 80/2015).

In conclusione, per i motivi esposti, il ricorso è stato accolto; per l'effetto, la pronuncia è stata cassata con rinvio.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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