Il contratto collettivo dei Riders: le nuove tutele e le critiche ingenerose del Ministero del lavoro

Pasquale Staropoli
18 Novembre 2020

Assodelivery, l'associazione che rappresenta pressoché la totalità delle imprese che operano nel settore del delivery, ha siglato con UGL Rider il primo contratto collettivo nazionale destinato a disciplinare il rapporto di lavoro reso nell'ambito dell'attività di consegna di beni per conto altrui...
Premessa

Assodelivery, l'associazione che rappresenta pressoché la totalità delle imprese che operano nel settore del delivery, ha siglato con UGL Rider il primo contratto collettivo nazionale destinato a disciplinare il rapporto di lavoro reso nell'ambito dell'attività di consegna di beni per conto altrui. Attività che viene svolta, come riportato dal testo sottoscritto il 15 settembre, dai c.d. Riders, lavoratori autonomi che, secondo l'art. 47 bis D.Lgs. 81/2015, “svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l'ausilio di velocipedi o veicoli a motore, attraverso piattaforme anche digitali”.

Il contratto in questione rappresenta un momento di fondamentale importanza, perché, per la prima volta – anche facendo riferimento all'ambito comunitario – un accordo collettivo provvede ad individuare le tutele da riconoscere a questa categoria di lavoratori che, nel compendio di qualificazione (lavoro autonomo) e condizioni (assenza di garanzie), si ritrovava in condizioni di sostanziale apolidia rispetto all'impianto di regolazione del diritto del lavoro del nostro ordinamento, fatta salva l'eccezione, recente, del Capo V bis D.Lgs. 81/2015, introdotto dal DL 101/2019 conv. in L. 128/2019), che si propone la tutela del lavoro tramite piattaforme digitali, ponendo livelli minimi di tutela per i lavoratori autonomi che svolgono l'attività in discorso, in assenza appunto di una contrattazione collettiva che attui tali princìpi.

Il CCNL Assodelivery – UGL colma questo vuoto di disciplina, introducendo regole di libertà, ai fini della possibilità di riconoscere la natura autonoma del rapporto di lavoro intrattenuto dai Riders con le piattaforme digitali, individuando ambito applicativo, impianto regolatorio, modalità di determinazione del compenso, indicazioni di tutela.

In maniera del tutto singolare, se non unica storicamente, l'Ufficio Legislativo del ministero del Lavoro si è scagliato contro questo contratto collettivo aggredendo la presunta non rappresentatività delle parti contraenti, oltre a lamentare una altrettanto congetturata attività qualificatoria della quale il contratto collettivo si sarebbe indebitamente arrogato.

È ancor più singolare che la nota dell'Ufficio del Ministero, inusuale per il contenuto, per la pubblicità che le è assegnata, per i mittenti ed i destinatari (l'Ufficio Legislativo del ministero del Lavoro scrive pubblicamente ad uno solo dei contraenti, la parte datoriale), rechi pari data rispetto alla lamentela, anche questa non immediatamente comprensibile, indirizzata da CGIL, CISL e UIL proprio al ministro del Lavoro.

L'analisi dell'accordo, alla luce di queste novità, non può perciò prescindere da una verifica della fondatezza dell'(in)tempestivo j'accuse ministeriale, premesso un tentativo di inquadramento della fattispecie.

I Riders, da sconosciuti a categoria contrattuale

Il sistema classificatorio del nostro diritto del lavoro, arroccato sulla dicotomia tradizionale lavoro autonomo/subordinato, non contempla alcuno strumento specifico che possa consentire un inquadramento ad hoc della figura dei Riders.

L'approccio relativo alle condizioni di questa categoria pertanto, è stato ad oggi tentato seguendo i canoni tradizionali, per cui preso atto della carenza di disciplina, cui corrisponde non di rado un pari difetto di tutela delle condizioni minime a garanzia della dignità della persona, la soluzione ha sempre evidenziato un tentativo di attrazione verso la sfera protettiva del lavoro subordinato, ogni volta che si è ritenuto di individuare esigenze di tutela. Tensione questa che, seppure giustificata dalle istanze di garanzia, non può soddisfare tout court, considerato che non può escludersi a priori la genuinità della natura autonoma di questo tipo di rapporti di lavoro, confermandosi piuttosto l'insorgenza della necessità di prevedere istituti di tutela per le condizioni dei prestatori di lavoro, ai quali la natura autonoma del rapporto, ove accompagnata da adeguate garanzie in ordine alla salute e sicurezza, risulta oggettivamente meglio attagliata.


In tal senso, senza pregiudizi, non può escludersene perciò la natura autonoma, che si può ragionevolmente configurare anche nell'ambito della prestazione di lavoro resa per il tramite delle piattaforme, che non a caso è presupposta dall'art. 47 bis D.Lgs. 81/2015, che si prefigge di stabilire livelli minimi di tutela per quelli che sono inequivocabilmente qualificati come lavoratori autonomi.


Ciò perché le specifiche modalità attraverso le quali è resa l'attività per il tramite delle piattaforme digitali, non necessariamente contemplano quelli che sono gli elementi qualificatori tipici della prestazione di lavoro subordinato. Non si rinviene il vincolo di soggezione al potere direttivo; risulta flebile l'elemento organizzativo; è assente la prerogativa disciplinare che discende da una potestà gerarchica, che richiederebbe un inquadramento organico ed una conseguente soggezione che, come premesso, non incombe sui Riders, nell'ambito della organizzazione della prestazione lavorativa. Sempre con il conforto della più recente giurisprudenza, si è potuta accertare l'assenza, fra gli altri, di un ulteriore elemento, seppure secondario rispetto a quelli appena premessi, rappresentato dall'obbligo del rispetto di un predefinito orario di lavoro, evidentemente assente nella fattispecie in esame. Fisiologicamente assente, considerate le modalità di esecuzione ed organizzazione della prestazione lavorativa.

La ricerca di un inquadramento

Ad oggi pertanto, la pur breve esperienza relativa alla fattispecie in discorso, ha confermato la sussumibilità della prestazione lavorativa resa dai c.d. Riders alla sfera del lavoro autonomo. È un tratto che si evidenzia dalle modalità con le quali è resa – quando genuinamente organizzata – e che è risultato confermato dallo scrutinio della giurisprudenza, che sino al terzo grado, nell'esperienza al momento nota e più completa, che ha dato la stura alla famosa sentenza della Corte di cassazione (24 gennaio 2020, n. 1663), ha confermato la natura autonoma della prestazione lavorativa resa con le modalità della fattispecie in esame, pur evidenziando le carenze, in termini di tutela, degli strumenti normativi disponibili.

Il legislatore ha tentato di colmare questo vuoto con la L. 128/2019, che ha introdotto il Capo V bis D.Lgs. 81/2015, destinato alla “Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali”. Ma questa norma, che si prefigge dichiaratamente di provvedere a garantire livelli minimi di tutela, e che pure, con il già ricordato art. 47-bis, non nega, anzi presuppone, la natura autonoma di questa modalità di resa della prestazione lavorativa, di per sé non asserve ad una risoluzione definitiva.

È pur vero però che il primo comma dell'art. 47 bisD.Lgs. 81/2015 si propone di stabilire livelli minimi di tutela per i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, “in ambito urbano e con l'ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all'articolo 47, comma 2, lettera a), del codice della strada, di cui al D.Lgs. 285/92 attraverso piattaforme anche digitali”,costituisce un fondamentale momento per superare il pregiudizio della necessità della tutela per questo tipo di lavoratori soltanto attraverso il ricorso alla disciplina del lavoro subordinato.

Il contratto collettivo nazionale

Il CCNL del 15 settembre fissa i canoni per la disciplina del rapporto di lavoro con le piattaforme digitali del Food Delivery, definendo le caratteristiche dei soggetti che vi partecipano, individuando i requisiti affinché la natura del rapporto di lavoro possa essere considerata genuinamente autonoma, fissando i requisiti di forma ed i canoni per la determinazione del compenso.

Si tratta in buona sostanza della attuazione di quelle finalità di tutela che il legislatore del 2019 si era prefisso, e che adesso trovano una applicazione concreta, non soltanto nei termini di posizione dei princìpi, bensì di puntuale regolazione del rapporto di lavoro, tale da consentire, tra l'altro, l'applicazione dell'eccezione di cui al secondo comma dell'art. 2 D.Lgs. 81/2015, che esclude l'operatività della presunzione che condurrebbe altrimenti, in presenza della c.d. etero-organizzazione della prestazione, alla applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, come dal primo comma dello stesso art. 2.

Il contenuto del rapporto

L'art. 5 del CCNL individua il proprio ambito applicativo, secondo il criterio dell'adesione o comunque del rinvio alla sua disciplina, per quei rapporti di lavoro rientranti nei canoni della prestazione autonoma, che è tale fin tanto che al Rider sono garantire quelle condizioni di libertà richiamate dall'art. 7 del CCNL. Condizioni che implicano la possibilità di decidere se fornire la propria opera, di accettare o meno la proposta di consegne, di decidere se e quando eseguire l'attività pattuita, senza l'assoggettamento a vincoli orari e senza la necessità di giustificare eventuali assenze.

A fronte poi di una sostanziale libertà di recesso dal contratto (art. 9), che è assoluta per il Riders, condizionata al rispetto di un termine di 30 giorni per la piattaforma (salva la possibilità di corrispondere un importo pari alla media dei compensi percepiti nei 60 giorni precedenti), i contenuti di forma del contratto individuale di lavoro sono declinati con puntualità. L'art. 8 infatti, premessa la necessità della sua redazione in forma scritta, richiede che contenga “in maniera imprescindibile” i seguenti elementi:

  • l'identità delle parti;
  • il richiamo esplicito al presente Contratto Collettivo Nazionale;
  • la descrizione dell'attività lavorativa che si richiede;
  • il diritto del Rider, e lavoratori riconducibili a tale qualifica, di autoregolamentarsi nell'attività lavorativa, relativamente ai: tempi, luoghi, orari e modalità di esecuzione della prestazione;
  • gli obblighi contrattuali delle parti;
  • il rispetto e le modalità di applicazione del D.Lgs. 196/2003 e del Regolamento Europeo GDPR 2016/679;
  • il richiamo e il rispetto degli obblighi in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, stabiliti dal D.Lgs. 81/2008, così come applicabili ai lavoratori autonomi.

Si tratta di una previsione evidentemente in linea con le intenzioni del legislatore, considerato che l'art. 47-ter D.Lgs. 81/2015, si limita a prevedere la forma scritta ad probationem, e ad indicare che attraverso il contratto i lavoratori devono ricevere ogni informazione utile per la tutela dei loro interessi, dei loro diritti e della loro sicurezza. Sicurezza le cui prescrizioni, oltre alla obbligatorietà dell'assicurazione INAIL (art. 16), sono contenute dall'art. 14 quanto agli obblighi di dotazione e dall'art. 18 riguardo agli obblighi anche di informazione. Coerentemente con quello che è l'impianto del T.U. D.Lgs. 81/2008, improntato alla prevenzione, la norma piuttosto che alla più semplice difesa dei diritti, pone come obiettivo l'effettiva salvaguardia del lavoratore, impegnando le piattaforme alla promozione della tutela della salute e dello svolgimento dell'attività in totale sicurezza, e perciò prevedendo che queste:

  • assicurino l'applicazione del D.Lgs 81/2008, così come previsto dal combinato disposto degli artt. 47 bis e 47 septies D.Lgs. 81/2015;
  • raccolgano dai Riders le dichiarazioni di verifica dell'idoneità tecnico professionale del lavoratore autonomo;
  • consegnino a ciascun Rider l'informativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro;
  • mettano a disposizione dei Riders, a titolo gratuito, i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) come disposto dal precedente art. 14;
  • a proprie spese mettano a disposizione del Rider dei percorsi di formazione in materia di sicurezza stradale e trasporto e conservazione degli alimenti tramite piattaforma e-learning, anche organizzati collettivamente dalle Parti.

Riveste particolare importanza la disciplina di uno degli elementi più controversi della gestione del rapporto dei Riders, rappresentato dal ranking e dalle ricadute che possono conseguire per l'ambito reputazionale del lavoratore. Il tema, insieme con l'affermazione del diritto alla disconnessione, è affrontato dall'art. 20 del contratto, che afferma innanzi tutto il principio generale del divieto di discriminazione, anche in relazione ai sistemi di ranking. Questi devono essere improntati nel segno della massima trasparenza circa i criteri adottati, che in ogni caso non possono tenere conto delle caratteristiche personali dei Riders quali sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Devono avere invece specifico riguardo del diritto al riposo del Riders, riconoscendo la possibilità per il lavoratore di decidere quali proposte di consegna accettare o rifiutare, senza la possibilità per le Piattaforme di ridurre per ciò solo le occasioni di consegna in ragione della mancata accettazione delle proposte offerte, anche con riferimento ai sistemi di ranking.

La determinazione del compenso

Le modalità per la determinazione del compenso sono demandate pressoché integralmente alla contrattazione collettiva. L'art. 47-quater D.Lgs. 81/2015 richiede soltanto che si tenga conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell'organizzazione del committente, fissando il divieto del cottimo in caso di difetto della previsione contrattuale.

Esercitando tale ampia delega, il ccnl Assodelivery all'art. 10 fissa i princìpi per la determinazione del compenso del Rider, così individuandoli:

  • è sempre ferma per il Rider la possibilità di accettare (e dunque effettuare) o non accettare consegne nell'ambito dell'intero rapporto;
  • non viene in nessun caso richiesto al Rider di effettuare consegne o, neppure, essere disponibile a ricevere proposte per un periodo di tempo determinato;
  • il Rider non ha, pertanto, alcun obbligo al di fuori dell'eventuale svolgimento professionale e responsabile dei servizi accettati;
  • il Rider è sempre libero nella medesima unità di tempo (ora o frazione di essa) di effettuare servizi per Piattaforme diverse, anche direttamente concorrenti tra loro.

Ciò premesso, i criteri fondamentali per la determinazione del compenso devono tenere conto di:

  • distanza della consegna;
  • tempo stimato per lo svolgimento della consegna;
  • fascia oraria;
  • giorno feriale o festivo;
  • condizioni meteorologiche.

Si tratta di requisiti relativi ai contenuti minimi necessari, essendo espressamente prevista la possibilità di integrazione e/o implementazione degli stessi.

Fissati i criteri, il ccnl si preoccupa della determinazione concreta di quello che deve essere il compenso minimo per consegna, individuando all'art. 11 le modalità concrete per il suo calcolo, partendo sulla base del tempo stimato per l'effettuazione delle consegne, ed un importo equivalente a 10,00 euro l'ora. A tale importo si sommano una serie di indennità integrative, connesse alle condizioni rispetto alla prestazione resa (lavoro notturno, festivo, condizioni metereologiche).

Gli effetti del ccnl Riders

Senza la necessità di sforzarsi in lodi nei confronti della regolamentazione in discorso, non vi è dubbio che questa si colloca nel solco tracciato dal legislatore della dignità intransigente ha comunque scelto di affidarsi alla contrattazione collettiva per la disciplina di quella che oggettivamente appariva come una nuova frontiera regolatoria, rispetto alla quale, per le modalità border-line attraverso le quali è resa la prestazione di lavoro, risulta complicato ricondurre la disciplina ad un unicum normativo.

Il contratto collettivo per i Riders risulta perciò realizzare quei fini che lo stesso legislatore gli ha assegnato, tesi alla definizione dei criteri di determinazione del compenso complessivo, che tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell'organizzazione del committente, giusto il primo comma dell'art. 47-quater D.Lgs. 81/2015. Realizzazione di quel quadro regolatorio completo, utile oltre che al superamento dell'applicazione della generale presunzione del primo comma dell'art. 2 D.Lgs. 81/2015, ad impedire l'operatività dell'ipotesi residuale di cui al secondo comma dell'art. 47-quater, per effetto della quale, decorsi dodici mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto introduttivo delle norme a tutela del lavoro tramite piattaforme digitali (L. 128/2019, entrata in vigore il 3 novembre), “i lavoratori di cui all'articolo 47-bis non possono essere retribuiti in base alle consegne effettuate e ai medesimi lavoratori deve essere garantito un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.”

La levata di scudi della triplice e la singolare (e coeva) risposta del Ministero

Sennonché, a fronte di un quadro di sostanziale omogeneità della contrattazione collettiva rispetto a quelle che appaiono essere state le indicazioni del legislatore, a sorpresa, insorgono CGIL, CISL e UIL, con una nota indirizzata al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la quale lamentano che dalla sottoscrizione dell'accordo, ritenuto addirittura un “atto di assoluta scorrettezza e aperta ostilità”, si avrebbe “un sensibile peggioramento delle condizioni di lavoro” (Nota CGIL-CISL-UIL del 17 settembre 2020).

Se ciò può rientrare nella dialettica del gioco delle parti e della rivendicazione delle proprie posizioni contrattuali tra le diverse rappresentanze sindacali, ciò che davvero ha sorpreso è che contemporaneamente alla levata di scudi della triplice, il Ministero del Lavoro, rectius, il Capo dell'Ufficio Legislativo, pubblica (circostanza altrettanto rara) una nota che trasmette ad Assodelivery e per conoscenza alla propria Direzione Generale dei rapporti di lavoro ed al Capo di Gabinetto. Ciò facendo strame (o perlomeno avendone l'intenzione) dell'accordo collettivo raggiunto.

La nota dell'Ufficio legislativo del ministero del Lavoro si articola in sei punti, tesi a contestare una discutibile funzione qualificatoria all'accordo collettivo in discorso, ed a denunciarne la mancanza di rappresentatività sino, addirittura, a paventarne la possibilità che possa rappresentare una regolamentazione c.d. “pirata”. Ciò con curiosa assonanza con quelle che erano state le lamentele espresse dalla triplice con la propria nota.

In realtà, a voler esaminare in dettaglio rilievi del Ministero, questi appaiono oggettivamente tutt'altro che fondati.

Posta una premessa ricognitiva dell'assetto determinato dall'applicazione dell'art. 47-quater D.Lgs. n. 81/2015, ai successivi punti b), c), d) della nota dell'Ufficio legislativo del Ministero del Lavoro, si appalesa un coacervo di premesse teoricamente condivisibili (i riferimenti al concetto di rappresentatività comparativa), unitamente a conclusioni oggettivamente discutibili (la negazione della riconducibilità del premesso requisito ai sottoscrittori dell'accordo in esame), e talune finanche evidentemente erronee (la considerazione della garanzia minimo orario).

Il problema della rappresentanza sindacale

In realtà i punti in discorso non recano alcun elemento che consenta di decifrare le ragioni che consentano di condurre alle conclusioni cui la nota perviene. Non è esposto, in buona sostanza, il motivo per il quale i sottoscrittori dell'accordo contrattuale non godrebbero del requisito di rappresentatività prescritto dalla norma, né l'astratta lapidarietà delle conclusioni cui la nota giunge, per cui: “la sottoscrizione di una sola sigla sindacale non sembrerebbe prima facie (e dunque in termini di mera ipotesi speculativa) idonea a soddisfare il requisito di cui sopra”.

Non pare invero potersi dubitare, anche alla luce di quanto premesso con il CCNL di cui si discute, del requisito della rappresentatività in capo ai soggetti stipulanti, comunque la si voglia qualificare e qualsiasi voglia essere il requisito selettivo da adottare. Quest'ultimo per la verità non risulta nemmeno chiaramente individuato dalla nota ministeriale, tale da poterne verificare i requisiti presuntivamente addotti.

I confini della delega

Da respingere integralmente appaiono poi le presunzioni di cui al punto e), che vorrebbero la deroga concessa dal primo comma dell'art. 47-quater alla contrattazione collettiva, comunque limitata dalla “esigenza della garanzia di un compenso minimo orario, come si desume in particolare dal secondo comma della disposizione”. L'assunto è erroneo, perché non può opporsi alcun ragionevole dubbio alla considerazione che la operatività del secondo comma dell'art. 47-quater è subordinata al difetto del contratto collettivo, come da premessa del capoverso medesimo della previsione contrattuale, non operante perciò quale limite inderogabile diffuso. Le conclusioni risultano peraltro contraddittorie, considerando che è la nota medesima, al punto a), a confermare tale funzione residuale delle previsioni di cui al secondo comma dell'art. 47-quater, evidenziandone l'operatività soltanto in difetto della regolazione da parte della contrattazione collettiva. Peraltro, considerata la formulazione del primo comma della disposizione in esame, nonché la sua collocazione all'interno del D.Lgs. 81/2015, non può neppure escludersi che i contratti collettivi abilitati alla predisposizione dei criteri in parola, possano essere quelli raggiunti anche in sede decentrata, giusto l'art. 51 D.Lgs. 81/2015.

La presunta attribuzione qualificatoria

Le posizioni contenute dal punto f) della nota ministeriale appaiono del tutto erronee, e comunque fuorvianti, laddove si vorrebbe lamentare una – presunta ma insussistente – “inusuale attività qualificatoria”, che si addebita all'accordo collettivo di cui si discute, tacciato di una impropria volontà di attribuzione in astratto di una specifica natura dei rapporti di lavoro dei quali si preoccupa invece di disciplinare i livelli di tutela, giusta la delega rilasciata proprio dalla legge invocata dalla nota ministeriale.

Secondo quanto presunto al punto f), “dalla lettura dell'art. 3 del contratto, sembrerebbe invece desumere che le parti abbiano voluto procedere a una tale qualificazione, individuando una sorta di attività tipica cui attribuire la natura di lavoro autonomo”. La posizione, forse, patisce vizi di merito e di metodo.

Quanto al primo approccio, la critica mossa dalla nota ministeriale all'accordo collettivo in discorso è erronea, perché questo, lungi dalla volontà qualificatoria, prevede un corollario di tutela per una categoria di lavoratori del tutto sprovvista altrimenti di quelle garanzie, se ed in quanto ascrivibili alla categoria dei lavoratori autonomi, giuste le modalità concrete attraverso le quali la prestazione è resa. Ciò senza alcuna intenzione definitoria, qualificatoria, tantomeno priva di possibilità alternative. È nota infatti, e pacifica, come più volte affermato, la sussumibilità della prestazione lavorativa resa dai riders alla sfera del lavoro autonomo. È un tratto che si evidenzia dalle modalità con le quali è resa – quando genuinamente organizzata – e che è risultato confermato dallo scrutinio della giurisprudenza, come già ricordato, da ultimo con la nota sentenza della Corte di cassazione (Cass. 24 gennaio 2020 n. 1663).

Conseguentemente, l'accordo collettivo de quo, lungi da recare intenzioni qualificatorie definitive, legittimamente predispone un regime di tutela applicabile a quei rapporti di lavoro, se ed in quanto recanti i connotati della genuina natura autonoma, non essendo impedito, altrimenti, il ricorso alla applicazione di una disciplina diversa, quando tale possa risultare, in concreto, la natura dell'attività lavorativa svolta, ad esempio ascrivibile al tipo subordinato. E ciò senza che il portato dell'art. 3 del CCNL abbia un significato ulteriore, non voluto, non dichiarato.

Come premesso, l'assunto del punto f) è infine erroneo nel metodo, considerato che a porre la necessità di sopperire allo horror vacui dell'assenza di livelli minimi di tutela per i lavoratori autonomi, se ed in quanto tali, è proprio la legge (art. 47 bis, c. 1), inopinatamente invocata per opporsi alla sua attuazione, fisiologica, determinata dall'accordo collettivo di cui si discute

Considerazioni conclusive. La soluzione di Just Eat

Alla luce di quanto sin qui osservato, non paiono potersi temere i rischi che il ministero del Lavoro paventa, né che il CCNL Riders sia afflitto davvero dai vizi. Non provvede ad alcuna qualificazione forzosa, richiamando anzi, pedissequamente alla delega assegnatagli dalla legge, quelle caratteristiche che consentono l'applicazione della disciplina prevista per la natura autonoma del rapporto di lavoro, evidentemente se ed in quanto, sostanzialmente tale natura abbia a riscontrarsi come effettiva e genuina. Non può considerarsi un contratto pirata. Non esiste un altro contratto di riferimento; le condizioni introdotte sono le uniche migliorative e comunque destinate a costituire condizioni di tutela per una categoria di lavoratori che altrimenti, a quelle condizioni ne sarebbe sprovvista. Non si può negare la rappresentatività ai soggetti che lo hanno sottoscritto, che coprono pressoché la totalità degli attori del settore. È debole l'argomentazione, sostenuta dalla nota dell'Ufficio legislativo, della necessità della contemporanea sottoscrizione da parte di tutte le sigle sindacali. Il plurale, ragionevolmente, si deve soltanto alla circostanza che il riferimento è – opportunamente – riferito alle organizzazioni di entrambe le parti del rapporto; datoriale e dei lavoratori.

Ne consegue che l'apprezzamento nei confronti dell'accordo collettivo in discorso non può che confermarsi, nonostante gli strenui attacchi concentrici. Considerata la perfettibilità tipica di ogni realizzazione umana, non vi è dubbio che il contratto ha il pregio indiscutibile di colmare un vuoto insopportabile, avendo percorso peraltro, senza tema di smentita, il solco tracciato dalla delega della legge. Né particolare significato di segno contrario può essere assegnato all'annuncio recente, da parte di Just Eat Italia, si vuole assumere i riders come lavoratori subordinati ed organizzare così secondo i canoni dell'art. 2094 c.c la prestazione di food delivery nel proprio ambito.

La circostanza infatti non rappresenta che una delle modalità attraverso le quali ogni attività lavorativa – nessuna esclusa – può atteggiarsi, senza perciò mutare il quadro appena descritto e le considerazioni espresse. Ciò, anzi, conferma l'impostazione della necessità di una regolamentazione adeguata che tuteli i diritti dei lavoratori quando operino al di fuori delle tutele tipiche del lavoro subordinato, rendendo una prestazione con modalità genuinamente autonome, senza preclusioni pregiudizievoli in un senso o nell'altro. È infatti ben possibile che siano percorse soluzioni che implichino, come dalla scelta di Just Eat Italia, la sottoscrizione ed instaurazione di rapporti di tipo subordinato, quale manifestazione dell'esercizio di una libertà sui cui medesimi princìpi si fondano i riconoscimenti al contratto collettivo di cui è stato brevemente conto, il cui intervento si conferma perciò in linea di principio necessario, quando non ricorrono, genuinamente, i canoni di cui all'art. 2094 c.c.

(Fonte: MementoPiù)

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