Nel computo delle teste si devono contare le persone fisiche e non il numero di diritti sugli immobili nel condominio
19 Novembre 2020
Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25558/20, depositata il 12 novembre.
Il caso. Due condomini impugnavano una delibera assembleare contestandone la validità formale e chiedendone la declaratoria di nullità e/o annullabilità. In particolare, essi sostenevano il mancato rispetto da parte del condominio delle maggioranze previste per il codice civile per la costituzione e la votazione dell'assemblea e conseguentemente ritenevano invalida la deliberazione. Altri due condomini dello stabile erano una condomina proprietaria del proprio immobile e usufruttuaria di un secondo e altri due che erano nudi proprietari dell'appartamento occupato dalla prima citata. All'esito del giudizio il Tribunale rigettava il ricorso e condannava altresì i ricorrenti alla refusione delle spese processuali nella forma aggravata di cui all'articolo 96 c.p.c. La vicenda approdava, quindi, in Corte d'Appello, a seguito dell'impugnazione dei condomini soccombenti. L'esito del processo, tuttavia, era identico a quello di prime cure. I condomini depositavano ricorso incentrato su un unico motivo di diritto. In particolare, a detta degli stessi, avrebbe errato la Corte d'Appello– ai sensi del combinato disposto tra gli artt. 1136, comma 3, c.c. e art. 67 disp. Att. c.c. (entrambi, ratione temporis, nella formulazione antecedente alla riforma del diritto condominiale del 2012) nel computo delle maggioranze necessarie per “teste” prevista dalla normativa ai fini dell'approvazione della delibera condominiale.
La Cassazione afferma che una persona conta come una testa anche se ha più diritti su vari immobili in condominio. La Cassazione accoglieva il ricorso dei condomini. Nel condominio in questione, infatti, vi erano solamente due condomini persone fisiche (come specificato nelle premesse). Erroneamente, si era conteggiato la condomina come due “teste” ai fini delle maggioranze richieste dall'art. 1136, comma 3, c.c. per l'approvazione della delibera assembleare. Tale norma affermava (nella sua forma ante riforma ex legge 220/2012) che «L'assemblea è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell'intero edificio e i due terzi dei partecipanti al condominio. Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio. Se l'assemblea non può deliberare per mancanza di numero, l'assemblea di seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima; la deliberazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio».
Alla luce della peculiare situazione del condominio, definibile come condominio minimo, quindi, la delibera non poteva essere presa. Il comma 3 della succitata norma (evidenziato in grassetto) prevede infatti che in caso di impossibilità della deliberazione per carenza del numero legale si debba riconvocare l'assemblea e, in caso di persistente paralisi, si deve ricorrere all'autorità giudiziaria. Sul punto la giurisprudenza risulta cristallina: si afferma infatti che laddove i condomini legittimati a partecipare all'assemblea siano solo due e manca l'unanimità, essi sono costretti a ricorrere all'autorità giudiziaria come sostenuto anche dagli articoli 1105 e 1139 c.c. (si veda Cass. Sez. Unite, 2046/2006 o Cass. n. 5288/2012). Alla luce del principio esposto, aveva effettivamente errato il condominio nel considerare approvata una delibera che si basava sulla finzione relativa al calcolo di una sola persona fisica come due teste. La Cassazione, quindi, accoglieva il ricorso e rinviava alla Corte d'Appello per una nuova valutazione sul merito.
Fonte: dirittoegiustizia.it |