Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e condominio
26 Novembre 2020
Il quadro normativo
La l. 27 gennaio 2012, n. 3, anche conosciuta come legge “salva suicidi” - modificata dal c.d. decreto sviluppo-bis, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in l. 17 dicembre 2012, n. 221 e dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni in l. 6 agosto 2015, n. 132 - prevede tre procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento: l'accordo di composizione della crisi, il piano del consumatore e la liquidazione del patrimonio, misure che offrono l'opportunità a tutti i soggetti privati, non fallibili, che hanno contratto debiti e non sono più in grado di onorarli, di ottenere l'esdebitazione. Il capo II della l. n. 3/2012 - rubricato “Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio” - comprende tre sezioni. La prima intitolata “Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento” agli artt. 6-9 detta disposizioni di carattere generale riferite a cosa si intenda per sovraindebitamento e consumatore (art. 6), ai presupposti di ammissibilità dell'accordo e del piano, al contenuto dell'accordo e del piano e al deposito della proposta (artt. 7-8 e 9); agli artt. 10-11 e 12 contempla la disciplina dell'accordo di composizione della crisie agli artt. 12-bis e 12-ter la disciplina del piano del consumatore per chiudere con le norme relative all'esecuzione e alla cessazione degli effetti dell'accordo e del piano (artt. 13-14 e 14 bis). La seconda sezione agli artt. 14-ter – 14-terdecies si occupa della procedura alternativa di liquidazione del patrimonio e dell'esdebitazione e la terza si riferisce alle disposizioni comuni e finali (artt. 15-21). Le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento sopra indicate sono state, da ultimo, normate dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza) e ivi trasfuse con effetto dal 1 settembre 2021, in forza della legge 5 giugno 2020 n. 40 che ha differito l'entrata in vigore del Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, originariamente prevista al 15 agosto 2020. Come si legge nella relazione di accompagnamento allo schema di legge delega licenziato dalla commissione Rordorf la riforma del sovraindebitamento si rendeva necessaria, da un lato, per delineare un quadro organico di tutte le procedure in materia di crisi e di insolvenza, salvo le differenzazioni dovute alle peculiarità della fattispecie, e, dall'altro, per la “quasi totale disapplicazione dell'istituto, che in Italia - a differenza che in altri paesi europei ed extraeuropei - non sembra ancora avere incontrato il favore degli operatori e dei soggetti destinatari, così fallendo il suo obiettivo di concorrere, attraverso l'esdebitazione, alla ripresa dell'economia”. In questa prospettiva, il nuovo Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (C.C.I.I.) viene asostituire integralmente tutte le disposizioni contenute nella legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e successive modificazioni) e nella l. 27 gennaio 2012, n. 3. Fino all'entrata in vigore del C.C.I.I. si applica la l. 27 gennaio 2012, n. 3, e per effetto della disposizione di cui all'art. 390, comma 2,C.C.I.I., per le procedure che, alla data di entrata in vigore del Codice, risulteranno ancora pendenti, si applica la disciplina contenuta nell'attuale normativa. Le nuove procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, previste nel titolo IV, capo II e nel titolo V, capo IX del C.C.I.I., si distinguono in: · piani di ristrutturazione dei debiti e procedure familiari (artt. 65 ss.); · concordato minore (artt. 74 ss.); · liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268 ss.). L'art. 66 del C.C.I.I. prevede le procedure familiari che coinvolgono membri della stessa famiglia con la possibilità di presentare un unico progetto, ferma restando la distinzione delle masse attive e passive. Il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67 ss.C.C.I.I.) corrisponde all'attuale procedura del piano del consumatore ed è rivolta esclusivamente alla persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una s.n.c., s.a.s. o s.a.a., per i debiti estranei a quelli sociali. Gli artt. 74 ss.del C.C.I.I. contemplano il concordato minore equivalente all'attuale procedura di accordo di composizione della crisi ed è rivolto a soggetti insolventi, diversi dal consumatore, diretto principalmente a consentire la prosecuzione dell'attività imprenditoriale o professionale. Infine, gli artt. 268-277 del C.C.I.I. si occupano della liquidazione controllata del sovraindebitato coincidente con l'attuale procedura di liquidazione del patrimonio, mentre gli artt. 282 e 283 del C.C.I.I. dettano la disciplina della nuova esdebitazione del debitore incapiente. Le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento
La composizione della crisi da sovraindebitamento è una procedura concorsuale a tutti gli effetti con la conseguenza che tutte le procedure attualmente previste (piano del consumatore, accordo di ristrutturazione dei debiti e liquidazione) hanno la funzione di ristrutturare i debiti del soggetto sovraindebitato, con effetti esdebitatori, anche attraverso uno stralcio (falcidia) degli stessi. Per poter accedere a tali procedure è necessario che il soggetto si trovi in una situazione di sovraindebitamento. Il termine rappresenta la traduzione letterale del tedesco uberschuldung che indica una situazione di “sbilancio patrimoniale”. L'art. 6, comma 2, della l. n. 3/2012 introduce una definizione di sovraindebitamento, stabilendo che si intende per “sovraindebitamento: la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”. In estrema sintesi, si deve trattare di uno squilibrio economico-patrimoniale che determina uno stato di illiquidità che permane nel tempo e dal quale possono conseguire con alta probabilità uno stato di insolvenza reversibile o irreversibile. Le componenti macroscopiche del sovraindebitamento sono, dunque, lo squilibrio economico patrimoniale, lo stato di illiquidità e lo stato di insolvenza reversibile o irreversibile. Per quanto concerne il Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, l'art. 2, comma 1, alla lett. c) intende per “sovraindebitamento: lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell'imprenditore minore, dell'imprenditore agricolo, delle start-up innovative …….. e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza”. Come si è avvertito, il legislatore del 2019 se, da un lato, ha conservato la nozione di sovraindebitamento, dall'altro, rispetto alla definizione contenuta nella l. n. 3/2012, ha rinunciato a definire in maniera autonoma il sovraindebitamento, rinviando alle nozioni di insolvenza e di crisi di cui alle lett. a) e b) del medesimo art. 2. Oltre a trovarsi in una situazione di sovraindebitamento (nei termini sopra indicati) è necessario che il debitore non incorra in particolari situazioni che la legge indica come cause di inammissibilità (art. 7, comma 2, l. n. 3/2012). Per quanto concerne le tre procedure, cui possono ricorrere i soggetti non fallibili, previste dalla legge n. 3/2012 occorre rilevare che il soggetto sovraindebitato può concludere con i propri creditori un accordo di composizione della crisi (art. 9), un piano del consumatore (art. 12-bis) o accedere alla liquidazione del patrimonio non formulando alcuna proposta ai creditori, ma mettendo a disposizione il proprio patrimonio (art. 14-ter). Le tre procedure, pur essendo diverse tra di loro, sono tutte finalizzate all'esdebitazione del debitore. Inoltre, le prime due procedure sono affini al concordato, mentre la terza è più vicina alla procedura fallimentare, anche se non vige la regola del concorso: non è, infatti, prevista la par condicio creditorum, vale a dire non è necessario che vi sia un pagamento in misura proporzionalmente uguale per creditori nelle medesime condizioni. L'accordo di composizione della crisi e il piano del consumatore hanno in comune il contenuto obbligatorio, definito all'art. 8, ma si distinguono dal punto di vista soggettivo in quanto l'accordo è rivolto principalmente ad imprese e lavoratori autonomi, mentre il piano al solo consumatore. Altri elementi distintivi sono costituiti dalla circostanza che l'accordo è consentito sia per debiti derivanti dall'attività svolta che per debiti misti, anche di natura personale, mentre il piano è previsto solo per debiti familiari o personali, ad esclusione, quindi, di quelli derivanti dall'attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta. Inoltre, l'accordo richiede il voto favorevole dei creditori che rappresentano il 60 per cento dei crediti, con il principio del silenzio assenso, in base al qualela mancanza di voto equivale a voto favorevole e con efficacia vincolante nei confronti dei creditori dissenzienti; invece il piano ne prescinde, essendo rimessa al Tribunale, previa attestazione del gestore attraverso la relazione particolareggiata, una valutazione sulla meritevolezza del consumatore, ossia solo se può escludersi che il consumatore ha assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero ha colposamente contribuito a determinare il sovraindebitamento. Vi è, infine, la procedura di liquidazione dell'intero patrimonio che consiste nella liquidazione di tutti i beni del debitore, esclusi i beni di carattere personale, con una procedura analoga a quella fallimentare e che, come per il piano del consumatore, prescinde da un accordo con i creditori. Il buon esito delle tre procedure, e dunque l'esecuzione dell'accordo o del piano omologato o la chiusura della liquidazione, comportano il beneficio dell'esdebitazione, a prescindere dalla percentuale di soddisfacimento dei crediti, che può, anche, essere assai ridotta. Sebbene la l. n. 3/2012 preveda espressamente un procedimento apposito, finalizzato all'esdebitazione, soltanto per la liquidazione del patrimonio, si ritiene che negli altri due casi il beneficio sia automatico. Per quanto concerne le procedure previste dal Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, al di là delle nuove denominazioni, occorre rilevare che se, da un lato, l'ambito di applicazione dei procedimenti è pressoché identico, dall'altro, invece, non è più prevista l'alternatività dei procedimenti, attualmente disciplinati dalla l. n. 3/2012, con conseguente esclusione del rischio di sovrapposizione di procedure, attualmente attivabili dall'insolvente. Infatti, se la l. n. 3/2012 contempla la possibilità che l'accordo di composizione della crisi possa essere promosso sia dal consumatore che dagli altri debitori (imprenditori non fallibili e lavoratori autonomi), con le nuove disposizioni introdotte dal Codice i consumatori potranno esperire la procedura loro riservata, mentre gli altri debitori potranno accedere al concordato minore, precluso ai consumatori. L'ulteriore novità è data, infine, dalle procedure familiari e collegate: per i membri di una stessa famiglia (parenti sino al quarto grado e affini entro il secondo), per i soggetti legati da unione civile ed i conviventi è possibile la presentazione di un unico progetto di risoluzione della crisi da sovraindebitamento. Questo non comporta la confusione delle masse, attive e passive, che restano separate. Con riguardo ai soggetti beneficiari, la peculiarità del sovraindebitamento è che si rivolge a soggetti che non sono assoggettabili alla legge fallimentare (persone fisiche, consumatori, soggetti sotto soglia fallimentare). Solo il “consumatore” è definito e individuato dalla norma fra i debitori ammessi alle procedure di gestione della crisi da sovraindebitamento (in particolare al piano del consumatore), mentre tutti gli altri debitori vengono individuati fra quelli che intendono porre rimedio“alle situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo” (art. 6, comma 1, l. n. 3/2012), fatta eccezione per l'imprenditore agricolo, espressamente assoggettato all'accordo di composizione della crisi, ex art. 7, comma 2-bis,della l. n. 3/2012. La definizione di consumatore è espressa nel testo normativo alla lett. b) del 2 comma dell'art. 6, in cui è statuito che per consumatore si deve intendere: “il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”. Tale nozione è stata introdotta dal legislatore ai fini dell'individuazione della categoria di debitori che possono “far ricorso” alla procedura del piano del consumatore. Il C.C.I.I. all'art. 2, comma 1, lett. e), definisce il “consumatore” come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali”. Si tratta di definizioni che ricalcano quella contenuta nel codice del consumo il quale specifica che per “consumatore” si debba intendere “la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. Si é posta la questione se la nozione di consumatore quale figura nel Codice del consumo sia la stessa di quella prevista dalla legge sul sovraindebitamento. Non è questa la sede per ripercorrere le elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali sulla nozione di consumatore, quale recepita nel Codice del consumo, basterà in proposito solo ricordare che la Corte di Cassazione ha assunto una interpretazione letterale della norma circoscrivendo lo status giuridico di consumatore alle sole persone fisiche (Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2002, n. 14561; Cass. civ., sez. III, 8 giugno 2007, n. 13377), con conseguente impossibilità di estendere la tutela a soggetti che persone fisiche non sono, quali le persone giuridiche e gli enti, con o senza personalità giuridica. Pertanto, ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della ;tutela forte di cui alla disciplina consumeristica, non vi sono dubbi che la qualifica di consumatore spetti esclusivamente alle persone fisiche e che la stessa persona fisica che svolge attività imprenditoriale o professionale potrà essere considerata alla stregua del semplice consumatore soltanto allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività (v., tra le tante, Corte Giust., 3 settembre 2015, C-110/14; e, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2018, n. 31004, la quale ha esteso la tutela del consumatore anche all'imprenditore, laddove con il contratto abbia inteso soddisfare esigenze della sua vita quotidiana, personale o familiare estranee all'esercizio della sua attività). Per quanto concerne la nozione di consumatore, prevista nella legge sul sovraindebitamento, la giurisprudenza ha precisato che “la nozione di consumatore (e dunque di soggetto abilitato al piano), non ha riguardo in sé e per sé ad una persona priva, dal lato attivo, di relazioni d'impresa o professionali, invero compatibili se pregresse ovvero attuali, purché non abbiano dato vita ad obbligazioni residue, potendo il soggetto anche svolgere l'attività di professionista o imprenditore, invero solo esigendo l'art. 6, comma 2, lett. b) una specifica qualità della sua insolvenza finale, in essa cioè non potendo comparire obbligazioni assunte per gli scopi di cui alle predette attività ovvero comunque esse non dovendo più risultare attuali, essendo consumatore solo il debitore che, persona fisica, risulti aver contratto obbligazioni - non soddisfatte al momento della proposta di piano - per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall'estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in un'attività d'impresa o professionale propria. A detta limitazione fanno eccezione i debiti di cui all'art. 7, comma 1, terzo periodo, l. n. 3/2012 (tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea, imposta sul valore aggiunto e ritenute operate e non versate), i quali debbono essere pagati in quanto tali”, essendone prevista la sola dilazione (Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1869). L'elemento discriminatorio (e quindi identificativo) è, quindi, di tipo oggettivo e non soggettivo; in altri termini il consumatore viene identificato non in base a caratteristiche soggettive, bensì in rapporto a elementi oggettivi, quali la natura dei debiti contratti ed in particolare la qualità dei debiti da ristrutturare, in sé considerati nella loro composizione finale, piuttosto che nell'attività svolta dal soggetto proponente. Sostiene la Cassazione, nella decisione sopra richiamata, che “non vi sono margini per escludere dall'accesso a tale procedura (…) tutti quei soggetti che abbiano assunto obbligazioni composite e che vogliano in tal modo, cioè come consumatori, ristrutturarle”. Risulta, quindi, necessaria la tracciabilità delle cause dell'insolvenza, che non devono avere origine in attività d'impresa o di lavoro autonomo. L'imprenditore o il professionista, in quanto persona fisica, possono accedere al piano a condizione che la natura dei debiti consenta di qualificarli consumatori; diversamente, il debitore, non più consumatore, potrà fruire dell'accordo di ristrutturazione con necessario consenso dei creditori o potrà accedere alla procedura di liquidazione dei beni. Ne consegue che le due nozioni di consumatore, quali delineate, rispettivamente, nel codice del consumo e nella legge sul sovraindebitamento, hanno quale elemento in comune il riferimento necessario alla persona fisica, con la conseguenza che solo la persona fisica potrà giovarsi della tutela forte prevista dalla disciplina consumeristica e potrà accedere al piano del consumatore, con esclusione non solo degli enti societari, ma anche di quelli privi di scopo di lucro. Fermo quanto sopra, sembra, almeno da un punto di vista formale, che il legislatore abbia voluto differenziare le due nozioni di consumatore, prevedendo nella legge sul sovraindebitamento una nozione più specifica, rispetto a quella contemplata nel Codice del consumo, dal momento che esige che i debiti della “persona fisica” derivino “esclusivamente” da atti compiuti “per scopi estranei all'attività imprenditoriale e professionale eventualmente svolta” e ciò alla luce della differente ratio che sta alla base delle due normative: nel Codice del consumo tutelare il consumatore persona fisica, contraente debole, nei confronti del professionista, contraente forte, introducendo una normativa di favore idonea a correggere le eventuali asimmetrie informative e contrattuali, mentre nel quadro della legge sul sovraindebitamento attribuire alle situazioni di insolvenza del debitore non fallibileo del consumatore la possibilità di cancellare i debiti al fine di ripartire da zero (fresh restart) per poter riacquistare un ruolo attivo nell'economia, andando a considerare non il singolo rapporto contrattuale da cui è scaturito il debito, ma la natura complessiva dell'esposizione debitoria. Tuttavia, l'evoluzione giurisprudenziale dimostra una tendenza a uniformare le due nozioni di consumatore, laddove si afferma che, ai fini della presentazione del piano, la qualifica di consumatore non è incompatibile con l'esercizio attuale o pregresso di una attività imprenditoriale o libero professionale, a condizione che le obbligazioni - non soddisfatte al momento della proposta di piano - siano state assunte per far fronte ad esigenze personali o familiari, allo stesso modo come si era ritenuto di estendere la tutela consumeristica anche alla persona fisica che svolge attività imprenditoriale o professionale, laddove, con il contratto, avesse inteso soddisfare esigenze della sua vita quotidiana, personale o familiare estranea all'esercizio della sua attività.
La legittimazione dei condomini e del condominio nelle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento
Ci si chiede se le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento ed, in particolare, il piano del consumatore (piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore con l'entrata in vigore del C.C.I.I.) siano esperibili anche in ambito condominiale, sia per quanto concerne i debiti maturati dai singoli condòmini verso il condominio (come nel caso dei contributi condominiali maturati e accumulati per lunghi periodi) sia per i vari tipi di debiti che il condominio può aver contratto con terzi (fornitori di materiali, imprese che hanno eseguito lavori di ristrutturazione, ecc.). Infatti - come è stato rilevato - è possibile che un condomino si trovi in perduranti difficoltà finanziarie che gli impediscono di pagare regolarmente le quote condominiali con la conseguenza che, venendo nel tempo ad accumularsi un ingente debito condominiale per rate scadute, non è in grado di ripianare il predetto debito; analogamente non è così infrequente che lo stesso condominio si possa venire a trovare in gravi difficoltà per le ragioni più disparate, anche e soprattutto conseguenti alle morosità dei condòmini, senza considerare gli ammanchi di cassa per appropriazioni indebite da parte dell'amministratore, e non riesca, quindi, a soddisfare i propri creditori. Bisogna, al riguardo, distinguere la posizione dei condomini da quella del condominio, potendosi configurare due ipotesi: a) quella in cui debitore è il singolo condomino e creditore è il condominio e b) quella in cui debitore è il condominio e creditore è un soggetto terzo. Nell'ipotesi di cui sub a), il condomino può trovarsi in una situazione di sovraindebitamento, che non gli consente, con il reddito percepito, di pagare i debiti scaduti, per tributi, bollette, carte revolving, rate di mutuo, rate di finanziamenti e, soprattutto, rate di condominio. In questo caso, il condomino moroso può proporre ai creditori, e quindi anche al condominio, un accordo di composizione della crisi o un piano del consumatore, se il condomino stesso riveste i requisiti del consumatore, oppure attivare la procedura di liquidazione del patrimonio non formulando alcuna proposta ai creditori, ma mettendo a disposizione il proprio patrimonio. Se il singolo condomino accede al piano del consumatore o alla liquidazione dei beni, il condominio non è chiamato a votare e può solo contestare la convenienza della procedura prescelta; in queste ipotesi, spetta al Tribunale decidere del sovraindebitamento del singolo condomino, mediante l'omologazione del piano del consumatore o l'apertura del procedimento di liquidazione dei beni. Nel caso in cui il condominio ritenga di contestare la convenienza del pianodel consumatore, si sostiene che sia necessaria una delibera con la maggioranza di cui al comma 2 dell'art. 1136 c.c., e cioè con un quorum deliberativo costituito, sia in prima che in seconda convocazione, da un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio. Se il singolo condomino accede, invece, all'accordo dicomposizione della crisi, essendo necessario il voto favorevole di almeno il 60 % dei creditori, il condominio sarà chiamato a votare. Pertanto, è necessario che l'amministratore convochi l'assemblea, ponendo all'ordine del giorno l'eventuale adesione all'accordo e la relativa delibera dovrà essere approvata con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. (l'eventuale adesione all'accordo potrebbe essere assimilata ad una transazione: v. Cass. civ., sez.II, 16 gennaio 2014, n. 821, la quale ha ritenuto che l'assemblea, in quanto legittimata a deliberare ordinariamente sulle spese di comune interesse, ha anche il potere di transigere eventuali controversie che dovessero insorgere in ordine al pagamento di debiti condominiali e, quindi, con riferimento a diritti meramente obbligatori, con la conseguenza che la delibera attinente a quest'ultimo oggetto, ove approvata con le prescritte maggioranze, vincola anche i condomini dissenzienti). Nell'ipotesi di cui sub b), relativa all'indebitamento del condominio verso terzi, in astratto tutte le misure contemplate nella legge potrebbero trovare applicazione. Tuttavia, si discute se il condominio possa accedere al piano del consumatore. Il piano del consumatore si presenta a forte caratterizzazione soggettiva: solo il debitore che abbia la qualità di consumatore può accedervi. Si è visto che la l. n. 3/2012 stabilisce che è consumatore il “debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” e che tale definizione ricalca quella contenuta nel Codice del consumo il quale specifica che per “consumatore” si debba intendere “la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. Può il condominio qualificarsi come consumatore o, meglio, può il condominio qualificarsi come consumatore sia in base al codice del consumo che in base alla legge sul sovraindebitamento? In proposito, esiste un solo precedente (Trib. Bergamo16 gennaio 2019) che ha ritenuto che il condominio non è legittimato a proporre il piano del consumatore in quanto soggetto privo del requisito di cui all'art. 6, comma 2, lett. b), della l. n. 3/2012, perché non riconducibile ad una “persona fisica” sulla base dell'assorbente rilievo che il condominio, essendo un ente collettivo, non può considerarsi consumatore alla luce della definizione fatta propria dalla legge sul sovraindebitamento che intende per consumatore “il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” nonché dalla giurisprudenza interpretativa sulla predetta nozione di consumatore (Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1869). Questo orientamento, tuttavia, si pone in contrasto con quella giurisprudenza che ha, invece, ritenuto che il condominio possa ritenersi consumatore, ai fini del Codice del consumo e, quindi, beneficiare della disciplina di favore (c., da ultimo, Cass. civ., sez. VI, 22 maggio 2015, n. 10679), attraverso l'escamotage del condominio qualeente di gestione, privo di autonoma soggettività giuridica distinta da quella dei singoli partecipanti, che opera tramite l'amministratore che è un mandatario con rappresentanza dei singoli condòmini, i quali sono considerati consumatori, essendo persone fisiche che agiscono per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale. Qualunque sia la soluzione prescelta, per la proposizione delle procedure di sovraindebitamento da parte del condominio, é necessaria una delibera da assumere con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2, c.c.; laddove, però, l'operazione involga atti dispositivi di diritti reali, quali ad esempio l'alienazione dell'ex locale portineria o di altri beni immobili comuni, sarà necessario il consenso della totalità dei condomini, alla luce dell'art. 1108, comma 3, c.c. - applicabile al condominio in virtù del richiamo contenuto nella disposizione di chiusura di cui all'art. 1139 c.c. - che non consente all'assemblea, con delibere assunte a maggioranza, di incidere sui diritti dei condomini sui beni comuni. In conclusione
Sebbene le nozioni di consumatore, quali delineate, rispettivamente, nel Codice del consumo e nella legge sul sovraindebitamento (e poi nel C.C.I.I.), abbiano quale elemento in comune il riferimento necessario alla persona fisica, per quanto concerne il condominio sono state adottate interpretazioni differenti. Il provvedimento del Tribunale di Bergamo (Trib. Bergamo 16 gennaio 2019) ha escluso che il condominio possa considerarsi consumatore e che, quindi, possa proporre ai suoi creditori un piano del consumatore, evidenziando, in sostanza, la diversa funzionalità tra piano del consumatore, cui può accedere solo il consumatore/persona fisica e le altre procedure (accordo con i creditori o liquidazione), cui possono accedere anche le persone giuridiche e non nonché il condominio. Invece, ai fini del Codice del consumo, la giurisprudenza è pressoché concorde nel considerare il condominio consumatore con conseguente applicazione della disciplina consumeristica. Tuttavia, l'assunto secondo il quale il condominio debba essere considerato un consumatore, ai fini del Codice del consumo, ha trovato forti opposizioni tanto è vero che un magistrato meneghino (Trib. Milano 1 aprile 2019) ha sollevato la questione davanti alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. La Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Corte Giust., 2 aprile 2020, C-329/19) se, da un lato, ha ritenuto che il condominio, non essendo una persona fisica, non possa essere considerato consumatore alla luce della direttiva n. 93/13/CEE, dall'altro, ha affermato che non si pone in contrasto con la predetta direttiva e con le finalità da essa perseguite di garantire un livello di protezione più elevato possibile per il consumatore, una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell'ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell'ambito di applicazione della suddetta direttiva. L'interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea si inserisce in quel contesto europeo diretto a fornire la più ampia tutela anche al condominio “consumatore”. La sentenza della Corte di Giustizia assume una particolare valenza, in quanto consente di ritenere che l'estensione della nozione di consumatore anche al condominio possa essere adottata, a livello giurisprudenziale, anche nelle procedure di sovraindebitamento, consentendo al condominio di accedere al piano del consumatore. Anche se, almeno da un punto di vista formale, sembrerebbe che il legislatore abbia voluto differenziare le due nozioni di consumatore, prevedendo nella legge sul sovraindebitamento una nozione più specifica, rispetto a quella contemplata nel Codice del consumo, l'interpretazione sulla nozione di consumatore, ai fini delle procedure di sovraindebitamento e del Codice del consumo, dovrebbe essere unitaria alla luce della finalità assolta da entrambe le normative di “garantire il funzionamento del mercato". In altre parole, occorre tutelare il condominio “consumatore” sia prima quando acquista e sia dopo, quando sovraindebitato, non è più in grado di acquistare, anche considerando che la misura più congeniale all'esdebitazione del condominio è proprio quella del piano per il consumatore, che non richiede l'adesione dei creditori, ma solo il giudizio di meritevolezza da parte del Tribunale. Riferimenti
Napolitano, Sulla legittimazione del condominio ad accedere alle procedure di risoluzione della crisi da sovraindebitamento, in Fallimento, 2020, 274; Petrelli, Il condominio può accedere al piano del consumatore?, in Condominioelocazione.it, 2020; Petrelli, La Corte di Giustizia UE si pronuncia sull'applicabilità al condominio della disciplina consumeristica, in Condominioelocazione, 2020; Orefice, L'applicabilità delle procedure di esdebitazione per i debiti condominiali: alcune riflessioni, in Condominioweb.com. Villafrate, Legge salva suicidi anche per i debiti in condominio?, in www.studiocataldi.it; Cracolici - Curletti, La nozione di consumatore tra il codice del consumo e la legge n. 3 del 2012, in Contratti, 2018, 81. |