La competenza per l'opposizione a lodo rituale non dipende dalla natura della controversia

Francesco Bartolini
30 Novembre 2020

La questione sottoposta alla Corte di cassazione riguarda l'alternativa applicabilità dell'art. 828 c.p.c. e dell'art. 3 del d.lgs. 168/2003.
Massima

La competenza a conoscere dell'impugnazione del lodo rituale spetta alla Corte di appello del distretto in cui ha sede l'arbitrato, indipendentemente dalla natura della controversia decisa dagli arbitri ed anche se essa è riservata alle attribuzioni di una sezione specializzata del giudice ordinario (nella specie: cd. “Tribunale delle imprese”).

Il caso

La Corte di appello di Palermo ha dichiarato la propria incompetenza a conoscere dell'impugnazione per nullità del lodo pronunciato da un collegio arbitrale avente sede in Messina. Con il ricorso per regolamento necessario di competenza parte soccombente ha dedotto la violazione o la falsa applicazione delle norme dettate dall'art. 828 c.p.c. e art. 3 del d.lgs. n. 168/2003. Pur trovandosi la sede dell'arbitrato in Messina, si argomenta, la competenza in Palermo per la proposta opposizione non avrebbe dovuto essere negata in quanto la controversia tra le parti, già oggetto della convenzione di arbitrato e quindi del giudizio arbitrale, rientrava nelle attribuzioni del Tribunale per le imprese, territorialmente individuato in tale località.

La questione

La questione sottoposta alla Corte di cassazione riguarda l'alternativa applicabilità dell'art. 828 c.p.c. e dell'art. 3 del d.lgs. 168/2003. La prima di queste norme dispone che l'impugnazione per nullità del lodo va proposta davanti alla Corte d'appello nel cui distretto è la sede dell'arbitrato; l'altra riserva alla competenza per materia del Tribunale delle imprese le controversie specificamente dalla stessa norma indicate. Per il ricorrente, nel caso in oggetto doveva prevalere la norma speciale, conferente rilevanza alla particolare natura della controversia e in forza della quale la competenza a conoscere del gravame doveva essere determinata in base a tale natura (fusioni e mutamenti di forme societarie). L'oggetto del contendere rientrava nelle attribuzioni del Tribunale delle imprese, avente sede in Palermo: e dunque la competenza per l'impugnazione del lodo doveva essere proposta alla Corte di appello di Palermo, come correttamente individuata dall'opponente e contrariamente a quanto da essa deciso.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha disatteso le argomentazioni del ricorrente.

Essa ha ricordato che con disposizione di significato univoco l'art. 828 c.p.c. attribuisce la competenza a conoscere dell'opposizione al lodo rituale alla Corte d'appello del luogo in cui l'arbitrato ha la sede. La ratio di questa norma risiede nella natura di tale giudizio che non è un giudizio di primo grado ma è vera e propria impugnazione. La regola posta dal citato art. 828 c.p.c. è analoga a quella di cui all'art. 341 c.p.c., per il quale l'appello contro le sentenze del primo giudice si propone al giudice superiore nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunciato la sentenza. Pertanto, il principio che da queste convergenti disposizioni si desume è nel senso che la cognizione dell'appello compete al giudice entro il cui ambito territoriale opera l'organo della giurisdizione, l'arbitro o il collegio arbitrale che ha emesso la decisione di primo grado: senza che tale criterio di radicamento della competenza, attesa l'univocità del dato normativo, possa rimanere influenzato, tra l'altro, dalla materia del contendere. La giurisprudenza di legittimità è concorde nell'affermare che il giudizio di impugnazione del lodo costituisce il secondo grado di giudizio rispetto a quello svoltosi dinanzi agli arbitri: come del resto conferma il dettato dell'art. 824-bis c.p.c. che equipara il lodo rituale alla sentenza del giudice ordinario. Nel respingere il ricorso la Corte ha dichiarato la competenza della Corte di appello di Messina.

Osservazioni

L'esplicito disposto dell'art. 828 c.p.c. non ha consentito dubbi, per la Corte di cassazione. La competenza per il giudizio di impugnazione per nullità del lodo spetta sempre alla Corte di appello nel cui distretto è la sede dell'arbitrato. L'individuazione della competenza secondo questo criterio, del resto, è la ragione stessa per la quale l'art. 816 c.p.c. manda alle parti di determinare la sede dell'arbitrato e, in mancanza di loro indicazione, ne stabilisce ex lege l'ubicazione. Non vi sarebbe, altrimenti, alcun motivo di collocare nel territorio il procedimento arbitrale: che si risolve in riunioni di soggetti privati, liberi da ogni ritualità che non sia stata fissata dalle parti o strettamente funzionale ad una decisione formalmente ineccepibile (si veda il terzo comma del citato art. 816 c.p.c., che attribuisce ampia discrezionalità di scegliere i luoghi di riunione e decisione). Sul punto si erano già espresse le sezioni unite con la pronuncia 5 luglio 2013, n. 16887: «L'impugnazione di lodi arbitrali rituali deve essere sempre proposta dinanzi alla corte d'appello nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato, ai sensi dell'art. 828 c.p.c., costituendo essa l'unica disposizione diretta alla determinazione del giudice cui spetta giudicare su detta impugnazione» (cfr. Cass. civ., n. 646/2018).

La decisione in esame aggiunge un dettaglio di non poco conto all'orientamento interpretativo così ricordato. Il criterio per cui la competenza a conoscere dell'impugnazione del lodo rituale è attribuita in funzione della sede dell'arbitrato è indifferente alla natura della controversia demandata agli arbitri; e non muta per il fatto che tale controversia, appunto per la natura della materia del decidere, sia riservata (quando le parti non preferiscono l'arbitrato) alla sezione specializzata di un organo giudicante ordinario.

La competenza della Corte d'appello, ex art. 828 c.p.c., è funzionale e inderogabile. La competenza del tribunale per le imprese è definita, dall'art. 4 del d.lgs.168/2003, quale competenza per materia, di per sé anch'essa inderogabile. Una sorta di confronto alla pari, verrebbe da pensare… Ciò che la Corte di cassazione ha considerato rilevante per la sua decisione è il valore attribuito all'opposizione al lodo arbitrale considerata quale giudizio di impugnazione e dunque di giudizio di secondo grado. Questo il ragionamento: se l'arbitrato ha una sua sede territoriale, il giudice del gravame si determina in base al parametro caratteristico delle impugnazioni di merito, quello stesso di cui all'art. 341 c.p.c. È competente per l'impugnazione il giudice nel cui distretto ha sede il giudice che ha pronunciato la sentenza, come dispone puntualmente l'art. 828 c.p.c. A ben vedere, però, l'argomento può essere rovesciato (e questo salva in parte lo sfortunato e imprudente ricorso). Se per la controversia è prevista la competenza di un organo ben individuato sul territorio (il tribunale delle imprese), il giudizio di impugnazione dovrebbe spettare al giudice superiore nel cui distretto ha sede tale organo (la Corte d'appello correlata alla natura della controversia). Su un piano di astratta sostenibilità entrambe le situazioni potevano essere considerate proponibili. In realtà la Suprema Corte si è spesa nel descrivere come coerente il sistema delineato dagli artt. 341 e 828 c.p.c. e nel ricordare come sia concorde la loro interpretazione giurisprudenziale, senza veramente entrare nel merito del contrasto con l'art. 3 del d.lgs. 168/2003. La differenza a favore del dettato dell'art. 828 c.p.c. l'ha fatta unicamente il suo tenore letterale, che al giudice di legittimità è sembrato non lasciare alternative: per l'opposizione è competente la Corte d'appello nel cui distretto è la sede dell'arbitrato. Punto. In ogni caso, l'indicazione offerta dal Supremo consesso ha un indiscutibile pregio, quello della certezza e dell'univocità. La competenza a conoscere dell'impugnazione per nullità del lodo ha un parametro di individuazione unico e ben identificabile, indipendente dal variegato contenuto delle controversie e dalla multiformità dei riti processuali per esse previsti.

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