Il caso. Con ricorso per procedimento sommario di cognizione ex art. 702-bis c.p.c., gli eredi nominati in un testamento olografo avevano agito nei confronti del proprio genitore che possedeva i beni devoluti in successione agli stessi, chiedendone la consegna Il convenuto, nel costituirsi in giudizio, domandava in via riconvenzionale l'accertamento della nullità del predetto testamento, rivendicando la propria qualità di erede in ragione di un precedente testamento pubblico.
Dal momento che la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto è demandata alla decisione del tribunale in composizione collegiale (art. 50, comma 1, n. 6, c.p.c.), il giudice adito dovrebbe dichiararla inammissibile in virtù di quanto espressamente disposto dall'art. 702-ter, comma 2, c.p.c., essendo l'ambito di applicazione del procedimento sommario circoscritto alle sole cause attribuite alla cognizione del tribunale in composizione monocratica.
Il rimettente, quindi, solleva la questione di legittimità costituzionale del citato art. 702-ter, comma 2, c.p.c., nella parte in cui non prevede che, qualora con la domanda riconvenzionale sia proposta una causa pregiudiziale a quella oggetto del ricorso principale e la stessa rientri tra quelle in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, il giudice adito possa disporre il mutamento del rito.
Le censure del giudice a quo. Ad avviso del rimettente, la disposizione in questione contrasterebbe con gli artt. 3 e 24 Cost. Innanzitutto, la declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale demandata alla cognizione del collegio, imposta dalla norma censurata, violerebbe il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., atteso che la decisione separata delle due cause potrebbe determinare un contrasto di giudicati.
Inoltre, sarebbe violato l'art. 24 Cost., in quanto la disposizione censurata consentirebbe al ricorrente, in violazione del diritto di difesa del convenuto, di abusare dei propri poteri processuali, ottenendo celermente una decisione sulla domanda principale dipendente, in ragione della sommarietà del procedimento rispetto a quello ordinario di cognizione, che il convenuto dovrebbe incardinare a fronte della declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale.
Rapporto di pregiudizialità-dipendenza: bisogna evitare il contrasto di giudicati. Nel giudizio a quo ricorre un'ipotesi di pregiudizialità-dipendenza, atteso che la domanda proposta dai ricorrenti con rito sommario di cognizione (restituzione di un bene già di proprietà del de cuius) potrebbe essere paralizzata dalla domanda proposta in via riconvenzionale dalla parte convenuta (accertamento della legittimità della detenzione del bene in virtù di un precedente testamento in suo favore): l'accoglimento di questa seconda domanda determinerebbe, infatti, la nullità del titolo sul quale si fonda la domanda principale.
Conseguentemente, qualora le due cause venissero decise separatamente, si potrebbe verificare un contrasto di giudicati, con pronunce fondate su un opposto antecedente logico-giuridico (cfr. Cass. civ., n. 1285/2006 e Cass. civ., n. 17317/2002). Proprio al fine di evitare tale situazione, la connessione tra cause per subordinazione, dovuta ad un rapporto di pregiudizialità-dipendenza, l'ordinamento dispone la trattazione e la decisione congiunta dei diversi rapporti sostanziali in un solo processo.
Pertanto, in presenza di un nesso di pregiudizialità-dipendenza tra cause, il codice di procedura civile individua una serie di meccanismi volti a evitare la loro trattazione separata, assicurando il cd. simultaneus processus: la riunione ex art. 274 c.p.c. delle cause pendenti avanti a giudici diversi, la rimessione ex art. 34 c.p.c. di tutta la causa al giudice superiore, la sospensione necessaria della causa pregiudicata ex art. 295 c.p.c., la sospensione facoltativa ex art. 337, comma 2, c.p.c. e la revocazione per contrasto di giudicati.
La speditezza dei processi non può comportare il sacrificio di un interesse costituzionalmente rilevante. Nel contesto della disciplina del procedimento sommario – caratterizzata da un rito più celere per la decisione di controversie più semplici dal punto di vista istruttorio – la disposizione impugnata prevede che, qualora la domanda non rientri tra quelle indicate nell'articolo 702-bisc.p.c., la stessa venga dichiarata inammissibile, con ordinanza non impugnabile; ciò vale anche per la domanda riconvenzionale.
In questo modo, il legislatore ha inteso consentire che la domanda principale sia definita celermente nelle forme del procedimento sommario di cognizione, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo. Tuttavia, la norma censurata, nel prevedere in ogni caso – ossia, a prescindere dal tipo di connessione sussistente tra la causa riconvenzionale e quella principale – la declaratoria di inammissibilità della prima, ove demandata alla cognizione del tribunale in composizione collegiale, pone una conseguenza sproporzionata e, quindi, irragionevole ex art. 3 Cost., rispetto al pur legittimo scopo perseguito dal legislatore.
Sebbene in materia di conformazione degli istituti processuali il legislatore goda di ampia discrezionalità ed il controllo di costituzionalità debba limitarsi a riscontrare se sia stato superato, o meno, il limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute, il giudice delle leggi deve, comunque, verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e, pertanto, incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi proprio attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi scelti dal legislatore nella sua discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità perseguite, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti (cfr., ex plurimis, Corte cost., n. 71/2015, Corte cost., n. 17/2011 e Corte cost., n. 229/2010).
Inammissibilità della domanda riconvenzionale riservata al collegio: norma incostituzionale. La norma censurata rende inevitabili gli inconvenienti della trattazione separata della causa pregiudicata (con procedimento sommario) e della causa pregiudicante (con procedimento ordinario), fino all'estremo del conflitto di giudicati. E, anche se i diversi istituti sopra ricordati, ne possono consentire il raccordo, resta fermo che gli inconvenienti della trattazione separata possono non compensare – e di norma non compensano – la pur presumibile maggiore rapidità della loro trattazione distinta.
Al contempo, questa preclusione assoluta, anche se solo iniziale, del simultaneus processus non è compatibile con la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), non essendo sorretta da idonee ragioni giustificative: per una scelta rimessa al solo attore – la cui causa, dipendente sul piano del diritto sostanziale da quella riconvenzionale, è demandata alla cognizione del tribunale in composizione monocratica – il convenuto vede inesorabilmente dichiarata inammissibile la propria domanda.
Le conseguenze eccessive e, dunque, irragionevoli della regola, senza eccezioni, di inammissibilità della domanda riconvenzionale soggetta a riserva di collegialità, posta dall'art. 702-ter, comma 2, c.p.c., impongono, quindi, una pronuncia di illegittimità costituzionale parziale.
*Fonte: www.dirittoegiustizia.it