La Corte di cassazione illustra la “nuova” protezione umanitaria

Redazione scientifica
02 Dicembre 2020

Con la Relazione n. 94/20, la Suprema Corte riordina la disciplina in materia di protezione internazionale a seguito delle disposizioni urgenti dettate dal d.l. n. 130/2020, ponendo l'accento su alcuni profili interpretativi e sul diritto transitorio.

Dopo l'emanazione del decreto legge del 21 ottobre 2020, n. 130, recante «Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare […]», la Corte di cassazione ha riordinato la disciplina della protezione internazionale, mediante la Relazione n. 94 del 20 novembre 2020.

Come emerge dal preambolo della nuova normativa, è emersa la necessità e l'urgenza di «garantire la corretta applicazione delle disposizioni in materia di immigrazione, nel rispetto dei principi costituzionali e internazionali vigenti in materia» e di «modificare alcune norme in materia di riconoscimento della protezione internazionale e della protezione complementare e di riarticolare il sistema di prima assistenza e di accoglienza dei richiedenti ed i titolari di protezione internazionale, per i beneficiari di protezione complementare e per minori stranieri non accompagnati».

In tal senso, il nuovo intervento legislativo ha risposto all'esigenza di chiarire alcuni profili inerenti ai precedenti “decreti sicurezza”, ovvero il d.l. n. 113/2018 e il d.l. n. 53/2019, per mezzo di un adattamento che, in primo luogo, tenga in considerazione i principi costituzionali e internazionali vigenti sul tema e, in secondo luogo, ponga rimedio ad alcuni aspetti funzionali che hanno generato difficoltà operative.

In particolare, la Relazione pone in luce i dubbi interpretativi derivanti dalla formulazione dell'art. 1 del d.l. n. 130/2020, relativi all'attuale estensione della protezione umanitaria e alla disciplina intertemporale.

Quanto alla prima questione problematica, se da un lato il Legislatore urgente del 2020 ha inteso riammettere sulla scena la terza forma di protezione del richiedente asilo, richiamandone la dimensione costituzionale ed internazionale, dall'altro non ha voluto impegnarsi in un espresso e totale ripristino del catalogo aperto, evitando di reintrodurre un richiamo esplicito ai motivi umanitari e allargando il divieto di respingimento ai casi più evidenti di vulnerabilità, i quali sono riconducibili a violazioni dei diritti contenuti nella CEDU. Così facendo, l'applicazione diretta dell'art. 10, comma 3, Cost., non sembra del tutto preclusa per le ipotesi residuali, affidandola, però, ad interventi giurisprudenziali e dottrinali.

In relazione, invece, al regime transitorio, la Relazione rileva che esso potrebbe dare luogo a trattamenti differenziati. Per questo motivo, la stessa analizza in modo chiaro e preciso il percorso interpretativo ed applicativo da seguire.

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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