Azione di annullamento del contratto per morte del contraente: la Suprema Corte conferma la tesi del litisconsorzio necessario degli eredi
14 Dicembre 2020
Massima
L'esercizio dell'azione di annullamento del contratto che tenda alla riconduzione di un cespite nell'asse ereditario del contraente deceduto, pur potendo essere esercitata da uno solo dei coeredi, anche in contrasto con gli altri, implica comunque il litisconsorzio necessario di tutti, giacché, come la sentenza di annullamento deve investire l'atto negoziale non limitatamente ad un soggetto, ma nella sua interezza, posto che esso non può essere contemporaneamente valido per un soggetto e invalido per un altro, così anche l'eventuale restituzione non può avvenire pro quota. Il caso
Nel 2007 Tizio e Caio convenivano davanti al Tribunale di Roma la sorella Mevia, per sentirla condannare al rilascio di un appartamento dalla stessa occupato senza titolo, di cui gli attori erano comproprietari. Si precisava, in particolare, nell'atto introduttivo del giudizio, che l'appartamento oggetto della domanda era originariamente in proprietà della comune madre, la quale vi aveva abitato fino al termine della propria vita, ma prima di morire aveva ceduto la nuda proprietà di tale immobile per il 50% al figlio Tizio (che per tale quota aveva stipulato con se stesso, avendo procura ad alienare rilasciata dalla madre) e per il 50% a Sempronia, moglie del figlio Caio (dalla quale quest'ultimo acquistava poi il cespite nel 2005, in sede di divorzio). Esponevano altresì gli attori che deceduta, nel marzo del 1993, la madre, essi, conseguentemente divenuti pieni proprietari, avevano tollerato l'occupazione dell'appartamento da parte della sorella Mevia fino al 2006, epoca in cui avevano inutilmente chiesto il rilascio in via stragiudiziale. Costituitasi in giudizio, Mevia eccepiva tanto la nullità quanto la annullabilità del contratto in favore di Tizio e Sempronia, nonché della procura ad alienare rilasciata dalla madre in favore di Tizio, domandando in via riconvenzionale, l'annullamento/nullità del negozio medesimo. Il Tribunale di Roma accoglieva in primo grado la domanda degli attori, condannando la convenuta al rilascio dell'immobile.
La Corte di Appello di Roma, adita in sede di impugnazione da Mevia e in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda riconvenzionale di annullamento, ritenendo la procura rilasciata dalla madre al figlio Tizio inidonea a legittimare quest'ultimo a concludere un contratto con sè stesso, difettando della precisa indicazione delle condizioni di vendita. Veniva, conseguentemente, rigettata la domanda di rilascio avanzata da Tizio e Caio. Questi ultimi interponevano avverso la relativa pronuncia ricorso per Cassazione, affidato a sei motivi, di cui uno veniva ritenuto fondato e assorbente dalla Suprema Corte. La questione
In particolare, la Corte affrontava la questione evocata nel terzo motivo di ricorso, afferente l'integrità del contradditorio nel giudizio di merito, in cui non era stata evocata la sorella degli attori e della convenuta, a sua volta erede della madre, parte del contratto di cui era stato chiesto l'annullamento. Al riguardo i ricorrenti deducevano che la domanda di annullamento del contratto avrebbe determinato una situazione di litisconsorzio necessario tra gli eredi, essendo essa finalizzata alla restituzione dell'appartamento oggetto del contratto nel patrimonio della de cuius e quindi, in definitiva, alla reintegrazione dell'asse ereditario. Le soluzioni giuridiche
Nel ritenere fondato il terzo motivo di ricorso e nel motivare la propria decisione, la Suprema Corte prendeva le mosse da un'altra sua pronuncia (Cass. civ., n. 25810/2013), con cui si era chiarito che l'esercizio dell'azione di annullamento del contratto per incapacità di intendere e volere di uno dei contraenti che fosse successivamente deceduto, sebbene potesse compiersi da parte di uno solo dei coeredi, anche in contrasto con gli altri, implicava comunque il litisconsorzio necessario di tutti, giacché, «come la sentenza di annullamento deve investire l'atto negoziale non limitatamente ad un soggetto, ma nella sua interezza, posto che esso non può essere contemporaneamente valido per un soggetto e invalido per un altro, così anche l'eventuale restituzione non può avvenire pro quota». Sulla base di tale principio - enunciato con riferimento alle azioni di annullamento contrattuale per incapacità di intendere di volere, ma ritenuto applicabile, per identità di ratio, «a tutte le azione di annullamento di un contratto che tendano alla riconduzione di un cespite nell'asse ereditario dell'alienante» – veniva dichiarata la nullità dell'intero giudizio, con rimessione al primo giudice ex art. 383 comma 3 c.p.c., per mancata integrità del contraddittorio, non avendo partecipato al giudizio un litisconsorte necessario. Osservazioni
Il litisconsorzio necessario, la cui violazione è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, ricorre, oltre che per motivi processuali e nei casi espressamente previsti dalla legge, quando la situazione sostanziale plurisoggettiva dedotta in giudizio debba essere necessariamente decisa in maniera unitaria nei confronti di ogni soggetto che ne sia partecipe, onde non privare la decisione dell'utilità connessa con l'esperimento dell'azione proposta (Cass. civ., Sez. III, 15 febbraio 2006, n. 3281). In tale ottica va esaminata la fattispecie all'esame della Suprema Corte nella pronuncia in commento, afferente il caso del decesso della parte di un contratto di cui sia richiesto l'annullamento in via giudiziale. Si osserva, infatti, nella pronuncia in commento che, benché l'azione di annullamento del contratto sottoscritto da persona poi deceduta spetti a tutti i soggetti che gli siano succeduti nella qualità di eredi e possa essere esercitata anche da uno solo dei coeredi, tutti gli eredi devono essere chiamati a partecipare al relativo giudizio, posto che l'atto non può essere contemporaneamente valido per un soggetto e invalido per un altro, né gli effetti restitutori conseguenti all'accoglimento dell'azione possono manifestarsi pro quota, a seconda dell'entità della porzione ereditaria di chi esercita l'azione, dovendo necessariamente investire il contratto per l'intero. Discorso diverso la giurisprudenza sembra fare per l'azione di nullità del negozio giuridico giacché, in tal caso, la pronuncia non ha natura costitutiva, ma si concreta in una declaratoria circa l'idoneità del negozio a produrre effetti nel rapporto tra i litiganti e, come tale, è suscettibile di pratica attuazione nell'ambito di quel rapporto, ancorché non possa fare stato, ad altri effetti, nei confronti di soggetti che, sebbene partecipi del negozio impugnato, siano rimasti estranei al giudizio (Cass. civ., Sez. I, 4 ottobre 2016, n. 19804). Il principio, tuttavia, è stato ritenuto valido solo rispetto all'ipotesi in cui la nullità sia invocata da una parte nei confronti di un'altra parte del medesimo contratto; qualora, invece, a proporre la domanda di nullità del contratto sia un terzo (che assuma, ad esempio, di essere proprietario del bene immobile ceduto da un altro soggetto e chieda che il contratto stipulato inter alios sia dichiarato invalido e inefficace, al fine di ottenere la caducazione del relativo effetto traslativo della proprietà) si è ritenuto, comunque, configurabile un litisconsorzio necessario, posto che la sentenza sarebbe inutiliter data se non fosse emessa nei confronti di tutti i contraenti (Cass. civ., n. 19804/16 cit.). Vanno esaminati, a questo punto, gli effetti del mancato rispetto del litisconsorzio necessario nell'introduzione del giudizio (o nel suo svolgersi, qualora la problematica si ponga con riguardo alla domanda riconvenzionale del convenuto). Il vizio del contraddittorio, invero, è sempre rilevabile d'ufficio dal giudice (ed eccepibile dalle parti) in ogni stato e grado del processo. Ove il vizio venga rilevato in primo grado, quindi, il giudice potrà assegnare un termine perentorio per l'evocazione del litisconsorte pretermesso, il cui rispetto non solo sanerà l'atto introduttivo altrimenti nullo, ma sarà altresì idoneo ad interrompere prescrizioni e ad impedire decadenze di tipo sostanziale nei confronti anche delle parti necessarie originariamente pretermesse (come chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 9523/2010). Ove, invece, il vizio venga rilevato in sede di impugnazione, la sentenza emessa a contraddittorio non integro dovrà essere inevitabilmente dichiarata nulla e gli atti, ex art. 354 c.p.c., andranno rimessi al giudice di primo grado per l'integrazione del contraddittorio (e, quindi, per l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 102 c.p.c.). Riferimenti
Viola (a cura di), Il contratto. Validità, inadempimento, risarcimento, Padova, 2009, 857 e ss. |