Il rapporto tra il danno morale e le tabelle milanesi di liquidazione del danno non patrimoniale

Andrea Penta
17 Dicembre 2020

È evidente, soprattutto negli ultimi mesi, la tendenza della III Sezione civile della Cassazione a riconoscere autonomia, anche sul piano ontologico, al danno cd. morale. Di contro, è noto che l'impostazione delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, è nel senso di inglobare nell'ambito di un unico valore il ristoro sia del danno cd. biologico che della sofferenza morale.Occorre, quindi, analizzare se le tabelle milanesi siano o meno compatibili con il nuovo approccio dei giudici di legittimità, tenendo presente che, mentre una parte di questi ultimi ritengono non corretta la previsione di un criterio standard di liquidazione riferito anche al danno morale, la pronuncia in commento appare meno drastica, ammettendo l'introduzione di alcuni correttivi alle anzidette tabelle ogni qual volta non si riesca a dimostrare in giudizio la sussistenza del danno morale.
La fattispecie esaminata e la decisione della Corte

Nel caso analizzato dalla Suprema Corte, la Corte d'Appello di Trieste aveva accolto la domanda del danneggiato, liquidando il risarcimento nella misura di € 213.399,75, attraverso l'applicazione delle tabelle di Milano, valore ottenuto aumentando l'importo riconosciuto per l'invalidità accertata del 25/26% (pari ad € 116.339,00 per la vittima di 37 anni) due volte: una del 25% a titolo di personalizzazione, sul presupposto della impossibilità per l'appellante di cimentarsi in attività fisiche, e un'altra con l'attribuzione di un'ulteriore somma quantificata in € 20.000,00 a titolo di danno morale, per le sofferenze di natura del tutto interiore e non relazionale.

I giudici di legittimità hanno, invece, escluso che potesse essere considerata ‘personalizzante' “l'impossibilità per la vittima a cimentarsi in attività fisiche”.

Operando la detta personalizzazione, la corte territoriale era incorsa in un duplice errore di diritto, in quanto:

a) la personalizzazione del danno deve trovare giustificazione nel positivo accertamento di specifiche conseguenze eccezionali, ulteriori rispetto a quelle ordinariamente conseguenti alla menomazione, e non può quindi costituire lo strumento per ovviare alla carenza di prova in punto di danno alla capacità lavorativa, tanto più che la lesione alla capacità di lavoro generica è (tendenzialmente) ricompresa nell'ambito delle conseguenze ordinarie del danno alla salute e quella relativa alla capacità lavorativa specifica, da valutarsi nell'ambito del danno patrimoniale, esula dalla sfera del danno biologico;

b) l'evidenziata impossibilità di compiere determinati atti fisici a causa dell'invalidità residuata al sinistro costituisce proprio l'ubi consistam del danno biologico "standard", con la conseguenza che tale pregiudizio era stato liquidato dalla Corte di Appello due volte (la prima a titolo di danno alla salute, la seconda a titolo di personalizzazione), in difetto, però, dell'indicazione di circostanze specifiche ed eccezionali.

In sede di Cassazione è stato, infatti, ripetutamente affermato che la "personalizzazione" del risarcimento del danno alla salute consiste in una variazione in aumento (ovvero, in astratta ipotesi, anche in diminuzione) del valore standard del risarcimento, per tenere conto delle specificità del caso concreto (la legge n. 124/2017 - che ha modificato gli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni private - discorre espressamente di incidenza rilevante su specifici aspetti dinamico- relazionali).

Gli specifici aspetti incisi devono consistere, secondo il più recente insegnamento dei giudici di legittimità, in circostanze eccezionali e specifiche (ad esempio, Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2019, n. 2788, ha ritenuto che il requisito dell'eccezionalità fosse integrato in una situazione in cui l'illecito aveva determinato la preclusione di «tutte quelle attività, lavorative e no, che impongono continue sollecitazioni meccaniche della colonna cervicale»), sicché non può essere accordata alcuna variazione in aumento del risarcimento standard previsto dalle "tabelle" per ristorare pregiudizi che qualunque vittima che abbia patito le medesime lesioni deve sopportare, secondo l'id quod plerumque accidit, trattandosi di conseguenze già considerate nella liquidazione tabellare del danno (cfr. Cass. civ., n. 7513/2018, Cass. civ., n. 10912/2018, Cass. civ., n. 23469/2018, Cass. civ., n. 27482/2018 e, da ultimo, Cass. civ., n. 28988/2019).

Non mi soffermerò oltre su questo profilo, in quanto mi sembra che si sia raggiunta una condivisione di intenti in dottrina e in giurisprudenza.

Più spinosa e controversa è la questione concernente il ristoro del danno morale.

L'autonomia ontologica del danno morale

La S.C., nella pronuncia in commento, ha altresì ribadito, in linea con i precedenti arresti (Cass. civ., n. 910/2018, Cass. civ., n. 7513/2018 e Cass. civ., n. 28989/2019), il principio secondo cui la voce di danno morale è autonoma e non conglobabile nel danno biologico, trattandosi di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale e, quindi, meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per gli aspetti dinamici compromessi (in tal senso, Cass. civ., n. 910/2018, Cass. civ., n. 7513/2018, Cass. n. 28989/2019). In particolare, mentre il danno morale si riferisce alla sofferenza interiore, quello biologico investe il profilo dinamico-relazionale, andando ad impattare in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto menomato (Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2020, n. 2461; Cass. civ. ,sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26304; Cass. civ., sez. III, ord. 28 settembre 2018, n. 23469).

In quest'ottica, correttamente, la Corte triestina aveva proceduto alla valutazione del danno morale in via autonoma e successivamente rispetto alla precedente (sia pur, nella specie, impredicabile) personalizzazione del danno biologico.

La dottrina che si è occupata funditus della questione (SPERA D., I 10 punti del danno biologico: commento a Cass. n. 25164/2020 su danno morale, personalizzazione e tabella milanese, su Ridare.it 17.11.2020), pur aderendo alla tesi dell'autonomia ontologica tra le due componenti di danno, ritiene innegabile la commistione tra sofferenza soggettiva interiore e pregiudizio dinamico-relazionale, non potendo, a suo dire, mai il giudice discernere effettivamente e quantificare congruamente il danno per il “non poter più fare” da quello per la sofferenza che ne consegue.

Il duplice angolo visuale dal quale guardare il danno morale: il dato normativo e l'orientamento giurisprudenziale

La questione attinente al danno soggettivo interiore, a ben vedere, merita di essere analizzata da un duplice angolo visuale: 1) quello dell'inquadramento dogmatico-giuridico; 2) quello dei criteri di quantificazione.

Avuto riguardo al primo profilo, non è revocabile in dubbio che, sulla base del dato normativo e alla luce della posizione ormai adottata da anni dalla S.C., la cd. sofferenza morale sia ormai da considerare autonoma rispetto sia al danno biologico, non essendo il sintagma "danno morale" suscettibile di accertamento medico-legale, sia al danno cd. esistenziale, sostanziandosi nella rappresentazione di uno stato d'animo interiore, che prescinde del tutto (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato.

In particolare, per quanto concerne il fondamento normativo, vengono valorizzati, argomentando a contrariis, gli artt. 138 e 139 CdA, a mente dei quali “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”. Invero, non richiamandosi espressamente le ripercussioni sul piano della sofferenza interiore, è da ritenere che il danno morale si ponga in rapporto di alterità rispetto a quello all'integrità psico-fisica.

E' pur vero, però, che, in base al comma 2, lett. e), del novellato art. 138, “al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico [...] è incrementata in via progressiva e per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione”, sicchè, di fatto, si prevede la liquidazione congiunta del danno dinamico-relazionale e di quello da sofferenza interiore (ex “danno morale”). Le linee-guida per la tabella unica nazionale delle macropermanenti, cioè, depongono nel senso di una liquidazione del danno morale non già “libera”, bensì percentualmente ancorata ai valori del danno biologico, con la conseguenza che appare difficile sostenere che l'incremento massimo del 30% (previsto dall'ultima parte del comma 3 del citato articolo) riguardi unicamente il danno dinamico-relazionale, restando il giudice completamente libero nella (autonoma) quantificazione del danno morale (così LA BATTAGLIA L., Il danno da perdita del rapporto parentale dopo la seconda stagione di San Martino, in Corriere giur. 3, 326-327, in nota).

A sua volta, l'art. 139 dispone che “Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati ovvero causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità, l'ammontare del risarcimento del danno […] può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20 per cento”. La sentenza della Corte costituzionale n. 235/2014 ha, poi, avallato la scelta legislativa di consentire l'eventuale personalizzazione del danno all'integrità psico-fisica (cd. danno-base) mediante una maggiore liquidazione congiunta degli aspetti dinamico-relazionali (sfera esteriore) e di quelli ‘sofferenziali' (sfera interiore), nel limite massimo del 20%. Sebbene l'intervento della Consulta possa essere relegato in un ambito settoriale (quello della incidentistica stradale e, successivamente, della responsabilità sanitaria), è indubbio che rappresenti, al contempo, un criterio orientativo di cui non si può non tenere conto.

Quanto all'orientamento giurisprudenziale, va ricordato che, in base al punto 1) della cd. “ordinanza decalogo” pronunciata da Cass. civ., sez. III, n. 7513/2018, cit. (v. Spera D., Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina legale minano le sentenze di San Martino, su Ridare.it), poi seguita da ulteriori conformi pronunce della medesima sezione (in particolare, tra quelle cc.dd. di San Martino bis, da Cass. civ., n. 28988/2019 – est. Positano - e da Cass. civ., n. 28898/2019 – est. Dell'Utri -), “in presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)”.

Da ciò consegue che, “ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione”.

E' evidente che questo principio di diritto si pone in netto contrasto con le “sentenze di San Martino”, in cui si afferma, invece, la necessità della liquidazione congiunta del danno dinamico-relazionale e di quello da sofferenza soggettiva, entrambe “voci” del danno biologico: “dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”. Ed ancora: il danno morale − e cioè la sofferenza personale suscettibile di costituire ulteriore posta risarcibile (comunque unitariamente) del danno non patrimoniale, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato − «rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente»” (principio avallato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 235/2014 cit.; cd. visione pan-biologica, secondo cui il pregiudizio psichico, il quale trovi la propria genesi nella sofferenza, è destinato a fagocitare al suo interno anche quest'ultima).

A differente conclusione dovrebbe pervenirsi allorquando ad un pregiudizio alla salute si accompagnino ripercussioni sul piano esistenziale.

Invero, in base agli artt. 138 e 139 CdA, “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”.

Pertanto, “La lesione della salute risarcibile in null'altro consiste che nella compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane tutte, nessuna esclusa: dal fare, all'essere, all'apparire” (in questi termini, v. la citata “ordinanza decalogo”).

Da ciò consegue che costituirebbe duplicazione risarcitoria (Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26304) la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale (siccome già ricompreso nel grado percentuale di invalidità permanente).

Da ultimo, non si correrebbe il rischio di incorrere in una duplicazione risarcitoria nel caso in cui, una volta assolti gli oneri assertivi ed asseverativi, venisse riconosciuto un ristoro monetario sia alla sofferenza morale che al pregiudizio esistenziale.

A tal ultimo proposito, è opportuno ricordare che nel punto 10) dell'ord. Cass. civ. n. 7513/2018 (cd. “ordinanza decalogo”; v. Spera D., Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina legale minano le sentenze di San Martino, citato) si precisa che il danno non patrimoniale (anche nelle ipotesi diverse dal danno biologico) va sempre liquidato “tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con sè stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso”.

Nella valutazione del danno alla salute, nonché in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore o interesse costituzionalmente protetto, pertanto, il giudice dovrà valutare sia le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sè stesso) che quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita.

La posizione della dottrina

Un'autorevole dottrina (Spera D., I 10 punti del danno biologico, citato), nel tentativo di ridimensionare la portata della pronuncia in commento, ha sostenuto che, nelle fattispecie di danno non patrimoniale al bene salute, la sofferenza soggettiva interiore non rappresenterebbe un unicum, ma potrebbe essere declinata in tre differenti contenuti:

a) la “sofferenza fisica” costituita dal dolore nocicettivo;

b) la “sofferenza menomazione-correlata”, intesa quest'ultima come conseguenza immediata e diretta del danno biologico permanente e temporaneo;

c) “gli altri pregiudizi ricompresi nella sofferenza interiore”: la tristezza, “il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione”, ecc.

Alla luce di questa impostazione, mentre la “sofferenza fisica” sub a) rientrerebbe nella competenza del medico legale (al quale solo competerebbe l'accertamento in concreto, specificandone il grado e l'eventuale terapia antidolorifica), quella sub b), anch'essa rientrante nella competenza del medico legale, si sostanzierebbe nell'evidenziare, in particolare, i trattamenti terapeutici (è evidente, ad esempio, che, tanto più grande è l'impatto dell'aggressione terapeutica subita dalla vittima, tanto più consistente sarà il turbamento emotivo dalla stessa patito) o riabilitativi, la durata dei ricoveri ospedalieri e le terapie continuative o di presidi protesici e/o dell'ausilio di terzi cui la vittima deve sottoporsi o deve ricorrere in conseguenza dell'incidente, e quella sub c) (che non degenererebbe in danno biologico-psichico ed atterrebbe esclusivamente alla sfera interiore) sarebbe rimessa all'accertamento del giudice con altre modalità e/o altri ausiliari (CTU psichiatra forense o psicologo giuridico), non traducendosi nella compromissione delle “attività quotidiane” e degli “aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato” (ma comportando, comunque, intense reazioni emotive e comportamentali del soggetto e rilevanti strategie di adattamento).

Nella prima ipotesi, il giudice dovrebbe, sulla base delle motivate valutazioni tecniche del CTU medico-legale, procedere alla conseguente liquidazione di questa ulteriore componente del danno non patrimoniale (sofferenza soggettiva interiore) secondo i valori monetari espressi nella Tabella milanese. Non appare revocabile in dubbio che il dolore nocicettivo sia necessariamente legato ad una lesione alla salute, in quanto investe la vittima sul piano fisico, sì da ripercuotersi in termini di aggravamento della menomazione anatomo-funzionale dalla stessa subita (ZIVIZ P., Autonomia del danno morale: quale effetto sulle tabelle milanesi?, su Ridare 2.12.2020).

Pur apprezzando lo sforzo profuso per operare la distinzione, dai contorni, a dire il vero, non sempre facilmente delineabili sul piano pratico, per le ragioni esposte sinora e per quelle che andrò a sviluppare, non ritengo che sia necessario fondare l'impianto argomentativo su queste fondamenta.

La liquidazione del danno

La pronuncia in commento ha affermato che, se nella fattispecie concreta sussistono e coesistono aspetti specifici dinamico-relazionali e aspetti di sofferenza interiore, occorrerebbe riconoscere nell'integralità il complessivo importo previsto dalle tabelle del Tribunale di Milano, che, come è noto, prevedono e conglobano automaticamente la componente di danno alla salute (e cioè del danno dinamico-relazionale standard) con la componente di danno morale, pervenendo, però, all'indicazione di un valore monetario complessivo (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno).

Ove, invece, non sussista la prova della componente di danno morale, sarebbe possibile liquidare solo la voce di danno biologico depurata dell'aumento tabellarmente previsto in automatico per il danno morale (liquidando, conseguentemente, il solo danno dinamico-relazionale).

Da ultimo, in caso di positivo accertamento della esistenza di elementi personalizzanti (v. antea), occorrerebbe procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato (anche qui) della componente morale del danno automaticamente inserita in tabella (giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni).

Orbene, fermo restando che nella prima evenienza si farebbe applicazione integrale dei parametri contenuti nelle tabelle milanesi (in parziale difformità con i presupposti di partenza, che dovrebbero condurre ad una liquidazione ulteriore ed autonoma del danno morale), nel secondo caso, al fine di non incidere traumaticamente sui detti parametri, sarebbe sufficiente adottare un semplice accorgimento.

Da questo punto di vista, apprezzabile sarebbe l'intervento, preannunciato, dell'Osservatorio di Milano nel senso di un “ritocco” della veste grafica della Tabella milanese. In particolare, fermi i valori monetari complessivi delle attuali tabelle, verrebbero indicati, separatamente, i valori monetari relativi al danno biologico dinamico-relazionale e quelli relativi al danno da sofferenza soggettiva media presunta (v. Spera D., Le novità normative e la recente giurisprudenza suggeriscono un ritocco della Tabella milanese del danno non patrimoniale da lesione del bene salute?, in Ridare.it).

L'esplicitazione dei valori monetari compensativi delle due componenti (danno dinamico-relazionale e danno da sofferenza interiore) del danno non patrimoniale da lesione del bene salute presenterebbe anche il vantaggio di escludere in radice la possibilità che il giudice liquidi due volte lo stesso pregiudizio costituito dalla sofferenza interiore e consentirebbe di adattare i valori monetari alla fattispecie concreta (eliminando, riducendo o aumentando l'importo previsto in tabella per tale voce). Ciò in linea con la sentenza in commento, secondo la quale, in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno (accertamento da condurre caso per caso), il giudice di merito dovrà considerare la sola voce del danno biologico, depurata dell'aumento tabellarmente previsto per il danno morale.

Appare preferibile “recuperare” le tabelle milanesi, atteso che, sebbene la mancata adozione da parte del giudice di merito delle stesse in favore di altre non integri (come si era ipotizzato in passato) gli estremi della violazione di norma di diritto censurabile con ricorso per cassazione (sent. Cass. civ., n. 12408/2011 - cd. “sentenza Amatucci” -), i parametri dalle medesime tabelle esibiti vanno comunque presi come punto di riferimento ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, nel senso che fungono da criterio di riscontro e verifica della commisurazione del danno in un ammontare inferiore cui il giudice di merito sia diversamente pervenuto, risultando incongrua la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, appaia sproporzionata rispetto a quella cui l'adozione dei su menzionati parametri consente di giungere (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, ord, 5 maggio 2020, n. 8468, dove si ribadisce altresì la configurazione delle tabelle di Milano in termini di regole integratrici del concetto di equità, atte a circoscrivere la discrezionalità dell'organo giudicante).

Rappresenta questa la sede per evidenziare che nelle tabelle elaborate dal Tribunale di Roma il valore del punto di invalidità rappresenta il valore della sola componente dinamico-relazionale del danno non patrimoniale, laddove rispetto alla componente morale soggettiva si sono introdotte, con riferimento a diversi scaglioni di danno biologico, apposite «fasce di oscillazione» per la determinazione dell'importo aggiuntivo del risarcimento spettante a detto titolo, in modo tale da apprezzare le diverse sfumature che può assumere il pregiudizio in questione (ad esempio, nei casi in cui il danneggiato abbia riportato tra 21 e 30 punti di invalidità, per l'aumento concernente il danno morale si prevede un range di oscillazione che va dal 12,5% al 37,5%; v. PALMIERI A., Risarcimento del danno morale e tabelle milanesi: un rapporto controverso, su Il quotidiano giuridico.it, 30.11.2020).

La prova del danno

Se bene si legge tra le righe la pronuncia della S.C., anche con riferimento al profilo probatorio la stessa non sembra affondare il colpo.

Le attuali tabelle milanesi, come si è detto, “incorporano” automaticamente la sofferenza morale interiore nel coacervo dei valori monetari relativi al danno all'integrità psico-fisica, presumendola sulla base di precedenti giurisprudenziali e parametrandola al grado di invalidità e all'età della vittima. E' consentita la personalizzazione (in aumento) del danno “base”, nel range dal 25% al 50% di quanto liquidato complessivamente a titolo di danno biologico dinamico-relazionale e di danno da sofferenza, nel caso in cui emergano peculiari aspetti di sofferenza soggettiva (si pensi al dolore al trigemino o alla specifica penosità delle modalità del fatto lesivo). Si richiama, a tal riguardo, il secondo comma dell'art. 138 – già menzionato -, il quale comprende, ai fini della personalizzazione (fino al 30%), anche la componente del danno morale di cui alla lett. e) del medesimo comma, incrementando il valore base del danno biologico nella componente dinamico-relazionale in via percentuale e progressiva per punto.

In pratica, la sofferenza soggettiva interiore si presume tendenzialmente comune a tutte le persone che abbiano subito quella compromissione della salute, siano di quel sesso ed abbiano quell'età.

È evidente che la separata valutazione (propugnata dalla Cassazione anche nella sentenza in commento) del danno dinamico-relazionale e di quello da sofferenza soggettiva interiore costringerebbe gli avvocati, il CTU e il giudice ad una maggiore attenzione ed accuratezza, rispettivamente, nella fase della allegazione e prova dei fatti, dell'accertamento del danno e della motivazione sulla congruità della liquidazione del danno da sofferenza interiore (lo rileva Spera D.,I 10 punti del danno biologico: commento a Cass. n. 25164/2020 su danno morale, personalizzazione e tabella milanese, citato).

Tuttavia, anche a voler ritenere difficoltosa la prova del pregiudizio dell'essere, ovvero della condizione di afflizione fisica e psicologica in cui si è venuta a trovare in seguito alla lesione subita, al di là degli oneri assertivi di allegazione, sarà possibile, sul piano probatorio, valorizzare le massime di esperienza, vale a dire le regole di giudizio basate su leggi naturali, statistiche, di scienza o di esperienza, comunemente accettate in un determinato contesto storico-ambientale.

In proposito, operando un distinguo tra attività assertiva (o di allegazione) e attività asseverativa (o probatoria), la S.C. evidenzia che, a fronte della necessità di un puntuale onere di allegazione (dovendosi compiutamente descrivere tutte le sofferenze di cui si chiede la riparazione), non corrisponde un onere probatorio parimenti ampio, esistendo, nel territorio della prova dei fatti allegati, un ragionamento probatorio di tipo presuntivo, in forza del quale al giudice è consentito di riconoscere come esistente un certo pregiudizio in tutti i casi in cui si verifichi una determinata lesione - sovente ricorrendosi, a tal fine, alla categoria del fatto notorio (anche se, sul piano tecnico, il riferimento più corretto sarebbe alle massime di esperienza, costituendo i fatti notori circostanze storiche concrete ed inoppugnabili, non soggette a prova e, pertanto, sottratte all'onere di allegazione).

Tuttavia, nel non ravvisare ostacoli sistematici al ricorso al ragionamento probatorio fondato sulla massima di esperienza, specie nella materia del danno non patrimoniale (e, segnatamente, in tema di danno morale - tale strumento di giudizio consentendo di evitare che la parte si veda costretta, nell'impossibilità di provare il pregiudizio dell'essere, ad articolare estenuanti capitoli di prova relativi al significativo mutamento di stati d'animo interiori da cui possa inferirsi la dimostrazione del pregiudizio patito -), a ben vedere, la S.C. non fa altro che avallare il criterio posto alla base delle tabelle milanesi.

Invero, alla base del parametro standard di valutazione che regge il sistema delle tabelle per la liquidazione del danno alla salute, altro non vi è se non proprio un ragionamento presuntivo fondato sulla massima di esperienza per la quale ad un certo tipo di lesione corrispondono, secondo l'id quod plerumque accidit, determinate menomazioni dinamico-relazionali, per così dire, ordinarie (è proprio il Collegio a riconoscerlo a pag. 11 della sentenza).

E' noto (Corte costituzionale n. 233 del 2003), infatti, che sussiste una corrispondenza biunivoca, su di una base di proporzionalità diretta, tra la gravità della lesione e l'insorgere di una sofferenza soggettiva: tanto più grave sarà la lesione della salute, tanto più il ragionamento inferenziale consentirà di presumere l'esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall'aspetto dinamico-relazionale conseguente alla lesione stessa.

In definitiva, i giudici di legittimità riconoscono che, una volta accertata la lesione alla salute, la ricorrenza di una conseguenza morale indotta dalla menomazione va data per scontata, senza necessità di alcuna dimostrazione da parte della vittima (ZIVIZ P., Autonomia del danno morale: quale effetto sulle tabelle milanesi?, cit.).

Ovviamente, si tratterà di una presunzione iuris tantum, come tale suscettibile di prova contraria, sicchè la controparte sarebbe abilitata a dimostrare l'insussistenza di ripercussioni morali in capo alla vittima.

In conclusione

A ben altre conclusioni si sarebbe pervenuti, qualora la Cassazione, spingendo sul pedale dell'acceleratore, avesse riproposto la tesi esposta dalla stessa sezione pochi mesi prima.

Cass. civ. ,sez. III, 4 febbraio 2020, n. 2461, invero, ha stigmatizzato l'operato del giudice di merito, il quale aveva applicato la tabella elaborata dal Tribunale di Milano (nel caso di specie, la versione aggiornata al 2014), quantunque essa consideri espressamente nel valore del punto base anche la componente del danno morale, ed aveva utilizzato la percentuale di personalizzazione massima consentita dalla medesima tabella, evidenziando come, a differenza del danno biologico, il danno morale sfugga per definizione ad una valutazione aprioristica, sicché non appare corretta l'invocazione di un criterio standard di liquidazione riferito anche al danno morale e la postulazione di un tetto massimo di personalizzazione del danno.

Se appare ormai diffuso l'orientamento secondo cui la voce morale non può essere calcolata in maniera automatica, dovendo la stessa essere oggetto di specifica allegazione, attraverso una completa descrizione, e prova da parte della vittima, ancora è prematuro stabilire se la linea di tendenza della Cassazione si sia consolidata o meno sul piano probatorio, incidendo significativamente il riconoscimento della presunzione relativa sul possibile esito di una lite, soprattutto nei casi, non rari, in cui la dimostrazione del danno morale si riveli lacunosa.

Sembra essersi orientata in questa direzione (pur sembrando operare una confusione di piani tra l'attività assertiva e quella asseverativa) Cass. civ., Sez. III, sent. 13 novembre 2020 n. 25843, nel momento in cui ha affermato che il familiare di una persona lesa dall'altrui condotta illecita può subire un pregiudizio non patrimoniale che può assumere il duplice aspetto della sofferenza soggettiva e del conseguito mutamento peggiorativo delle abitudini di vita, la cui prova può essere data anche mediante l'allegazione di fatti corrispondenti a nozioni di comune esperienza, e che deve essere integralmente risarcito, ove ricorrano i caratteri della serietà del danno e della gravità della lesione.

Guida all'approfondimento

SPERa D., I 10 punti del danno biologico: commento a Cass. n. 25164/2020 su danno morale, personalizzazione e tabella milanese, in Ridare.it

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