La Corte di giustizia su congedo parentale e discriminazione di genere

11 Gennaio 2021

Il diritto al congedo supplementare (ossia successivo a quello legale di maternità) riservato – da un CCNL - alle donne può rappresentare una discriminazione a danno degli uomini solamente nella misura in cui si evinca, dalla valutazione di determinati parametri (condizioni di concessione, durata, modalità di fruizione, livello di tutela giuridica connesso), che detto congedo è previsto per tutelare la qualità di “genitore” della madre...
Massime

Il diritto al congedo supplementare (ossia successivo a quello legale di maternità) riservato – da un CCNL - alle donne può rappresentare una discriminazione a danno degli uomini solamente nella misura in cui si evinca, dalla valutazione di determinati parametri (condizioni di concessione, durata, modalità di fruizione, livello di tutela giuridica connesso), che detto congedo è previsto per tutelare la qualità di “genitore” della madre.

Ove, diversamente, emerga che detto congedo supplementare sia previsto in funzione della protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza e della protezione delle particolari relazioni tra la donna il suo bambino durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto, risulta giustificata la riserva alle sole donne, con esclusione di altre persone.
Il caso

Nell'ordinamento francese è previsto un congedo di maternità legale, che consiste nella fruizione – per la donna – di 6 settimane prima della data presunta del parto e di 10 settimane successive a tale data.

La disciplina di fonte negoziale (nella specie il ccnl relativo al personale che lavora presso enti previdenziali) prevede, in aggiunta, un ulteriore – facoltativo - periodo di congedo di 3 mesi con retribuzione al 50% (ovvero di 1 mese e mezzo, con retribuzione al 100%) per “la dipendente che si prende cura in prima persona dei propri figli“.

Un padre ha chiesto di beneficiare di tale congedo e si è visto rifiutare la domanda, perché tale vantaggio è riservato, dal contratto collettivo, alle lavoratrici.

Il Tribunale francese - tenuto conto di un arresto della Corte di Cassazione (21 settembre 2017) che ha individuato nella clausola contrattuale lo scopo di attribuire alle donne un congedo di maternità supplementare al termine del congedo legale di maternità, per la protezione della particolare relazione tra la donna e il bambino durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto - ha sollevato questione pregiudiziale ponendosi il problema della discriminazione per ragioni di sesso. In particolare, il giudice del rinvio ha chiesto se la direttiva 2006/54 deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una disposizione di un contratto collettivo nazionale che riserva alle lavoratrici che si prendono cura in prima persona del proprio figlio il diritto ad un congedo dopo il termine del congedo legale di maternità, mentre i lavoratori di sesso maschile sono privati del diritto a tale congedo.

La questione

La questione in esame è la seguente: la previsione di un ulteriore congedo di maternità (da aggiungere successivamente a quello previsto per la gravidanza ed il parto) da riservare esclusivamente alla madre lavoratrice realizza una forma di discriminazione a danno del padre lavoratore?

La soluzione giuridica

La Corte di giustizia UE rammenta che la direttiva 92/85 contiene prescrizioni minime (dirette alle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento) per tutelare una situazione specifica di vulnerabilità delle donne. Questo periodo minimo di congedo di maternità (un periodo complessivo di 14 settimane che ogni Stato membro può elevare) è volto a garantire, da un lato, la protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza e, dall'altro, la protezione delle particolari relazioni tra la donna e il suo bambino durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto, onde evitare che tali relazioni siano turbate dal cumulo degli oneri derivanti dal contemporaneo svolgimento di un'attività lavorativa.

Sotto questo aspetto, tale congedo può essere legittimamente riservato alla madre, ad esclusione di ogni altra persona, tenuto conto del fatto che solo la madre può subire la pressione indesiderata di riprendere prematuramente il lavoro.

Diversamente, per quanto concerne la qualità di genitore, la situazione di un lavoratore di sesso maschile e quella di un lavoratore di sesso femminile sono comparabili per quanto riguarda l'educazione dei figli. Di conseguenza, misure intese la protezione delle donne in qualità di genitori non possono trovare giustificazione se garantite esclusivamente alle lavoratrici.

Conseguentemente, una differenza di trattamento tra uomini e donne risulta compatibile con la direttiva 2006/54 solamente se è diretta tutelare la madre con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla sua condizione di maternità, vale a dire se è intesa a garantire la protezione della condizione biologica della donna nonché delle particolari relazioni che quest'ultima con il proprio figlio durante il periodo successivo al parto (e non meramente la sua qualità di genitore).

Si tratterà, dunque, rileva la Corte, di interpretare (da parte del giudice del rinvio) la clausola del ccnl per comprendere se il diritto ad un congedo di maternità supplementare intende fornire una protezione alla condizione biologica della donna (al pari del congedo di maternità) ovvero alla madre in qualità di genitore.

Il solo fatto che un congedo segua immediatamente il congedo legale di maternità non è sufficiente per ritenere che esso possa essere riservato alle lavoratrici che si prendono cura in prima persona del proprio figlio, dovendo, invece, prendere in considerazione altri elementi quali le condizioni di concessione del congedo supplementare (diritto potestativo ovvero diritto subordinato al consenso del datore di lavoro), la durata e le modalità di fruizione dello stesso nonché il livello di tutela giuridica ad esso connesso (protezione o meno contro licenziamento, diritto di riprendere le proprie mansioni o mansioni equivalenti, mantenimento di una retribuzione e in quale percentuale).

La CGUE conclude affermando che:

gli artt. 14 e 28 della direttiva 2006/54/CE, letti alla luce della direttiva 92/85/CEE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla disposizione di un contratto collettivo nazionale che riserva alle lavoratrici che si prendono cura in prima persona del proprio figlio il diritto ad un congedo dopo la scadenza del congedo legale di maternità, a condizione che tale congedo supplementare sia diretta tutelare le lavoratrici con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto la loro condizione di maternità, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare prendendo in considerazione, in particolare, le condizioni di concessione di detto congedo, le modalità e la durata del medesimo nonché il livello di protezione giuridica ad esso connesso.

Osservazioni

La sentenza si segnala per l'enucleazione dei parametri da utilizzare per cogliere il discrimine tra congedo riservato alla madre (in quanto previsto a protezione della condizione biologica delle donne) e congedo finalizzato all'esercizio della qualità di genitore (spettante, in condizione di parità, sia alle madri che ai padri).

La Corte di giustizia UE riconosce come protezione imprescindibile quella diretta a tutelare la condizione fisiologica della donne gestanti e puerpere, particolarmente vulnerabili e, dunque, poste al centro della direttiva 92/85 che riserva loro un periodo obbligatorio di astensione (14 settimane complessive, di cui almeno 2 settimane obbligatorie, art. 8), il divieto di licenziamento (dall'inizio della gravidanza alla fine del congedo di maternità, art. 10), il mantenimento della retribuzione e/o il versamento di un'indennità adeguata (art. 11). La successiva direttiva adottata in materia di parità di trattamento tra uomini e donne sul posto di lavoro (direttiva 2006/54) rammenta, nei suoi considerando, l'imprescindibile posizione di vulnerabilità che la donna attraversa nel periodo della gravidanza e immediatamente dopo il parto, rilevando che la particolare protezione ad essa riservata trova giustificazione nel principio di uguaglianza sostanziale, di fronte all'innegabile diversità biologica della donna rispetto all'uomo; richiama, pertanto, la direttiva del 1992 e ribadisce il diritto della donna di ottenere, al rientro dal congedo di maternità, le mansioni antecedentemente disimpegnate o mansioni equivalenti (artt. 15 e 28).

E', ovviamente, nella facoltà degli Stati membri di regolare in maniera più favorevole la maternità e la conciliazione tra lavoro e questa insopprimibile (ed augurabile) esigenza e desiderio di filiazione. Al fine di evitare discriminazioni nei confronti degli uomini e del loro altrettanto insopprimibile (ed augurabile) desiderio di paternità, la Corte di giustizia fornisce, dunque, dei parametri che consentano di distinguere tra disciplina diretta alla protezione della condizione biologica della madre e quella volta alla tutela della genitorialità.

Ebbene, il solo fatto che un congedo segua immediatamente il congedo legale di maternità non è sufficiente per ritenere che esso sia stato istituito per proteggere la condizione biologica della donna e che, dunque, possa essere riservato alle sole lavoratrici; va, invece, presa in considerazione la concorrenza di altri elementi sintomatici quali le condizioni di concessione del congedo supplementare (diritto potestativo ovvero diritto subordinato al consenso del datore di lavoro), la durata e le modalità di fruizione dello stesso, il livello di tutela giuridica ad esso connesso (protezione o meno contro licenziamento, diritto di riprendere le proprie mansioni o mansioni equivalenti, mantenimento di una retribuzione e in quale percentuale). La disamina del livello di protezione configurato dalla disciplina consente di verificare se il legislatore (o, come nel caso di specie, le parti, trattandosi di clausole negoziali trasfuse in un ccnl) ha voluto dispiegare una ulteriore protezione alla donna partoriente ovvero ha inteso tutelare la sua naturale esplicazione di madre, ruolo che deve concorrere – paritariamente – con quello del padre.

Lo Stato italiano, avvalendosi della facoltà prevista dalla direttiva 92/85, e nello spirito di protezione previsto dalla Costituzione (artt. 31 e 37), ha una tutela particolarmente incisiva a favore non solo della lavoratrice in gravidanza ma anche della funzione genitoriale (e, dunque, anche del padre lavoratore).

L'art. 16 del T.U. n. 151 del 2001 prevede il congedo di maternità, che comporta l'obbligo della lavoratrice di astenersi e, per il datore di lavoro, quello di farla astenere dal lavoro, incorrendo, altrimenti, in sanzioni penali. Il periodo complessivo (2 mesi prima della data presunta del parto e 3 mesi dopo il parto) è più ampio di quello previsto dalla direttiva 92/85. Il padre lavoratore non gode, di massima, del congedo di maternità, con l'eccezione dei casi di decesso o grave infermità della madre, abbandono del bambino da parte della madre o affidamento esclusivo del bambino al padre (art. 28 T.U. questo congedo è, però, facoltativo). Il legislatore italiano ha, dunque, in questi casi eccezionali, esteso al padre la speciale protezione riservata alla donna. Questo intervento si inscrive nella tendenza più recente di estendere al padre lavoratore la fruizione di alcuni istituti prima riservati alla madre lavoratrice, proprio con l'intento di ridurre, tramite una redistribuzione dei carichi genitoriali anche sugli uomini, l'effetto pregiudizievole della maternità, sotto il profilo dell'accesso al lavoro e della progressione di carriera.

Com'è noto, successivamente al congedo di maternità, ciascun genitore può fruire (si tratta di un diritto potestativo, non di un obbligo) del congedo parentale, continuativo o frazionato (art. 32 T.U.) finalizzato a consentire ai genitori di non lavorare per assistere il figlio nei primi mesi o anni di vita.

La diversità di natura e disciplina del congedo di maternità rispetto al congedo parentale rende evidente, alla luce dei parametri evidenziati dalla sentenza della Corte di giustizia UE in commento, il diverso obiettivo perseguito dai due istituti, in consonanza con la direttiva 92/85 e nel rispetto della direttiva 2006/54, ossia rispettivamente la condizione biologica della donna (che giustifica la riserva del primo congedo alle donne) e la qualità di genitore (che deve essere esercitata da entrambi i genitori).

Va, infine, rammentato che nell'ambito della protezione è stata ormai inclusa in maniera del tutto paritaria (anche grazie ad interventi della Corte costituzionale, spesso poi recepiti in leggi) sia l'adozione che l'affidamento.

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