Grava sul lavoratore l'onere di provare il licenziamento orale

Ilaria Leverone
12 Gennaio 2021

La mera cessazione definitiva nell'esecuzione delle prestazioni derivanti dal rapporto di lavoro non è di per sé sola idonea a fornire la prova del licenziamento, trattandosi di circostanza di fatto di significato polivalente, in quanto può costituire l'effetto sia di un licenziamento, sia di dimissioni, sia di una risoluzione consensuale.

La mera cessazione definitiva nell'esecuzione delle prestazioni derivanti dal rapporto di lavoro non è di per sé sola idonea a fornire la prova del licenziamento, trattandosi di circostanza di fatto di significato polivalente, in quanto può costituire l'effetto sia di un licenziamento, sia di dimissioni, sia di una risoluzione consensuale.

Tale cessazione non equivale ad estromissione, parola che non ha un immediato riscontro nel diritto positivo, per cui alla stessa va attribuito un significato normativo, sussumendola nella nozione giuridica di “licenziamento” e quindi nel senso di allontanamento dell'attività lavorativa quale effetto di una volontà datoriale di esercitare il potere di recesso e risolvere il rapporto. L'accertata cessazione nell'esecuzione delle prestazioni può solo costituire circostanza fattuale in relazione alla quale, unitamente ad altri elementi, il giudice del merito possa radicare il convincimento, adeguatamente motivato, che il lavoratore abbia assolto l'onere probatorio sul medesimo gravante circa l'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro ad iniziativa datoriale.

Così la Corte di cassazione con sentenza n. 149/21, depositata l'8 gennaio.

Il caso. La Suprema Corte torna a pronunciarsi sulla complessa articolazione dell'onere probatorio in tema di licenziamento orale. Nella fattispecie in esame, sia il Tribunale di Cosenza sia la Corte d'Appello di Catanzaro avevano rigettato la domanda del lavoratore volta a dichiarare la nullità del recesso, sul presupposto che il presunto licenziamento orale lamentato dallo stesso era contraddetto dal dato documentale del recesso datoriale intimato con missiva successiva, che il lavoratore non aveva impugnato. Dunque, per poter affermare la sussistenza di un precedente licenziamento orale, il lavoratore avrebbe dovuto fornire la prova di una volontà del datore di lavoro in tal senso.

L'evoluzione della giurisprudenza in tema di prova del licenziamento orale. E' pacifico che anche nel caso del licenziamento orale operi il disposto dell'art. 2697 c.c. secondo cui la parte che deduce l'estinzione del rapporto è tenuta a dimostrare la sussistenza di un fatto idoneo alla sua risoluzione. Negli anni la giurisprudenza si è concentrata sulla nozione di licenziamento, qualificato come estromissione e, dunque, caratterizzato dalla volontà del datore di lavoro di porre fine al rapporto. In tal senso, si è sostenuto che il lavoratore fosse gravato della prova della cessazione del rapporto mentre il datore di lavoro fosse tenuto ed eccepire e dunque dimostrare fatti che negano la natura di licenziamento nell'accezione anzidetta, quali ad esempio le dimissioni o la risoluzione consensuale. Risulterebbe infatti iniquo gravare il lavoratore (e, cioè, il soggetto che ha subito il recesso) della prova in merito alla sfera volitiva del datore di lavoro. Dunque, tale orientamento riteneva che il lavoratore che impugnava il licenziamento orale era tenuto solo fornire la prova della cessazione del rapporto. Di contro, un altro orientamento negava che in tale fattispecie vi fosse un'inversione dell'onere probatorio, dovendo ritenersi gravante sul proponente dell'azione l'onere di fornire la prova dell'evento “licenziamento” nella sua accezione più complessa (oggettiva e soggettiva), restando obbligato il datore di lavoro a fornire la prova che il recesso fosse dovuto ad altra causa.

L'attuale orientamento. Con la sentenza in commento la Corte di cassazione aderisce al più recente orientamento (di cui alle precedenti sentenze n. 31508/18 e n. 3822/19) che afferma che in tema di riparto dell'onere probatorio in caso di licenziamento orale la prova gravante sul lavoratore circa l'”estromissione” dal rapporto di lavoro non coincide tout court con il fatto della cessazione del rapporto di lavoro, ma con un atto datoriale consapevolmente volto ad espellere il lavoratore dal circuito produttivo. In altre parole, secondo tale orientamento chi impugna il licenziamento deducendo che esso si è realizzato senza il rispetto della forma scritta ha l'onere di provare il fatto costitutivo della sua domanda, rappresentato dalla manifestazione della volontà espulsiva datoriale, anche se espressa mediante comportamenti concludenti. Di conseguenza, l'ordine probatorio del datore di lavoro convenuto in ordine alle eccezioni svolte dallo stesso sorge in concreto solo quando il lavoratore ricorrente abbia a sua volta fornito la prova di cui sopra, con l'effetto che l'insufficienza o anche la mancanza della prova sulle circostanze dedotte dal convenuto a confutazione dell'avversa pretesa non vale a dispensare la controparte dell'onere di dimostrare adeguatamente la fondatezza nel merito della propria pretesa.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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