La notifica dei ricorsi avanti alla Corte Costituzionale a mezzo PEC

Michele Nardelli
19 Gennaio 2021

Deve riconoscersi la possibilità che la notifica dei ricorsi introduttivi di giudizi di legittimità costituzionale in via principale sia validamente effettuata mediante PEC.
Massima

Deve riconoscersi la possibilità che la notifica dei ricorsi introduttivi di giudizi di legittimità costituzionale in via principale sia validamente effettuata mediante PEC.

Il caso

Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato a mezzo di posta elettronica certificata il 23 settembre 2019, depositato in cancelleria il 25 settembre 2019, ha proposto il giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, commi 1 e 2, e 13 della legge della Regione Siciliana 19 luglio 2019, n. 13 (Collegato al DDL n. 476 ‘Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2019. Legge di stabilità regionale').

La costituzione in giudizio della Regione Sicilia è avvenuta al solo scopo di eccepire l'inammissibilità del ricorso, in conseguenza del vizio relativo alla notifica dello stesso, in quanto effettuata esclusivamente a mezzo di posta elettronica certificata.

Secondo la resistente, «in ragione della sua inapplicabilità nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, la notifica telematica effettuata al Presidente della Regione» ne sarebbe risultata «tamquam non esset».

La questione

La questione da affrontare riguarda la possibilità di procedere alla notifica dei ricorsi inerenti ai giudizi di legittimità costituzionale, proposti in via principale, a mezzo della sola posta elettronica certificata.

Le soluzioni giuridiche

Nella stessa motivazione dell'ordinanza in commento è richiamata, in senso contrario, la conclusione raggiunta da Corte Cost., nr 200/2019 (Pres. Lattanzi, Redattore Morelli), secondo la quale «La tempestività della costituzione nel giudizio di costituzionalità deve essere valutata con riferimento al giorno della notifica a mezzo ufficiale giudiziario, e non a quello della notifica a mezzo posta elettronica certificata (PEC). Infatti, attesa la specialità dei giudizi innanzi alla Corte costituzionale, la modalità della notifica mediante PEC non può, allo stato, ritenersi compatibile - né è stata sin qui mai utilizzata - per la notifica dei ricorsi in via principale o per conflitto di attribuzione. Per questa ragione, non opera, a tal fine, il rinvio dinamico disposto dall'art. 22, c. 1, l. n. 87 del 1953 alle "norme del regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale" e ora a quelle del cod. proc. amm.. Nel contesto delle quali la notifica a mezzo PEC è consentita. (Nella specie, relativamente al conflitto di attribuzione tra enti promosso dalla Regione Calabria a seguito della delibera del Consiglio dei ministri 7 dicembre 2018 e del telegramma del 6 dicembre 2018, n. 6079/10.1, non è accolta l'eccezione di tardività della costituzione in giudizio, in quanto effettuata nel rispetto del termine - decorrente dalla notifica del ricorso affidata all'ufficiale giudiziario e non dalla precedente notifica a mezzo PEC - di cui all'art. 25, comma 4, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale)».

Osservazioni

La decisione in commento prende le mosse dalla precedente ordinanza n. 200/2019 della Corte Costituzionale. In quella occasione era accaduto che a seguito di ricorso proposto dalla Regione Calabria, che aveva sollevato un conflitto di attribuzioni tra enti nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, la notifica del ricorso fosse avvenuta dapprima a mezzo posta elettronica certificata e quindi a mezzo ufficiale giudiziario. La costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri era avvenuta tempestivamente rispetto alla seconda di tali procedure di notifica, ma tardivamente rispetto alla prima.

La Regione aveva quindi eccepito la tardività della costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio, e la Corte aveva rigettato tale eccezione. In quella prima occasione la decisione negativa si era basata sulla specialità dei giudizi innanzi alla Corte. Partendo da tale presupposto, si era ritenuto che la modalità della notifica mediante PEC non potesse, allo stato, ritenersi compatibile (e di fatto non era stata mai utilizzata) per la notifica dei ricorsi in via principale o per conflitto di attribuzione. Era pertanto stata esclusa la operatività del rinvio dinamico disposto dall'art. 22, c. 1, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) alle «norme del regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale», e all'attualità a quelle del codice del processo amministrativo, approvato dall'art. 1, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo) nel contesto delle quali la notifica a mezzo PEC è invece consentita.

Sennonché, e già prima della decisione in commento, l'applicazione delle norme dettate per la giustizia amministrativa, in virtù del rinvio stabilito nell'art. 22 della l. n. 87/1953, è stata di recente stabilita dalla Corte nel caso dell'art. 84 del d.l. n. 18/2020 (conv. con mod. dalla legge n. 27/2020), che ha dettato le “Nuove misure urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia amministrativa”.

Con il decreto della Presidente della Corte, del giorno 24.3.2020, è stata infatti disciplinata, proprio a partire da tale premessa, la gestione dell'attività della Corte stessa durante il periodo della emergenza COVID-19, ad esempio nella parte in cui la norma (art. 84 comma 6) stabiliva che “Il giudice delibera in camera di consiglio, se necessario avvalendosi di collegamenti da remoto. Il luogo da cui si collegano i magistrati e il personale addetto è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge” (e su tale base il decreto richiamato ha disposto che il collegamento dei giudici alle camere di consiglio potesse avvenire anche mediante collegamenti da remoto, e che il luogo dal quale ciò fosse avvenuto sarebbe stato considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge). D'altra parte già con il decreto del 12.3.2020 la Presidente della Corte aveva stabilito la possibilità, sia pure temporanea, di depositare atti e memorie anche mediante invio in formato elettronico, a mezzo di posta elettronica certificata, anche se erano stati espressamente esclusi i depositi relativi agli atti di promovimento di nuovi giudizi, che avrebbero dovuto essere notificati e depositati secondo le regole ordinarie. E ancor di più, con il decreto del 20.4.2020 la Presidente della Corte ha poi stabilito che la stessa pubblicità delle udienze sarebbe stata assicurata mediante la verbalizzazione a cura del Cancelliere, nonché mediante la registrazione e la successiva pubblicazione delle registrazioni nel sito informatico istituzionale della Corte (ulteriori misure sono poi state adottate con i decreti del 6.10.2020 e del 30.10.2020; in quest'ultimo è di interesse notare come sia stata ribadita la necessità di ricorrere alle modalità ordinarie di invio degli atti di promovimento presso la Corte, mentre tanto non è stato nuovamente stabilito per le notifiche degli atti stessi, in linea con quanto deciso nella decisione in esame –deliberata il 22 ottobre, ancorché depositata il 20 novembre).

Non emerge, dalla motivazione della decisione in commento, se la soluzione alla quale la Corte è ora pervenuta sia stata in qualche modo influenza dall'esperienza maturata in virtù delle norme emergenziali. Ma a ben guardare non è rilevante stabilirlo, perché la bontà della decisione assunta va salutata con favore, quale che ne sia stata la genesi.

Da un punto di vista prettamente normativo, i riferimenti sono contenuti in primo luogo nell'art. 22 della legge n. 87/1953, e quindi nelle disposizioni che regolamentano i giudizi avanti al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (allo stato contenute nel codice del processo amministrativo). Ai sensi della prima di tali norme, nel procedimento davanti alla Corte costituzionale, e per quanto di interesse ai fini che qui rilevano, si osservano, in quanto applicabili, anche le norme del regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (e le norme integrative stabilite dalla Corte nel suo regolamento). Vi è quindi un richiamo diretto all'applicazione della normativa dettata per tale tipologia di giudizio, nell'ambito del procedimento avanti alla Corte Costituzionale (e per una analoga previsione di richiamo di norme processuali si veda non solo l'art. 1, c. 2, del d.lgs. n. 546/1992, in materia di giudizio tributario, che stabilisce l'applicazione delle norme del codice di procedura civile, per quanto non disposto nello stesso decreto, e fatta salva la compatibilità delle norme del codice di rito, ma lo stesso art. 39 d.lgs. n. 104/2010-, il quale reca a sua volta il rinvio, per quanto non disciplinato nel codice, alle disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali –e prevede poi che “Le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono comunque disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile”).

Quanto alle norme del giudizio amministrativo, appare di rilievo l'art. 25, comma 1-bis, c.p.a., il quale dispone che “Al processo amministrativo telematico si applica, in quanto compatibile, l'art. 16-sexies, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221”. Questa norma è centrale, poiché la disposizione da essa richiamata stabilisce che “Salvo quanto previsto dall'art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all'art. 6-bis, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”.

Peraltro, vanno anche richiamati l'art. 1, c. 1, lett. n-ter del CAD (D.lgs. 82/2005), che detta la definizione di domicilio digitale, e il Dpcm 16.2.2016 n. 40 (in GU nr. 67 del 21.3.2016), emanato ai sensi dell'art. 13 comma 1 dell'all. 2 al Cpa, il quale all'art. 14 detta le regole per le notificazioni (i primi due commi prevedono rispettivamente che “I difensori possono eseguire la notificazione a mezzo PEC a norma dell'art. 3-bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53”, e che “Le notificazioni di atti processuali alle amministrazioni non costituite in giudizio sono eseguite agli indirizzi PEC di cui all'art. 16, c. 12, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, fermo quanto previsto dal regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611”).

Premesso che, come ha ribadito la Corte nella decisione in commento, “la disciplina delle notificazioni dei ricorsi in via principale non è espressamente contenuta nelle fonti che regolano i giudizi davanti” alla stessa Corte Costituzionale, il problema che si è posto è stato proprio quello relativo alla ammissibilità dell'estensione delle norme previste nell'ambito della giustizia amministrativa, nella specifica procedura di notificazione nei giudizi costituzionali.

Va peraltro ben chiarito che le notifiche a mezzo pec, come previste nel processo amministrativo, contesto che qui rileva, non possono essere intese alla stregua di forme di notificazione speciali (che in quanto tali richiederebbero, a fini di utilizzo, l'autorizzazione ai sensi dell'art. 52, comma 1, c.p.a., il quale prevede che il presidente possa “autorizzare la notificazione del ricorso o di provvedimenti anche direttamente dal difensore con qualunque mezzo idoneo, compresi quelli per via telematica o fax, ai sensi dell'art. 151 c.p.c.”). In proposito, e pur essendo previsto che il Dpcm (poi emanato, come visto), avrebbe dovuto stabilire “le regole tecnico-operative per la sperimentazione, la graduale applicazione, l'aggiornamento del processo amministrativo telematico”, il Consiglio di Stato è intervenuto, a seguito di rimessione sulla specifica questione, stante l'esistenza di due indirizzi contrastanti, affermando che “dalla lettura […] dell'art. 1 l. n. 53/1994, appare possibile affermare che il legislatore considera, almeno dal 1 gennaio 2012, la notificazione a mezzo di posta elettronica certificata di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale, come un mezzo ordinario di notificazione, che, in quanto tale, non necessita di particolari autorizzazioni da parte del giudice”, e che “La natura di mezzo generale di notificazione (e di immediata applicazione) riconosciuta alla notifica a mezzo PEC consente di affermare che la stessa non risulta impedita fin tanto che non è stato emanato il d.P.C.M. , previsto dall'art. 13, all. 2 (norme di attuazione) del c.p.a.” (e nello stesso senso Cons. Stato, sez. V, n. 6078/2017, che ha affermato che “In relazione alla pregiudiziale eccezione di inammissibilità è sufficiente richiamare il principio di diritto recentemente affermato dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 19 settembre 2017, n. 6, secondo cui la notificazione del ricorso introduttivo del processo amministrativo può avvenire per posta elettronica certificata (PEC), nel rispetto delle disposizioni che la regolano, anche prima dell'adozione del d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 ed indipendentemente dall'autorizzazione presidenziale, di cui all'art. 52, c. 2, c.p.a.”).

Il percorso motivazionale della decisione è pertanto del tutto condivisibile, poiché basato su disposizioni certamente applicabili al procedimento avanti alla Corte Costituzionale, che ammettono a loro volta l'utilizzo della Pec a fini di notificazione, da parte degli Avvocati (ai sensi della legge n. 53/1994), e della stessa Avvocatura dello Stato (ai quali l'art. 55, c. 1 della legge n. 69/2009 ha esteso tale facoltà, avendo previsto che “L'Avvocatura dello Stato può eseguire la notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53”).

È infatti l'insieme delle norme che porta a ritenere applicabile anche al giudizio costituzionale la possibilità di procedere alla notificazione a mezzo della posta elettronica certificata.

Vi è da dire che la decisione appare tanto più apprezzabile, in quanto ha di fatto superato la decisione precedente (n. 200/2019) che aveva invece escluso il rilievo della notificazione del ricorso a mezzo PEC. A dire il vero la Corte ha fatto riferimento alla peculiarità della fattispecie oggetto della decisione del 2019, avendo spiegato che “l'affermazione secondo cui la notifica del ricorso via PEC non risultava «compatibile» con la specificità del processo costituzionale era inserita in una vicenda particolare, incentrata sulla tempestività della costituzione della parte resistente effettuata a seguito della reiterata notifica affidata ad ufficiale giudiziario”. In altre parole, nel caso precedente la tempestività della costituzione, rispetto alla notificazione eseguita a mezzo ufficiale giudiziario, a dire della Corte era stata ritenuta proprio in virtù della reiterazione della notifica (la Regione aveva effettuato sia la notifica a mezzo Pec, e sia quella a mezzo ufficiale giudiziario). Ma la valorizzazione della notifica telematica era tuttavia stata negata, poiché alla conclusione della tempestività della costituzione avrebbe semmai potuto giungersi dando rilievo all'affidamento della parte resistente sulla notificazione comunque eseguita con le forme tradizionali (rilievo dell'affidamento che la Corte ha valorizzato anche nel caso in esame, come subito si dirà). E di fatto era stata espressamente esclusa la compatibilità di tale forma di notifica, con il procedimento avanti alla Corte. Anche in ciò, a ben guardare, sta la ricchezza della decisione, poiché si trae conferma dell'apertura della Corte rispetto all'utilizzo delle nuove tecnologie, e della stessa capacità di superare prassi consolidate, ed esplicite prese di posizione, nel campo procedimentale, ambito che si caratterizza proprio per la necessità di tener conto dell'evoluzione degli strumenti disponibili, in vista della tutela delle posizioni giuridiche sostanziali delle parti.

L'ultimo punto da trattare risiede nella decisione di salvaguardare il contraddittorio, rispetto alla sostanziale rivisitazione di quanto stabilito nella decisione del 2019. La Corte ha infatti deciso, “in ragione della novità del caso, nonché dell'affidamento riposto dalla resistente Regione Siciliana su quanto affermato nella citata sentenza n. 200 del 2019”, di disporre il rinvio della causa a nuovo ruolo, “così da consentire alle parti, ai sensi dell'art. 10 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, di depositare eventuali memorie illustrative e di discutere il merito del ricorso in una nuova udienza pubblica”. È una decisione a sua volta significativa, poiché essa ha di fatto applicato il principio di tutela dell'affidamento, rispetto all'overruling recato dalla decisione assunta. A questo proposito, va rilevato che la giurisprudenza di legittimità ha tutelato l'affidamento in presenza di una consolidata giurisprudenza di legittimità, vale a dire in presenza di stabili approdi interpretativi della Suprema Corte (Sez. 2, Ordinanza interlocutoria n. 23836 del 21 dicembre 2012, secondo cui «Alla luce del principio costituzionale del giusto processo, non ha rilevanza preclusiva l'errore della parte che abbia proposto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, poi travolta da un mutamento interpretativo, sicché il ricorso non può essere dichiarato inammissibile o improcedibile per inosservanza di forme e termini il cui rispetto non era prescritto al momento dell'impugnazione, essendo stato imposto dall'"overruling". Il mezzo per ovviare all'errore oggettivamente scusabile è dato dalla rimessione in termini ex art. 184-bis c.p.c. (applicabile "ratione temporis"), non ostando il difetto dell'istanza di parte, atteso che la causa non imputabile è conosciuta dalla Corte di cassazione, che, con la sua stessa giurisprudenza, ha dato indicazioni sul rito, "ex post" rivelatesi inattendibili. (Principio affermato circa il ricorso per cassazione proposto dal consulente tecnico dell'autorità giudiziaria penale nelle forme del rito penale anteriormente alla sentenza n. 19161 del 2009, con la quale le Sezioni Unite, innovando la giurisprudenza della S.C., hanno stabilito la natura civile del giudizio di opposizione al decreto di liquidazione del compenso, pur se emesso in sede penale)»); Cass., Sez. Un., Sentenza n. 4135 del 12 febbraio 2019, secondo cui «L'affidamento qualificato in un consolidato indirizzo interpretativo di norme processuali, come tale meritevole di tutela con il "prospective overruling", è riconoscibile solo in presenza di stabili approdi interpretativi della S.C., eventualmente a Sezioni Unite, i quali soltanto assumono il valore di "communis opinio" tra gli operatori del diritto, se connotati dai caratteri di costanza e ripetizione, mentre la giurisprudenza di merito non può valere a giustificare il detto affidamento qualificato, atteso che alcune pronunce adottate in sede di merito non sono idonee ad integrare un "diritto vivente"»). Ma non potrebbe dubitarsi, nel caso della Corte Costituzionale, della sufficienza anche di un solo precedente, rispetto a decisioni riguardanti il procedimento, per radicare l'affidamento delle parti. E tanto a causa del limitato numero delle decisioni della Corte Costituzionale, rispetto a quello che caratterizza l'attività della Corte di Cassazione, ciò che se da un lato impone alle parti di valutare anche una singola decisione della Consulta, per contro impone alla Corte di salvaguardare l'affidamento delle parti nella propria giurisprudenza.

La decisione della Corte appare del tutto condivisibile, sia nel merito, e sia nella dimostrazione della capacità di farsi carico della necessità di tutelare la partecipazione delle parti al procedimento, espressione della autorevolezza della Corte stessa.

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